La sovrappopolazione porterà alla fine della razza umana?
Giugno 2019: la popolazione mondiale ammonta ad oggi a circa 7,7 miliardi di individui (1).
Una cifra mai vista prima e che sembra, di primo acchito, essere quasi decuplicata nel corso degli ultimi due secoli e mezzo. Uno studio effettuato dalle Nazioni Unite agli inizi del 2000 ha infatti sottolineato come intorno alla prima decade del XIX secolo la popolazione mondiale riuscisse a stento a raggiungere la soglia di un miliardo di soggetti (2). Esaminando i dati disponibili più da vicino ci accorgiamo, inoltre, che il tasso di crescita ha carattere esponenziale: l’intervallo di tempo in cui la popolazione mondiale aumenta di un miliardo passa dai 123 anni del 1927, ai 33 anni del 1960, fino ai 12 anni del 1999 (3).
Sembrerebbe dunque lecito domandarsi, e non senza un sottile senso di inquietudine di fondo, se, per la loro natura in qualche modo finita, esauribile, le risorse – idriche e alimentari in primis – presenti sul nostro pianeta possano risultare alla lunga insufficienti a sostenere un così rapido sviluppo della specie umana.
Dati alla mano, per molti è stato quasi inevitabile porsi l’angoscioso interrogativo sul destino di un’umanità ipoteticamente costretta dall’incubo della sovrappopolazione ad un’innaturale regressione verso uno stato di lotta per la sopravvivenza di darwiniana memoria.
Uno scenario dipinto a tinte fosche, tra povertà estrema, contagi epidemici della più svariata natura, inquinamento, migrazioni di massa e violenza.
In seguito alla diffusione di questo e simili rapporti, infatti, si sono viste nel corso degli anni, ondate alterne di vero e proprio panico in seno all’opinione pubblica, scatenate per lo più dai toni allarmistici assunti dai mass media e di alcune opere a carattere divulgativo, contenenti proiezioni particolarmente catastrofiche.
È questo il caso, ad esempio, dell’entomologo e ambientalista Paul R. Ehrlich, autore del best seller The Population Bomb (4) nel quale profetizzava, già alla fine degli anni Sessanta, l’incombere imminente tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo appena trascorso di terribili carestie, invitando i governi mondiali ad applicare uno stretto controllo della natalità sulla popolazione con tutti i mezzi possibili, dai più blandi incentivi antinatalisti fino alla vera e propria coercizione (5).
Le fosche previsioni di Ehrlich, naturalmente, si rivelarono inesatte, grazie anche, è il caso di dirlo, alla rivoluzione verde (6) che di lì a poco venne attuandosi, in modo più o meno sistematico, in quasi tutto il mondo. Eppure, nonostante le forti critiche ricevute (7), sulla scia dell’opera di Ehrlich e di molte altre che ne seguirono la falsariga, si andò sviluppando un vero e proprio revival delle teorie malthusiane. Secondo il modello ottocentesco elaborato da Malthus, la progressione geometrica tipica del tasso di crescita della popolazione avrebbe portato a un aumento della classe povera e ridotto drasticamente la disponibilità alimentare il cui tasso tenderebbe a crescere solo in progressione aritmetica: da qui ne deriverebbe l’assoluta necessità di impedire la riproduzione degli individui economicamente più deboli all’interno del corpo sociale (8).
Proprio riprendendo buona parte di questi presupposti, molte politiche governative andarono orientandosi verso un controllo dei tassi di natalità talmente stretto da potersi a buon diritto descrivere quali veri e propri interventi di eugenetica negativa. I due casi più eclatanti sono costituiti dalla Cina con la politica del figlio unico – andata avanti per obbligo di legge sino al 2013 – e dall’India, dove si stima che il governo abbia obbligato più di 4 mila donne a sottoporsi a interventi di sterilizzazione coatta tra il 2013 e il 2014 (9).
La questione solleva tuttora non pochi dubbi di legittimità dal punto di vista giuridico, oltre che morale: fino a che punto lo Stato può interferire nella vita privata del cittadino, privandolo di uno dei suoi diritti fondamentali, ovvero quello alla riproduzione?
Come giustificare il fondamento giuridico che vede il diritto collettivo – e in particolare il diritto delle generazioni future – prevalere su quello della libertà individuale? Quali conseguenze potrebbe avere la legittimazione di una simile logica, che giustifica la supremazia dello Stato sul singolo?
Dai numerosi dati statistici disponibili emerge in modo lampante che simili politiche sono connotate da un carattere doppiamente discriminatorio: le donne povere sono le principali vittime delle sterilizzazioni coercitive e la maggioranza degli aborti hanno un carattere selettivo, concentrandosi sull’eliminazione di feti di sesso femminile (10).
Eppure il catastrofico modello di Ehrlich, presupposto ideologico utilizzato quale pallida giustificazione a politiche che, ipso facto, si traducono in pratiche eugenetiche discriminatorie e sessiste, non sembra essere l’unico possibile, né forse quello più performante.
Esiste infatti una nutrita schiera di studiosi che sostengono la teoria della transizione demografica (11): secondo tale teoria, sintetizzandola al massimo, a una diminuzione del tasso di mortalità dovuto allo sviluppo di un dato territorio corrisponderebbe, dopo un’iniziale boom demografico, un calo del tasso di natalità che riporterebbe il livello della popolazione in equilibrio: è il caso, ad esempio, dell’Italia, dove il rapporto tra decessi e nuove nascite prevede un tasso addirittura negativo, o dell’Europa dove constatiamo un sostanziale stallo del rapporto birth rate/death rate, così come del Nord America (12).
Un fenomeno analogo si può riscontrare anche nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, dove la media di figli per donna sembra decrescere drasticamente con l’innalzamento della qualità di vita.
In sostanza, secondo tale teoria, per scongiurare i problemi derivanti da un’ipotetica sovrappopolazione, basterebbe promuovere programmi di sviluppo economico, di profilassi, di consapevolezza riproduttiva e sessuale nei Paesi che si trovano in fasi più arretrate della transizione demografica.
Una scelta, questa, che risulterebbe sicuramente meno drastica, più in linea con le indicazioni fornite dai diritti umani, meno problematica dal punto di vista giuridico e sicuramente più accettabile dal punto di vista etico.
Proprio per sottolineare l’importanza di un’adeguata gestione delle politiche demografiche, dal 1989 e sulla scia dell’interesse generale suscitato l’11 luglio 1987 dal “Five Million Day”, il Consiglio direttivo del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite ha deciso di instituire la Giornata della Popolazione: un evento annuale volto a sensibilizzare i governi e l’opinione pubblica in generale sui delicati temi della popolazione globale, quali la parità dei sessi, la diffusione dei diritti umani, il problema della povertà e delle risorse, la salute in gravidanza e in maternità (13).
Un mondo più vivibile per tutti, dove le risorse siano più equamente distribuite e dove sia possibile incentivare uno sviluppo sostenibile, è un mondo più ricco e più felice, non solo per gli abitanti dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, ma per tutta la popolazione mondiale attuale e futura.
(1) Cfr. https://www.worldometers.info/it/ (dati in tempo reale, ultima consultazione al 4/7/2019).
(2) Cfr. Population Division Department of Economic and Social Affairs, United Nations Secretariat, World at Six Billion, pgg. 4-10, reperibile open source al seguente indirizzo: http://mysite.du.edu/~rkuhn/ints4465/world-at-six-billion.pdf (ultima consultazione 4/7/2019).
(3) Cfr. Ibidem, Box 3, World population milestone, p. 8.
(4) Ehrlich P.R., The Population Bomb, Ballantine, New York 1968.
(5) Ibidem, p. 9 – sgg.
(6) http://www.treccani.it/enciclopedia/rivoluzione-verde_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/
(7) A mero titolo di esempio, si veda Khan H., Simon J., The Resourceful Earth. A response to “Global 2000”, Blackwell Pub, Oxford 1984.
(8) Cfr. Malthus T.R., Essay on the principle of population 1, J. Murray c. Roworth, London 1826.
(9) Cfr. https://www.lastampa.it/esteri/2014/11/12/news/sterilizzazioni-di-massa-e-strage-di-donne-nell-india-piu-povera-1.35590536?refresh_ce e https://www.focus.it/cultura/curiosita/aborti-selettivi-mancano-23-milioni-di-bambine (ultima consultazione al 4/7/19).
(10) Cfr. https://www.focus.it/cultura/curiosita/aborti-selettivi-mancano-23-milioni-di-bambine.
(11) Per approfondire, si vedano, a mero titolo di esempio: Chesnais J.C., The Demographic Transition: Stages, Patterns, and Economic Implications: A Longitudinal Study of Sixty-Seven Countries Covering the Period 1720–1984, Oxford University Press 1993 ; Roser M., Population Momentum: If the number of children is not growing, why is the population still increasing?, https://ourworldindata.org/, 28 maggio 2019; Borgerhoff B.; Borgerhoff M.; Mangel M.S., “To marry or not to marry? A dynamic model of marriage behavior and demographic transition”. In Cronk L.; Chagnon N.A.; Irons W., Human behavior and adaptation: An anthropological perspective. Aldin Transaction, New York 2000.
(12) I dati demografici sono liberamente consultabili sui siti delle Nazioni Unite e della World Bank ai seguenti indirizzi https://population.un.org/wpp/ , https://data.worldbank.org/indicator/SP.DYN.TFRT.IN
(13) Cfr. https://www.un.org/en/events/populationday/index.shtml (ultima consultazione al 4/7/2019)
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