Relic: il mostro dell’Alzheimer

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Relic

Qualche settimana fa, in occasione di Halloween, scorrendo tra le varie piattaforme di streaming in cerca di un bel film thriller/horror di rito, mi imbatto in Relic

Una pellicola australiana, che si apre con la scomparsa di un’anziana signora. Sembra ok per questa serata, mi dico. Dalle varie immagini e dalla descrizione pare c’entrino i fantasmi e la vecchietta, tornata a casa come se niente fosse, viene descritta come cambiata

Comincio il film con l’idea dell’horror, ma presto mi è chiaro che Relic è qualcosa in più: gli scenari claustrofobici, le atmosfere cupe e la carica di tensione sono effettivamente quelle tipiche di questo genere. Minuto dopo minuto ci si immerge in un dramma familiare che di paranormale ha ben poco. Ciò che minaccia la signora, la figlia e la nipote non è una presenza ultraterrena, ma il mostro dell’Alzheimer.


Per questo il film mi ha fatto pensare, permettendomi, attraverso le sue metafore, di riflettere su questa malattia piuttosto comune che tanto spaventa.


L’Alzheimer è una patologia degenerativa ed è la forma più comune di demenza. Colpisce soprattutto le persone sopra i sessantancinque anni e attacca le parti del cervello adibite alla percezione del tempo e alla memoria. I malati di Alzheimer finiscono per cambiare carattere e non riconoscono più i propri cari. Nel corso del tempo, essi diventano sempre meno autonomi e comunicare con loro diventa via via più difficile (1). Per questi sintomi, la patologia risulta essere perturbante: i nostri nonni, i nostri genitori non sono più quelli di un tempo. Non solo non ci riconosco più, ma nemmeno noi riconosciamo più loro.

Davanti a queste persone ci sentiamo sbattuti in un’altra realtà e ciò ci conduce a porci interrogativi esistenziali e profondamente filosofici. Ecco perché questa malattia interessa anche noi di Filosofemme ed ecco perché un film come Relic risulta stimolante, nonostante la sua apparente appartenenza a un genere a noi distante. 


Sin dal principio la pellicola appare simbolica: la scomparsa dell’anziana Edna sembra rappresentare la scomparsa della persona così come la conosciamo.


La preoccupazione della figlia, in tempi normali non particolarmente legata alla madre, ci fa capire che questa distanza la porta a mettere in discussione le proprie precedenti certezze. Mentre Edna non c’è, figlia e nipote iniziano a esplorare l’enorme e vecchia casa. Ovunque regnano scatoloni pieni di foto e ricordi, ovunque post-it in cui l’anziana scrive ciò che deve fare: tutte azioni per non dimenticare, per continuare a ricordare.

Ciò che colpisce, però, è la muffa che cresce a vista d’occhio in certi angoli della casa: l’oblio che si espande. Quando ritorna, l’anziana si comporta come se nulla fosse e pare quasi negare la propria lunga assenza: è un po’ come quando il soggetto, negli stadi iniziali, quelli probabilmente più perturbanti per lo stesso, nega o sminuisce ciò che gli accade. Nel suo corpo c’è, però, il segno di un cambiamento: una ferita enorme sul petto, che si espande mano a mano e che degenera con lo scorrere del film. Edna diventa sempre più intrattabile, ha continui sbalzi d’umore: a volte appare completamente in sé, a volte è irriconoscibile. Inoltre, è ossessionata da un fatto: dice che qualche sconosciuto entra in casa sua.

La figlia Kay e la nipote Sam cercano di capire chi sia questo misterioso invasore e, così facendo, arrivano a trovare un passaggio dentro l’armadio della donna che conduce in un vero e proprio claustrofobico labirinto. L’immagine del labirinto è una classica metafora della nostra mente, dei pensieri e della personalità: trovare la sua via d’uscita è come ritrovare un equilibrio interiore. Kay e Sam rimangono intrappolate nelle mille stanze della casa della nonna, in cerca di un’apertura.


Il loro intento di capire cosa tormenta la nonna e di uscire dal labirinto è paragonabile al nostro tentativo di conoscere e svelare quell’immenso interrogativo che ci pone l’Alzheimer. Questa malattia risulta filosofica principalmente per tre questioni, interconnesse tra loro: il tempo, la memoria e l’identità.


Per quanto riguarda il tempo, i malati di Alzheimer lo percepiscono diversamente: per essi non è lineare e subisce continui salti temporali. Queste persone vivono in una situazione di indeterminazione e, soprattutto, nel proprio passato. Smettono così di condividere gli stessi momenti dei loro cari: per questo si isolano ed è difficile trovare un terreno comunicativo comune. Il tempo, per loro, non è più quello comunemente accettato, quello segnato dagli orologi e scandito dalle ore, dai giorni, dai mesi e dagli anni (2). Essi vivono in una situazione difficile per il nostro senso comune da comprendere

Relativamente il tema della memoria, ci rendiamo conto quanto essa sia importante per quello che siamo. Il nostro Io si forma attraverso il nostro passato e la presa di distanza da esso; si forgia tramite i nostri ricordi, ma anche con ciò che non ricordiamo (3). Il malato di Alzheimer non riesce più ad allontanarsi dal proprio passato, vive in esso.


Per questo, la sua stessa identità pare minata: ed ecco il terzo fondamentale tema filosofico.


Per questo fatichiamo, anche esternamente, a riconoscere il malato di Alzheimer. Non pare più la persona che conosciamo. Vivendo nei suoi ricordi, in un altro tempo, non riusciamo più a condividere il nostro mondo con lui (4). 

Questo, però, non dovrebbe farci scappare dal nostro caro. Le difficoltà di comunicazione non dovrebbero fermarci. Perché quella persona è ancora il nostro nonno o il nostro genitore. Si possono ancora trovare terreni comuni, ma per fare ciò è necessario riscattare le emozioni. In questo modo, la persona non si sentirà abbandonata e non si isolerà, nonostante tutto. 


Relic, con il suo finale commovente – che non sveliamo! – illustra bene questo concetto e ci mostra che è necessario ritrovare l’empatia perduta, anche se quella persona non pare più la stessa e ha tratti differenti da quello che era nel passato.





(1) Cfr. V. Perego, La malattia di Alzheimer: percezione del tempo e memoria, Verona, Caosfera Edizioni, 2019.

(2) Cfr. Ivi, pp. 77-78.

(3) Cfr.  Ivi, pp. 116-119.

(4) Cfr.  Ivi, p. 120.

(5) Cfr. Ivi, p. 121.

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