Si può parlare di integrazione?
Eppure lo sapevamo anche noi
l’odore delle stive,
l’amaro del partire
Lo sapevamo anche noi
e una lingua da disimparare
e un’altra da imparare in fretta
prima della bicicletta
Lo sapevamo anche noi
Così recita Ritals, una meravigliosa poesia del cantautore italiano (purtroppo scomparso nel 2016) Gianmaria Testa, che racconta di come venivano trattati gli immigrati italiani in Francia dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il termine rital indicava proprio l’avere origini italiane ed era usato con un’accezione fortemente dispregiativa dalle popolazioni locali.
Ma che dire di ciò che dicevano gli americani?
Nel 1880 sul New York Times compariva la scritta “indesiderabile people” e siamo stati definiti sporchi, assassini, criminali, mafiosi, razza inferiore: eravamo considerati letteralmente la feccia dell’umanità.
Antonio Gramsci disse che «la storia insegna, ma non ha scolari».
Questa è una grande verità che tendiamo troppo spesso a dimenticare. La storia insegna ma non ha scolari perché, se ne avesse abbastanza, non verrebbero perpetuati atteggiamenti di odio, razzismo, xenofobia che caratterizzano la società contemporanea.
Se analizziamo molti degli articoli contenuti nella Costituzione Italiana ci possiamo rendere conto del modello e dei valori intrinsecamente democratici che l’Assemblea Costituente della Repubblica, all’alba della fine della Seconda Guerra Mondiale, ci voleva trasmettere.
Al suo interno, infatti, si parla di uguaglianza, tutela delle minoranze, delle diversità e tutela del lavoro. L’art. 10, nello specifico, riguarda la condizione dello straniero e ne tutela il diritto all’asilo se esso proviene da paesi dove non è garantito il libero esercizio della democrazia e soprattutto se esso è un rifugiato politico (1).
Non possiamo permetterci di tornare indietro rispetto agli ideali contenuti in questo testo, promuovendo leggi che impediscono addirittura il soccorso e l’assistenza primaria in mare, pena multe salatissime (e in aperta violazione del Codice di Navigazione), proprio perché si tratta della vita e della dignità umana, un qualcosa che è molto superiore a una qualunque presa di posizione politica.
Non possiamo permetterci di farci trascinare da chi parla alle nostre pance facendo leva sulla paura e sulle fake news che circolano sui social network.
Il 18 dicembre del 1990 l’ONU approvò l’International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families e dieci anni dopo è stata indetta la giornata mondiale. Purtroppo, ad oggi, l’Italia, insieme a molti altri paesi occidentali non ha ancora ratificato la Convenzione (2), ma è chiaro che non può bastare solo una ratifica, così come è chiaro che non si può parlare solo oggi di immigrazione.
Cerchiamo di riflettere molto bene sul tipo di società che vogliamo costruire e sui valori da trasmettere alle generazioni future.
In generale, il diverso spaventa l’uomo.
Quando pensiamo alla diversità, spesso e volentieri diamo a questo sostantivo un’accezione negativa, anche quando non la dovrebbe avere.
Parlare di immigrazione in chiave di integrazione e multiculturalismo non è di certo semplice.
Per questo occorre sfatare alcuni stereotipi, spiegare che non è vero che gli immigrati “ci rubano il lavoro”, anzi è proprio il contrario: grazie alla manodopera straniera si crea una situazione non di concorrenza, ma di complementarietà perché, secondo un rapporto stilato già nel 2012 dal CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) gli immigrati, anche se sono in possesso di titoli di studio, svolgono mansioni in settori che agli italiani non interessano (3) e spesso in condizioni di semischiavitù e sfruttamento, senza nessun tipo di tutela (4); non è vero che “fanno la bella vita a nostre spese”.
è sufficiente fare qualche ricerca per scoprire che le condizioni in cui versano gli immigrati che arrivano nei Centri Accoglienza (5) sono spesso caratterizzate da sovrappopolamento, condizioni igienico-sanitarie allarmanti e carenza di assistenza.
Generalizzare, nel bene e nel male, porta al pregiudizio: le persone possono essere oneste o non esserlo, e ciò indipendentemente dalla loro provenienza.
La diversità, come ci illustrano anche i dati, può essere potenzialmente una risorsa positiva per la società se impariamo ad accettarla e ad accoglierla senza preconcetti e stereotipi negativi, e per farlo serve una buona comunicazione e una buona informazione che non cavalchi l’onda dell’oscurità per costruire un castello di odio sulla pelle altrui.
Kant, nella Fondazione della metafisica dei costumi scrisse: «agisci in modo da trattare l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo» (6). Così recita l’imperativo categorico, uno dei grandi pilastri della sua filosofia e vuol dire che l’essere umano, in quanto fine in sé, ha una dignità e come tale va riconosciuta e rispettata.
Dunque, prima di usare le classiche frasi stereotipate, prima di dare ascolto a notizie false e non verificate, fermiamoci, informiamoci e riflettiamo perché questo è l’unico modo per contrastare l’odio.
Non possiamo pensare di vivere in una società giusta se ci chiudiamo in noi stessi, senza pensare al bene della collettività e a una cultura aperta a tutti in grado di avere coscienza critica, poiché multiculturalità significa ricchezza e ricchezza significa sviluppo per tutti.
(1) https://www.senato.it/1025?sezione=118&articolo_numero_articolo=10
(2) https://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CMW.aspx
(3) https://www.meltingpot.org/IMG/pdf/Immigrati_e_Mercato_del_lavoro_19_novembre.pdf
(4) Per ulteriori approfondimenti https://www.ladige.it/news/cronaca/2019/05/28/immigrati-sfruttati-come-braccianti-campagne
(6) I. Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, 1785; trad. it, Fondazione della Metafisica dei Costumi, Laterza, Bari, 1997, pag. 91
L’immagine usata per la copertina è un’opera scultorea di Cateno Sanalitro
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