Sara Ruddick: pratica e pensiero delle madri

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Sara Ruddick, filosofa e femminista, si distingue nel panorama della second wave del femminismo americano perché pone in evidenza il valore della differenza, e insieme a Gilligan, Noddings, Tronto, Held e Kittay, offre un rilevante contributo alla care ethics, una riflessione morale che si afferma negli USA negli anni Settanta.

Attraverso l’opera Maternal Thinking, la cui edizione italiana, Il pensiero materno, viene pubblicata nel 1993, Ruddick affronta, nella cornice costante che unisce pensiero e pratica, il tema della maternità.

Affermando l’esistenza di un pensiero materno e ridefinendo il concetto di cura, l’obiettivo di Ruddick è ispirare una nuova visione della relazione  tra donna e uomo, e in particolare una nuova fisionomia dell’identità di madre e padre, portando avanti contemporaneamente una riflessione politica di difesa e promozione della pace. 


Tutta la riflessione di Ruddick è allo stesso tempo femminista, pluralista e antimilitarista (nonviolenta). 


Il pluralismo implica prospettive e verità diverse da cui guardare la realtà, l’antimilitarismo si orienta soprattutto alla nonviolenza piuttosto che al pacifismo. Il femminismo offre al pensiero in generale e a quello materno in particolare, un incredibile potere critico e il compito di ridefinire la struttura e le priorità della Ragione, a partire da donne che hanno attraversato sfruttamenti, abusi e oppressione e hanno fatto resistenza. Esso ha come ambizione politica l’universalizzazione dei valori di cura, universali nel senso di pluriversali, estesi a donne, uomini o ad altre identità di genere.

Ruddick propone una ridefinizione ed estensione del concetto di cura nei termini in cui la cura sia alla base del lavoro in quanto tale, oltre che fondamento relazionale e sociale della «comunità compiutamente umana» (1) non più fondata su «discriminazioni istituzionalizzate tra i sessi riguardo a potere e proprietà, ma da variazioni inventive e gioiose della identità sessuale» (2). Un femminismo come punto di partenza e di slancio per ridefinire l’umano e assicurare alla politica delle donne la possibilità di trasformare la società e creare poteri per «conoscere, amare e agire» (3). 


Quando si pensa alla maternità, si pensa soprattutto ad una pratica di cura considerata un vero e proprio lavoro anche se non retribuito.


A prescindere dal ruolo lavorativo, non appena una donna mette al mondo dei/delle figli/e è prima di tutto una madre, poi una donna – o una professionista – tanto a livello pubblico, quanto a livello privato. La sfida di Ruddick è dimostrare che oltre ad una pratica, esiste anche e soprattutto un pensiero delle e sulle madri e che esso faccia parte a degno titolo del regno della Ragione. Il pensiero materno non è affatto una rarità: è lo stesso lavoro delle madri che impone loro di pensare. Esso è visto come una vera e propria disciplina, con domande, metodi e obiettivi, sovrapponibile ma assolutamente indipendente dalle altre. 

Mettendo da parte i modelli ideologici o idealizzati e lasciando spazio a una visione realistica, possiamo pensare che la madre non è semplicemente la donna, ma chiunque provvede a soddisfare le richieste dei/delle figli/e, dunque anche i padri. Maternità e paternità non sottendono solo capacità riproduttive, ma ruoli e pratiche sociali, dinamiche e mutevoli.

A partire dalle sue esperienze personali e dall’osservazione delle altre donne, Ruddick ritiene siano tre le richieste fondamentali dei/delle figli/e: protezione, crescita e approvazione sociale che possiamo raggruppare sotto il termine generale di cura. (4)


Protezione.


Le madri sviluppano uno stile mentale che Ruddick definisce di sorveglianza, cioè una vigilanza continua e indagatrice. Il controllo migliore è quello che si autolimita. In caso contrario la sorveglianza può sfociare nel dominio, che sottende violenza, passività, mancate responsabilità, indifferenza e autoesclusione o leggerezza, un falso ottimismo che mistifica la realtà e inibisce la carica emotiva nei/nelle figli/e. La sorveglianza deve essere mitigata da una sorta di atteggiamenti metafisici, l’umiltà, ovvero la consapevolezza dei limiti delle proprie azioni di controllo, e la serenità, che implica il rispetto degli eventi, delle imperfezioni e dei conflitti, il pensare positivamente e non smettere mai di ricominciare anche di fronte alla disperazione. La protezione stimola un particolare atteggiamento che Ruddick definisce contenimento, che significa conservare le risorse e le capacità per garantire la sicurezza e la crescita, ma anche contenere e quindi limitare la libertà dei/delle figli/e che è essenzialmente libertà dalla madre. 


Crescita.


A partire dal riconoscimento della complessità spirituale degli esseri umani, crescere significa nutrire quella complessità. La crescita è nutrimento spirituale. Nutrire lo spirito che si sta sviluppando, a livello fisico, emotivo, sessuale, cognitivo e sociale, far sì che sbocci, si espanda, sia vivo, sensibile e vitale. Se la protezione sottende un contenimento, la crescita sottende un’espansione, un cambiamento, non solo dei/delle figli/e ma anche della madre e della sua vita intellettuale.


Approvazione sociale.


Un concetto che chiaramente richiama quello di educazione. La sfida educativa è sostituire all’educazione coercitiva, fondata sul disciplinamento della “natura” infantile e su una cieca obbedienza all’autorità, un’educazione di coscienza, fondata su riflessione, dialogo e fiducia che riconosce nel/nella bambino/a una natura ricettiva e non una ostile da dominare, e mira a identificare, riflettere e rispettare le richieste della coscienza. Ruddick fa leva sul concetto di amore sollecito, che lega la virtù dell’amore alla capacità cognitiva della sollecitudine la quale lascia emergere le diversità, si nutre di pazienti attese ma anche necessarie azioni, e rifuggendo dalle lusinghe dell’immaginazione impara a “guardare realmente” il/la bambino/a e dunque ad «amare il bambino reale» (5).

La retorica, che è alla base del pensiero comune sulla guerra e sulla pace, coincide con la linea di demarcazione tra i sessi che traccia il femminismo della differenza: guerra dell’uomo e pace della donna, morte di un soldato e nascita di un/a bambino/a, violenza maschile e solidarietà femminile. La realtà è più complessa. Uomini e donne non sono categorie universali e onnicomprensive, ma comprendono individui diversi tra loro: non tutti gli uomini sono propensi alla guerra e non tutte le donne sono propense alla pace. Le donne possono essere affascinate dalla guerra non solo per il mito eroico della virilità violenta, ma soprattutto perché è una possibilità di fuga ed evasione dalla gabbia domestica. Una vera attività di potere da svolgere nei luoghi pubblici da cui sono escluse.

Donne e uomini combattono guerre. Gli uomini combattono da sempre guerre sul campo di battaglia, guerre fisiche e sanguinose; le donne combattono una guerra sociale e culturale, per sconfiggere il patriarcato e per guadagnarsi tutto ciò che la storia ha negato loro. È solito dire che le donne, generando la vita, si oppongano per natura alla guerra che distrugge la vita. Anche se l’esito finale, il parto, è a livello anatomico e biologico programmato per le donne, la vita è generata dall’unione di entrambi i sessi. Dunque salvaguardare la vita deve essere una prerogativa di tutti e tutte indistintamente


Ruddick inizia la sua riflessione attorno al pensare e la conclude con l’agire.


L’uno non esclude l’altro, non può esistere senza l’altro. «Le madri devono pensare» (6) e «le madri devono agire» (7): allora pensare in maniera nonviolenta è necessario per agire in maniera nonviolenta. L’azione infatti non si contrappone alla pace e alla nonviolenza le quali devono invece sempre garantire la lotta perché lottare significa affermare i propri diritti, desideri, le proprie volontà e la propria esistenza.

Maternità e femminismo non possono ignorarsi (8).

Non solo le femministe hanno dimostrato di essere forti alleate delle madri, ma anche le madri diventano femministe, o come scrive Ruddick «partigiane delle donne» (9). Una madre femminista riconosce il vero significato dei valori dominanti respingendone alcuni come inaccettabili, e rompe una volta per tutte con la tradizione di un oppressivo autosacrificio materno.

Con una coscienza femminista tutte le donne, madri e non, possono finalmente «vedere certi aspetti della realtà come qualcosa di intollerabile, che deve essere respinto in nome di un progetto di trasformazione del futuro» (10), e possono finalmente ricominciare.


(1) N. Hartsock, Feminism Standpoint, p. 301 cit. in Sara Ruddick, Il pensiero materno, p.168.
(2) Sara Ruddick, Il pensiero materno, p. 168.
(3) Ivi, p. 171.
(4) Cfr. Sara Ruddick, Il pensiero materno, Red edizioni, Como 1993.
(5) Ivi, p. 155.
(6) Ivi, p. 37.
(7) Ivi, p. 212.
(8) Ivi, p. 290.
(9) Ivi, p. 291.
(10) Sandra Bartky, Feminism and philosophy, a cura di Vetterlin-Braggin, Elliston e English, Totowa, New York, 1977, p. 22-34.