Il mito della biga alata nel Fedro di Platone

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Cosa vi viene in mente quando sentite nominare il pensatore Platone? Sicuramente le idee e il loro mondo, l’Iperuranio. Le prime sono, infatti, considerate dal filosofo esemplari perfetti degli oggetti terrestri. È proprio in esso che la nostra anima, prima di calarsi e stabilirsi nel presente corpo, vive disincarnata contemplando le idee. Una volta giunta al nostro interno, l’anima porta con sé la reminiscenza di quelle, permettendoci dunque di ricordare e quindi conoscere le cose nella loro forma perfetta in maniera più o meno vivida, a seconda del tempo passato in contemplazione. La teoria della reminiscenza platonica viene a coincidere con l’idea socratica della maieutica, ossia della capacità di estrarre da sé la verità che, secondo Platone, è presente innatamente in noi grazie alla contemplazione.

Il rapporto che il sapere stabilisce tra uomo e idee non è puramente intellettuale, bensì è d’amore, definito da Platone anche eros. Nel dialogo platonico Simposio (IV secolo a.C.) si parla principalmente dei gradi gerarchici dell’oggetto di questo amore, ossia la bellezza.

Nel Fedro (IV secolo a.C.), Platone si focalizza sulla soggettività di quell’amore, considerato come aspirazione verso la bellezza ed elevazione progressiva dell’anima verso il mondo delle idee al quale la bellezza stessa appartiene. In questo complicato dialogo, Socrate spiega al giovane Fedro in che modo l’anima umana percorra i gradi gerarchici della bellezza fino a giungere a quella suprema, considerata “in sé” o amore filosofico. Per argomentare al meglio, il pensatore utilizza un mito in cui l’anima viene raffigurata nella sua tripartizione platonica: essa possiede una parte razionale (la ragione), una volitiva e una concupiscibile. La prima viene rappresentata da un’auriga alla guida di un carro (o biga) trainato da due cavalli alati: uno bianco e di eccellente condotta, immagine dell’anima volitiva, e uno nero e recalcitrante, immagine dell’anima concupiscibile. L’obiettivo dell’auriga è giungere all’Iperuranio, sede dell’essere in cui la vera sostanza delle cose possa essere contemplata solo dalla ragione stessa. Il cavallo bianco tira con tutte le sue forze verso la regione sopraceleste, spronata dall’auriga che tenta di mantenere l’equilibrio in quanto, allo stesso tempo, il carro viene rovinosamente trainato verso il basso dal cavallo nero, emblema del desiderio delle cose terrestri. L’anima riesce così, in modo più o meno soddisfacente, a contemplare il mondo delle idee; nel momento in cui essa, per colpa o per oblio, si appesantisce e perde le proprie ali, si incarna nell’essere terrestre che meglio rappresenta la quantità di sapere che essa porta con sé.

Così parla Socrate: «L’anima che ha visto il maggior numero di esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare filosofo o amante del bello […]. L’anima che viene per seconda si trapianterà in un re rispettoso delle leggi o in un uomo atto alla guerra e al comando, quella che viene per terza in un uomo atto ad amministrare lo Stato, la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che sarà amante delle fatiche o degli esercizi ginnici o esperto della cura del corpo, la quinta è destinata ad avere la vita di un indovino o di un iniziatore di misteri. Alla sesta sarà confacente la vita di un poeta o di qualcun altro di coloro che si occupano dell’imitazione, alla settima la vita di un artigiano o di un contadino, all’ottava la vita di un sofista o di un seduttore del popolo, alla nona quella di un tiranno» (pp. 641; 643).

Si può constatare come la qualità dell’esistenza umana venga condizionata dalla quantità di sostanza assorbita dall’anima nella sua precedente vita sovraceleste; nel mondo terrestre sarà poi la luminosità della bellezza a risvegliare nell’uomo il ricordo delle sostanze ideali, facendo da mediatrice tra uomo e anima caduti ed il mondo delle idee. L’essere umano risponderà con l’amore a questo appello, e quando sarà in grado di superare la tentazione di rimanere legato esclusivamente alla bellezza corporea, l’eros si realizzerà nella sua vera natura spingendo nuovamente l’anima verso il territorio sovraceleste dell’essere. L’amore diverrà dialettica, ricerca dell’essere in sé e fusione amorosa delle anime in apprendimento e insegnamento: sarà psicagogia, guida dell’anima verso il suo vero destino, con la mediazione della bellezza.

L’amore per il sapere, vera immagine della dialettica platonica, sarà quindi punto culminante del Fedro e cuore della speculazione dei suoi ultimi dialoghi.

FONTI

Abbagnano N. e Fornero G., Protagonisti e testi della filosofia, vol. A, tomo 1, Paravia, Milano 1999.

Maltese V. E. (a cura di), Platone. Tutte le opere, trad. it. di Caccia G., Newton & Compton, Roma 1997.

Masato T., La meravigliosa vita dei filosofi. Da Talete a Derrida passando per Schopenhauer, la storia del pensiero come non l’avete mai vista, trad. it. di F. Di Berardino e R. Giulianella Vergagni, Vellardi Editore, Milano 2018.