L’omosessualità non esiste(va)

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L’amore move il sole e l’altre stelle, però solo se sono eterosessuali.

Siamo nel 2018 e c’è ancora bisogno di parlare d’amore. Ma non di quell’amore struggente che non ti fa dormire la notte raccontato dai cantanti indie, bensì della legittimità che abbia o meno un certo tipo d’amore di esistere. Se da un lato si schierano i negazionisti, ovvero coloro che continuano imperterriti a considerare l’eterosessualità la norma sulla quale si basa la società, dall’altro lato si schierano gli orgogliosi, quelli che gridano al vento che sì, l’omosessualità esiste e sì, è diversa dall’eterosessualità, anche se dovrebbero entrambe godere dei medesimi diritti.

Non c’è niente che stoni in tutto questo?

In un’epoca che soffre di un grave disturbo ossessivo che spinge compulsivamente a categorizzare ogni cosa – come se l’autodeterminazione di sé attraverso un’etichetta renda più legittima la propria esistenza – si è finiti per rendere l’amore il movente di una battaglia che sembra non avere mai fine. Eppure, c’è stato un tempo in cui la sessualità aveva tutt’altra vita.

A raccontarcelo è Michel Foucault nella sua Storia della sessualità, raccolta pubblicata in tre volumi: La volontà di sapere (1976), L’uso dei piaceri (1984) e La cura di sé (1984). Non è questa la sede per dibattere sulla relazione che intercorre tra questi scritti, né tanto meno per analizzarne i contenuti. È interessante, tuttavia, soffermarsi sul secondo volume, L’uso dei piaceri, che propone un’analisi della sessualità nell’Antichità classica. Durante il periodo ellenistico, la sessualità non era costretta in un sistema di norme che la regolarizzavano, ma non era nemmeno libera come si è sempre stati soliti pensare. Gli aphrodisia, ovvero quegli atti che procurano una certa forma di piacere, erano un argomento che destava non poca preoccupazione ai Greci, i quali riservavano una profonda riflessione morale all’argomento. Il loro scopo era quello, leggendo Foucault, di «elaborare le condizioni e le modalità di un “uso”» (p. 58), ovvero lo stile dell’uso dei piaceri (chrēsis aprhodisiôn). Nella dinamica dell’uso dei piaceri non viene stabilito cosa sia o meno lecito desiderare, ma si esercita una vera e propria riflessione vòlta a governare nel modo migliore le proprie attività. Importante, dunque, per i Greci, non era la distinzione tra rapporto omosessuale ed eterosessuale, bensì l’opposizione tra l’uomo padrone di sé e colui che si abbandonava ai piaceri. «Avere dei costumi rilassati – dice Foucault – significava non saper resistere né alle donne né ai ragazzi, senza che questo fosse più grave di quello» (p. 191). Allo stesso modo, risulta errato parlare di bisessualità, in quanto il desiderio non si basava su una struttura duplice dello stesso, ma era rivolto verso coloro che erano considerati belli a prescindere dal sesso di appartenenza. Gli uomini, quindi, erano liberi di amare i ragazzi non solo perché era permesso dalla legge, ma anche perché era ammesso dall’opinione pubblica. Citando Foucault:

[…] I Greci non immaginavano affatto che un uomo avesse bisogno di una natura diversa (“altra”) per amare un uomo; ma tendevano a ritenere che ai piaceri presi in una relazione simile si dovesse dare una forma morale diversa da quella richiesta quando si trattava di amare una donna. In questo tipo di rapporti, i piaceri non tradivano, in chi li provava, una natura fuori dal normale; ma la loro pratica richiedeva degli stilemi particolari. (p. 196)

Gli amori maschili sono stati protagonisti del pensiero greco, il quale sviluppò una serie di riflessioni vòlte a stabilire le forme che questi rapporti dovevano assumere e il valore che potevano vedersi riconosciuto. Nonostante il numero dei testi conservati che si occupano di queste riflessioni sia esiguo, Foucault ha evidenziato alcuni punti che emergono soprattutto nelle opere platoniche. Per prima cosa, l’antico dibattito sull’amore tra uomini non era incentrato sulla sfera più generale di questo tipo di rapporti, ma su un rapporto “privilegiato” tra due partner con differenze di età e di status sociale. Nell’immaginario comune si pensa che questa tipologia di rapporto tra un ragazzo che deve completare la sua formazione e un adulto che può aiutarlo a compiere questo percorso, sia tipica dell’insegnamento filosofico. Un esempio celebre è quello di Socrate, che avrebbe avuto diversi rapporti “privilegiati” con i suoi studenti, Platone compreso. Questo genere di relazioni aveva portato alla nascita alcune pratiche di corteggiamento che prevedevano dei comportamenti convenzionali da tenere, che rendevano il rapporto molto intenso sia dal punto di vista culturale, che morale. Esistevano, dunque, delle vere e proprie strategie che il corteggiatore (erastēs) e il corteggiato (erōmenion) dovevano seguire. Se da un lato il corteggiatore doveva rincorrere l’amato mostrando il suo ardore e allo stesso tempo moderandolo, dall’altro lato il corteggiato non doveva cedere troppo facilmente, pena una cattiva reputazione che lo avrebbe presentato come superficiale e leggero. Un uomo poteva amare chiunque, dunque, l’importante è che lo facesse con moderazione.

Questa riflessione svolta da Foucault è solo una delle tante che si trovano in diversi autori del passato. Ciò che reputo fondamentale nelle sue parole è l’aver cercato di sottolineare come nella storia dell’umanità, l’amore tra individui dello stesso sesso non era condannato e tanto meno giudicato. Il fatto che il termine “omosessualità” non esistesse nemmeno, dovrebbe far riflettere sul fatto che al di là delle convenzioni sociali, delle ideologie politiche o religiose, l’amore si è da sempre manifestato in moltissime forme, che ad oggi fuoriescono dalla “normale” eterosessualità. È dunque forse arrivato il momento storico per iniziare a mettere in discussione quelle categorie alle quali siamo visceralmente attaccati e provare a diffondere tutti insieme l’idea di un amore universale che non ha bisogno di etichette.

FONTI

Michel Foucault, L’uso dei piaceri, Feltrinelli, Milano 2015.