Dopo quattro anni di silenzio, è uscito il nuovo cd di Caparezza: Exuvia. Un album che, sin dal primo ascolto, risulta diverso dai precedenti del rapper – che definire rapper è quasi riduttivo –, più personale e minimalista degli altri. Sin dal suo titolo e dal primo singolo da esso estratto è evidente la volontà di sottolineare il cambiamento: l’exuvia è il resto dell’esoscheletro che lasciano alcuni animali dopo la muta.
Il disco è il superamento di una crisi ben testimoniata dal penultimo cd di Caparezza, Prisoner 709.
Quest’ultimo, infatti, risulta all’ascolto pieno di inquietudine, dovuta forse anche al disturbo cronico che affligge il cantante: l’acufene. Prosopagnosia, ad esempio, è un intenso pezzo dell’album che già dal titolo rimanda a un deficit cognitivo in cui i soggetti smettono di riconoscere il proprio volto e/o quello degli altri. Il cantante, nel testo, arriva a mettere in dubbio la propria identità tanto da non ritrovarsi più. In Exuvia, la crisi pare passata e la trasformazione è compiuta. Si va oltre il dolore – che non è comunque ciecamente escluso – e si apre la strada ad una nuova vita.
Come può un rapper ispirare così tante riflessioni e interessare noi di Filosofemme?
I motivi sono due ed è lo stesso Caparezza a fornirceli – volontariamente o meno – riempiendo i propri testi di citazioni colte, oltre che di tematiche di attualità.
La prima ragione per cui il cantante può appassionarci è il suo impegno politico-sociale: parla, da sempre, difatti, di argomenti quali tolleranza, mondo LGBT, animalismo, ecologia, religione e razzismo. Basti pensare a frasi epiche come «cari professori miei, io vorrei che in giro ci fossero meno bulli del cazzo e più gay» (La mia parte intollerante) o a canzoni come Vengo dalla luna, tra le tante. Insomma, il cantante si è da sempre schierato e presenta tante idee che non possiamo non condividere.
Un’altra motivazione è che Caparezza – volutamente o no – è estremamente filosofico.
L’andamento stesso della sua carriera, arrivati a questo punto, ne è la prova, dato che con questa nuova fase testimoniata da Exuvia pare giunto a una hegeliana sintesi. Tutto diviene e si trasforma: l’artista, effettivamente, ha il dono di non essersi mai ripetuto. Se nei primi dischi possiamo rinvenire proprio l’assoluto e l’intellettuale, nel penultimo c’è una negazione.
Il dolore porta a uno sguardo nel nulla, nel negativo-razionale e all’antitesi di tutto ciò che è stato. Il flusso delle cose, però, permette di giungere a Exuvia: il positivo-razionale. Con questo album, quindi, Caparezza pare cogliere in sé – con la propria trasformazione – l’essere e il nulla del proprio passato. Attraverso la carriera, insomma, il cantante sottolinea la processualità di cui parla Hegel, compiendo un percorso di “oggettivazione”, o manifestazione progressiva (1), e di superamento.
Il secondo singolo uscito di Exuvia, La scelta, ci rimanda ad un altro filosofo: Kierkegaard.
Il pezzo è diviso in tre parti. Nella prima troviamo la storia di Beethoven che sacrifica l’amore per la musica; nella seconda si cita Mark Hollis dei Talk Talk che rinuncia al successo a favore della famiglia; nella terza parte, invece, Caparezza mette di fronte a se stesso la difficile decisione tra carriera e vita privata. L’artista lascia aperta la risoluzione, concludendo la canzone con questo interrogativo.
Senza giungere a ipotizzare un arrivo al terzo stadio kierkegaardiano, quello religioso (2), possiamo dire che il cantante si trova effettivamente a decidere tra vita etica ed estetica (3). Tutti possiamo dire di capirlo bene: la scelta è d’altronde una caratteristica tipica di noi esseri umani e, anche quando ci pare di non scegliere, lo facciamo.
Un’altra sollecitazione profondamente filosofica che il rapper pugliese ci fornisce e che lo rende ancora più interessante è legata a Leopardi (che, purtroppo, è sottovalutato come filosofo).
Il riferimento all’autore è più esplicito rispetto ai precedenti, tanto che anche negli ultimi album lo troviamo direttamente citato. In Prisoner 709, ad esempio, c’è un pezzo di nome Infinto, che gioca proprio con il titolo della famosa poesia, e il testo si chiude con un rimando ai versi dell’Infinito: «Io nel pensier mi fingo». In Exuvia, invece, è presente una breve, ma significativa canzone, il cui titolo parla da solo: La matrigna (skit).
Nelle prime righe viene citata una delle Operette Morali più note, Dialogo della natura e dell’islandese: «perdo le difese come l’islandese / che migrò alla ricerca di un clima mite», mentre nelle ultime viene nominato proprio il poeta: «credo solo ai Leopardi di Recanati».
Anche questa volta, però, è l’analisi dei testi più in generale e la storia personale di Caparezza a suggerirci il legame con il poeta marchigiano. La propria condizione invalidante – seppur ovviamente in differenti modalità – ha portato il cantante a rivedere tutto e lo ha fatto entrare nella fase di pessimismo e nichilismo di Prisoner 709. L’acufene, insomma, lo porta a ripensare a sé, lo fa entrare in crisi, ma è la chiave per il cambiamento e per una nuova prospettiva.
Se la risoluzione per Leopardi era la social catena (4), per ora Caparezza sembra trovarla in un risvolto più personale, in uno sguardo rivolto a se stesso, piuttosto che agli altri.
È evidente che rileggere Caparezza attraverso gli occhi della filosofia porta a qualche forzatura: la sua “filosofia” non sarà mai quella di Hegel, non sarà mai quella di Kierkegaard e non sarà mai quella di Leopardi. Questo non solo perché non è effettivamente un filosofo, ma anche perché le nostre vite sono sempre più complicate dei sistemi filosofici e i nostri pensieri sono sempre più volubili dei modelli astratti.
Si intravede, però, nei testi dell’autore, un modo di essere nel mondo profondamente filosofico. Filosofico per quell’apertura mentale dimostrata sin dall’inizio – con l’impegno politico-sociale –, filosofico per la capacità di meravigliarsi e amare un sacco di cose, filosofico per la sofferenza, la crisi, la messa in discussione; filosofico per la capacità di trovare una soluzione razionale, per la ricerca di un senso in ciò che apparentemente non lo ha.
Insomma, sì, possiamo dirlo: Caparezza è uno di noi.
(1) Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, Milano, Bompiani, 2000
(2) Cfr. S. Kierkegaard, Timore e tremore, Milano, Mondadori, 2016.
(3) Cfr. S. Kierkegaard, Aut-aut Milano, Mondadori, 2016.
(4) G.Leopardi, La ginestra o il fiore del deserto, Roma, Edizioni dell’asino, 2020.
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