«Serve dunque una dose di responsabilità rispetto alle proprie parole e all’impatto che possono avere sul dibattito.» (1)
Il testo di Roberta Covelli – possiamo chiamarlo saggio a tutti gli effetti, ma con il pregio di un taglio narrativo quasi confidenziale – compie un viaggio analitico nel mondo della comunicazione, focalizzandosi sui pericoli di una sua strumentalizzazione e sulle insidie insite di cui rischiamo di non accorgerci. Non è una condanna dell’ars oratoria e della retorica: è un monito, un invito a prestare attenzione alla cattiva argomentazione e alle sue conseguenze.
Filo conduttore di fondo è l’idea che la comunicazione, che giocoforza si realizza tramite l’interazione con l’altrə, sia uno strumento di emancipazione e di creazione di relazioni.
Accade spesso, invece, che la parola venga sfruttata per un fine manipolativo di dominio. Non è una deplorazione della persuasione, perché persuadere comporta la possibilità di essere persuasi, la disposizione mentale a cambiare idea, la capacità di prendere atto della bontà delle argomentazioni altrui e il coraggio di valorizzare l’apparente debolezza di non avere un’opinione definitivamente strutturata su qualcosa.
Si critica, invece, quell’attitudine argomentativa che cerca un’emozione di comodo che a sua volta conduca a un fine personale. A ben vedere, infatti, tale attitudine realmente argomentativa non è, dal momento che il più delle volte fa uso di fallacie logiche [non perderti la nota (2)!]: ragionamenti caratterizzati da verosimiglianza argomentativa, nonché dotati del grande potere di attecchire sui sentimenti, ma viziati dal punto di vista logico.
Covelli tenta allora di metterci in guardia, enucleando le più diffuse fallacie logiche e rapportandole a concreti esempi del mondo politico, sociale, giornalistico, privato e di dare uno spunto su come reagire, applicando una sana comunicazione.
In che modo? Trovando la giusta crasi tra logica ed emotività. Puntare solo sul convincimento emotivo dell’altrə è passibile del rischio di violenza tanto quanto avvalersi solo della pura logica: l’emotività entra in gioco in chiave di empatia verso il destinatario – a sua volta mittente – della comunicazione; la logica svolge il ruolo di mantenere un livello argomentativo funzionante e funzionale a un sano conflitto, concentrato sul merito delle questioni.
È così che si può smontare il contesto kitsch della comunicazione che tende a imporre narrazioni sentimentalistiche, crudeli così come intrise di pietismo: prendendo atto che la parola è un mezzo di potere, un «atto individuale che si innesta in un contesto collettivo» (3).
Grazie a Effequ!
(1) Roberta Covelli, Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione, Effequ, Firenze, 2022, p. 190.
(2) Alcuni esempi: Argumentum ad passiones, manipolazione del discorso per evidenziarne gli elementi emotivi, tacendo o distorcendo quelli fattuali; Argumentum ad personam, fallacia con cui si attacca la persona anziché contestare l’argomentazione; Benaltrismo, fallacia in cui si evita un confronto sostenendo che “i problemi siano ben altri”; Cherry picking, fallacia con cui si pongono in evidenza solo le parti di un discorso che confermano la propria tesi; Colpa d’associazione, fallacia con cui si confuta la tesi sulla base di coloro che la sostengono; Generalizzazione indebita, fallacia con cui si traggono conclusioni su un’intera classe di elementi sulla base di uno o pochi di essa; Reductio ad Hitlerum, fallacia con cui si squalfica una tesi o una persona con paragoni pretestuosi con i nazisti. Per tutte le altre, Covelli ha steso un esauriente prontuario con importanti premesse.
(3) Roberta Covelli, Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione, Effequ, Firenze, 2022, p. 250.
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