Cosa definisce un mostro? Quali sono i limiti entro i quali il perdono può operare?
Durante la mia ultima estate, due storie si sono intrecciate: una, dettata da una lettura sotto l’ombrellone, Cuore nero di Silvia Avallone, e l’altra, quella di Mario Maccione, vittima e carnefice delle celebri Bestie di Satana, cronaca nera degli anni Novanta.
Per quanto possa sembrare paradossale, entrambe queste storie raccontano la genesi di una rinascita a seguito di un terribile percorso fatto di dolore, deviazione, droghe, sbarre e omicidio. Emilia, la protagonista del libro di Avallone, è una sopravvissuta al suo stesso caos, un relitto umano ormai incapace di amare e convinto di non meritarlo, l’amore. Dall’altra parte abbiamo Mario, un ragazzo allora, un uomo oggi, curioso dell’ambiente spiritista, amante del metal e bloccato in un terribile loop fatto di “prove di coraggio”, acidi e di un Satanismo mai veramente accettato, ma imposto dall’alto.
«Ci sono buchi che non puoi riempire. Che resteranno lì per sempre, neri e profondi. Però, se vorrai, potrai costruirci una vita intorno. Come ricresce l’erba sul bordo dei crateri. Come si possono ornare i pozzi con vasi di fiori.» (1)
Entrambe queste storie, più o meno fittizie, parlano di colpa, della sopravvivenza rispetto alla morte inflitta, ma a quale pro?
Che vita può condurre chi realmente è conscio dell’operato compiuto, di aver portato alla morte di qualcun altro?
Mario sostiene di aver letto a lungo mentre era in cella. Non è tanto strano il fatto di buttarsi nel pensiero filosofico – o alle volte giuridico – quando si è in reclusione: un modo talvolta per dare voce agli atti compiuti, per trovare una ragione a un volere tanto spregiudicato quanto irrazionale, ma soprattutto un tentativo di trovare pace e redenzione. Maccione ha così conosciuto la filosofia di Sant’Agostino su consiglio di un prete, un ché di beffardo questo evento, considerando che si trova tra quelle mura proprio a causa di Satana.
«Siamo spazzati via dalla tua vista, Dio, come i ciarlatani e i seduttori della mente, quelli che si rendono conto, sì, della presenza di due volontà nel corso di una deliberazione, ma affermano l’esistenza di due menti distinte per natura, una buona, l’altra maligna […] vogliono esser luce non nel Signore ma in se stessi, perché ritengono che l’anima sia fatta della sostanza di Dio-. E così diventano tenebre più fitte, via via che la loro arroganza spaventosa li allontana da te.» (2)
Per Sant’Agostino, difatti, il Male è ritenuto una sorta di deficit metafisico, ossia la mancanza di una qualche qualità positiva nel nostro essere, non è dunque un’entità in sé contrapposta al Bene.
In virtù di questa lacuna, l’essere umano può tuttavia redimersi e operare affinché la ragione ultima sia sempre il Buono, nello specifico Dio: legislatore di cosa è realmente giusto o sbagliato, tribunale del cielo e della terra, occhio che valuta il cattivo uso o meno del nostro libero arbitrio.
È l’individuo difatti che agisce in maniera autonoma nel mondo ed è proprio in virtù di questo suo agire che se ne determina la natura di ogni suo atto, la somma delle sue azioni delineerà la giustezza o l’inadempienza del suo essere. Pertanto egli è interamente responsabile di sé e delle sue scelte, non Dio, il quale si “limita” a esserne il giudice finale.
Ma come affrontare dunque l’espiazione di uno dei peccati più grandi: erigersi a Dio, sostituirsi a Lui. L’omicidio non è semplicemente la cessazione della vita altrui, bensì il farsi padrone della propria vittima, fautore del suo destino. La vittima perde il suo libero arbitrio e il carnefice si fa Dio.
Quanto la bontà divina è immensa e capace di perdonare?
«Che farà, pover’uomo? Chi lo libererà dal corpo che porta questa morte? Solo la tua grazia attraverso Gesù Cristo, il nostro signore […] Altro è vedere dal ciglio di una selva il paese della pace e non trovare la strada che vi conduce e invano arrancare per impervie pendici.» (3)
Per Sant’Agostino la redenzione è dettata dal ritorno al Pastore, per Emilia e Mario è un po’ diverso. Questi due personaggi, più o meno fittizi, la pace trova la sua equazione perfetta nell’Amore, in un amore meno trascendentale ma altrettanto vero e puro: quello della famiglia, deglə amicə e del partner.
La storia d’amore di Mario è peculiare: conosce una ragazza in un forum musicale, si innamorano sebbene non si siano mai visti in volto, la loro comunicazione è fatta solo di lettere e sporadiche mail.
Lei non ha idea di chi lui sia, di quale sia la sua colpa, lo sospetta a seguito di un suo allontanamento, frutto proprio del bisogno di Mario di proteggere questa donna dal suo “Cuore nero”. Eppure, lei lo aspetta, fiduciosa invece della bontà nascosta che risiede in ognuno di noi, della possibilità di redenzione e perdono. Lo aspetta dopo i processi, dopo la sentenza, dopo la prigione e ancora oggi si amano e finalmente vivono insieme, lontano da tutto e tutti.
Una storia che indubbiamente mi ha colpita, perché dimostra un enorme atto di fede.
Si può effettivamente perdonare un assassino?
Il passato non si può dimenticare, così come la sofferenza che una mancanza scaturisce, giovane o vecchia che sia. Come si fa a guardare negli occhi chi ha tolto la vita altrui, sebbene abbia chiesto scusa? Quanto effettivamente il sistema giudiziario sia utile a questo percorso e sia adeguato alla scelta della corretta pena?
Eppure, l’amore sembra essere capace di tessere via anche i più oscuri aspetti del nostro essere.
Non è tanto dissimile la storia di Emilia da quella di Mario.
Può un assassino essere meritevole d’amore? Questa domanda la pongo a voi.
Note
(1) S. Avallone, Cuore nero, Rizzoli, Milano, 2024, p. 90.
(2) Agostino, Le confessioni, Garzanti, Milano, 2011, VIII.10.22.
(3) Ibidem, VII.21.27.
Bibliografia e Sitografia
https://www.youtube.com/watch?v=Hn9UfqfUjAo
S. Avallone, Cuore nero, Rizzoli, Milano, 2024.
Agostino, Le confessioni, Garzanti, Milano, 2011.
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