Stereotipi come costruzione sociale del maschile e del femminile

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Lo stereotipo è una forma di rappresentazione mentale semplificata della realtà che ha la funzione di sistematizzarla e ridurne la complessità, di facilitare la conoscenza inserendo il caso singolo in una categoria generale, di guidare il comportamento dell’individuo e il suo adattamento sociale [1]. Questa è la definizione data dal filosofo del linguaggio Hilary Putnam, il quale evidenzia quella che è la funzione positiva degli stereotipi ossia di semplificare la conoscenza e facilitare la comunicazione all’interno della comunità. Emerge un problema, però, nel momento in cui si utilizza lo stereotipo per categorizzare l’umanità all’interno di rigidi schemi e per standardizzare certi comportamenti sociali e sessuali di uomini e donne. Un evidente esempio di stereotipo riguarda il genere.

Vogliamo innanzitutto definire il significato dei termini “genere” e “sesso” che spesso vengono confusi e male interpretati. Quando si utilizza il termine “sesso” si fa riferimento alle caratteristiche biologiche e anatomiche degli individui, cioè a quell’insieme di caratteri sessuali che identificano una persona fisicamente come maschio o come femmina. Quando invece si utilizza il termine “genere” si indicano i tratti sociali e culturali che qualificano il comportamento, il vissuto e i ruoli di una persona in termini di “mascolinità” o “femminilità” [2]. L’identità di genere si sviluppa nell’essere umano in modo graduale. Alla nascita si è riconosciuti come appartenenti a una delle due categorie e si è influenzati sin da subito dalla società ad attuare determinati comportamenti. Gli studi sull’interazione madre-bambino rivelano differenze di trattamento dei figli maschi dalle figlie femmine, anche quando i genitori credono di avere le stesse reazioni nei confronti di entrambi [3]. Entro i cinque anni si apprendono i concetti di maschio e femmina e si ha la consapevolezza che il genere di una persona non cambia. Ogni bambino si comporta in modo coerente con il proprio genere di appartenenza e con la propria cultura. La società, la scuola e la famiglia trasmettono a loro idee stereotipate sui ruoli maschili e femminili, e ciò viene comunicato attraverso l’abbigliamento, i comportamenti e il linguaggio. Le femmine tendono ad essere indirizzate verso la famiglia, alla cura della casa e all’allevamento dei figli; mentre i maschi vengono orientati verso attività esterne dal contesto domestico. Nei libri e nei giochi per l’infanzia, così come nei compiti scolastici e nell’educazione, si tendono a presentare i ruoli maschili e quelli femminili nella loro concezione tradizionale e stereotipata.

Dal punto di vista strutturale e ormonale i due sessi presentano caratteristiche diverse, e tali differenze divengono importanti e significative solo tramite rinforzi di tipo culturale. Infatti, è la cultura di una data società e di un determinato periodo storico a selezionare solo alcuni aspetti della “mascolinità” e della “femminilità” e presentarli come adeguati. Questa influenza culturale si ripercuote, quindi, sulla vita sociale e psicologica della persona. Diverse ricerche hanno dimostrato che l’individuo tende a mettere in atto più facilmente comportamenti che ricevono una “risposta positiva” dall’ambiente. Se un bambino maschio agisce in un modo socialmente accettato otterrà approvazione dagli altri, se invece mette in atto un comportamento tipicamente atteso dal sesso femminile, otterrà tendenzialmente distacco e disapprovazione [4].

I ruoli stereotipati non favoriscono lo sviluppo di tutte le potenzialità della persona. Se una donna decide di svolgere un lavoro considerato prettamente maschile, verrà generalmente messa in dubbio la sua capacità, ritenendola inadatta. La donna è stata per lungo tempo considerata come “l’angelo del focolare”, come la casalinga che si occupa della cura dell’ambiente domestico; una figura che incarna la dolcezza, lo spirito materno e in generale la sfera dei sentimenti. L’uomo, invece, è stato considerato come norma e modello di riferimento, assumendo una posizione di potere e di controllo in quasi tutte le società e in tutte le epoche storiche. La situazione di dominio maschile viene definita patriarcato [5].

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La suddivisione sessuale del lavoro è una consuetudine diffusa e cristallizzata all’interno della società. La subordinazione del lavoro femminile a quello maschile non trova giustificazione né nella struttura biologica dei due sessi, né in una sua presunta utilità ai fini dell’organizzazione sociale. Nonostante ciò, l’idea che l’uomo sia più produttivo della donna, dunque più adatto all’attività lavorativa, permane nella credenza popolare. Negli ultimi decenni si è consolidato un modello paritario di partecipazione al lavoro. Tuttavia le donne continuano ad essere fortemente penalizzate dal lavoro domestico, di cui si assumono il maggior peso e la sua conciliazione con il lavoro extra-domestico rimane una questione complessa che grava sull’esito delle carriere femminili. Esse assumono, perciò, un doppio ruolo lavorativo consistente in quello visibile, stipendiato, e quello invisibile, all’interno delle mura domestiche [6].

È presente un rapporto tra esperienza lavorativa, stereotipi del ruolo sessuale e orientamenti educativi. Permane, infatti, un’asimmetria di genere nella scelta dei percorsi universitari: le donne si concentrano nelle facoltà umanistiche e sanitarie mentre hanno un’esigua partecipazione nelle discipline scientifiche ed ingegneristiche [7]. Le ricerche in merito [8] attestano che nonostante le rivendicazioni di uguaglianza, gli stereotipi di genere continuano a persistere. La situazione sociale è ancora a vantaggio degli uomini, dei suoi privilegi, e dei suoi tratti stereotipati che lo caratterizzano positivamente.

In genere sono ritenuti migliori i comportamenti e le caratteristiche associate al ruolo maschile rispetto a quelli del ruolo femminile. Le indagini condotte [9] sostengono che già le bambine, rispetto ai bambini, hanno preferenze più deboli verso il proprio ruolo sessuale e tendono quindi a dare maggiore importanza al ruolo maschile. Ciò è la conseguenza del potere e del prestigio che la società ha conferito all’uomo. I ruoli sociali non sono limitanti soltanto per la donna, ma per entrambi i sessi, in quanto non permettono la realizzazione di tutte le potenzialità della persona umana, bensì soltanto quelle strettamente connesse al genere di appartenenza ovvero alla “femminilità” o alla “mascolinità”. Il nostro obiettivo è quello di prendere coscienza di tali limiti che culturalmente ci imponiamo e metterli in discussione. Ogni individuo deve essere libero di essere ciò che vuole indipendentemente dagli stereotipi di genere e deve avere la possibilità di amministrare la propria vita sociale, sessuale, lavorativa come meglio crede.

NOTE


[1] Cfr. Putman H., Meaning, Reference and Stereotypes, Duckworth, London 1978pp. 61-81.

[2] Cfr. Remotti F., Fare umanità, i drammi dell’antropo-poiesi, Laterza, Bari 2013, pp. 162-170.

[3] Cfr. Giddens A., Sociologia, a cura di Marzio Barbagli, Il Mulino, Bologna 1989, p. 160.

[4] Cfr. Crepet P., Psicologia, Einaudi, Milano 2006, p. 163.

[5] Cfr. Giddens S., Sociologia, p. 168.

[6] Cfr. Sociologia, concetti, metodi, temi di scienze sociali, Einaudi, Milano 2008, p. 408.

[7] Ruoli sessuali e lavoro extradomestico, contributi di ricerca, Bulzoni, Roma 1978, p. 111.

[8] Cfr. ivi, p. 114.

[9] Cfr. ivi, pp. 10-11.