Lo status morale dell’embrione

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Siamo al secondo episodio del nuovo progetto RubriETICA: per chi non avesse memoria del primo, dove si gettava la premessa sulla differenza tra bioetica laica e cattolica, può rinfrescarla cliccando qui.

Anche questa volta ci accostiamo a una questione che è anche una premessa, necessaria per comprendere successivamente ambiti di indagine della bioetica quali la diagnosi prenatale, l’aborto, la sperimentazione con cellule staminali. Sarebbe infatti eccessivamente riduttivo trattarli senza aver chiarito il presupposto fondamentale: lo status dell’embrione e il concetto di “persona”.

L’embrione può essere considerato una “persona”?

Spoiler: non c’è una risposta univoca. Tutto dipende dalla concezione alla quale si sceglie di aderire.

Nell’antica Grecia valeva la tesi stoica che vedeva il feto come pars viscerum matris (parte delle viscere materne): ne consegue che l’embrione, cioè lo stadio precedente, rientra nella stessa definizione pragmatica e amorale.

Il cambiamento di costume è intervenuto con il cristianesimo, che presuppone la concezione della persona come composto di anima e corpo. Il problema dell’animazione, cioè il momento in cui Dio ha infuso l’anima razionale nel corpo, ha condotto i Padri della Chiesa a conclusioni diverse: alcuni difendono la tesi dell’animazione immediata, secondo cui l’anima è infusa nel momento stesso della fecondazione e quindi si ha a che fare con una persona esattamente da quell’istante; altri sostengono l’animazione ritardata, secondo cui l’anima è infusa dopo un certo tempo dalla fecondazione ed è da quel momento che si parla di persona. Il risultato non varia: attenendoci alla dottrina cristiana, stiamo parlando di una persona, di un individuo, già da prima della nascita.*

L’embrione umano è da considerarsi un individuo-uomo in atto, fin dallo stadio di zigote. È inteso come indivisibile, tanto materialmente (scinderlo ne causerebbe la morte) quanto come non considerabile separatamente dall’uomo di cui l’embrione non è considerato una semplice potenza. Sul piano etico e del diritto, l’embrione ha dunque la stessa gravità di un individuo già nato, poiché è possessore del dono divino della vita ed è insito in esso lo scopo di essere e vivere.

È intuibile che in quest’ottica non può essere considerato come “utilizzabile” (per diagnosi o sperimentazioni terapeutiche) né “sacrificabile” (in caso di interruzione volontaria di gravidanza), in quanto si violerebbero i suoi diritti personali, validi quanto quelli dell’individuo-madre che lo ospita.

La bioetica di matrice laica, come si è compreso dall’articolo precedente, sostiene che sia necessario ragionare etsi deus non daretur: come se non ci fosse un dio a cui rispondere. Laicità si configura quindi nei termini di antidogmaticità. Fa parte dell’etica laica la convinzione secondo cui Dio, non essendo oggetto di un discorso razionale universalmente valido, non possa fungere da elemento costitutivo di un’argomentazione. Laico è infatti non colui che nega Dio, ma chi ragiona al di fuori dell’ipotesi di un dio (anche persone credenti, in altri termini, possono sostenere una bioetica laica in quanto ritengono che la divinità faccia parte della dimensione privata. Dovrebbe quindi essere estromessa dai discorsi pubblici che hanno un risvolto tanto politico quanto legislativo).

In quest’ottica, il filone funzionalista e comportamentista di matrice laica sostiene che l’esserci della persona dipenda dalla presenza di determinate caratteristiche o funzioni. Engelhardt, ad esempio, definisce persona un soggetto adulto autonomo capace di intendere e di volere, ma la sua è una restrizione rigida che esclude non solo embrioni e feti, ma anche infanti e individui con particolari deficit mentali. Nel nostro caso consideriamo la tendenza generale, secondo cui è persona meritevole di tutela e portatrice di diritti chi possiede le caratteristiche che lo rendono in grado di manifestarsi, quindi un essere pensante e intelligente (comprendendo quindi anche molte specie animali). Per quanto riguarda lo status dell’embrione, considerato vita/individuo in potenza e non ancora in atto, non gode conseguentemente degli stessi diritti di un individuo che è già tale. I requisiti chiave perché si possa parlare di persona sono dunque caratteristiche che l’embrione ancora non ha sviluppato, ma che contiene in sé solo in potenza (dove si intende letteralmente “è potenzialmente in grado di”).

Dal punto di vista normativo, in conclusione, quando ci si trova a dover “pesare” la tutela dell’embrione e quella di un individuo in atto, il piatto della bilancia tende ad abbassarsi verso il secondo.

Ora che abbiamo compreso come la bioetica cattolica e la bioetica laica considerano l’embrione, possiamo affrontare più consapevolmente i problemi che derivano da questa scissione ideologica, i quali a loro volta renderanno sempre più chiare le concezioni sullo status embrionale.

Nella consapevolezza che si tratta di temi che coinvolgono tanto il raziocinio quanto la sfera emotiva, ci proponiamo di attenerci alla logica argomentativa e di evitare facili sentimentalismi…

Alla prossima puntata!

* Per dovere di correttezza terminologica, va specificato che nonostante molti teologi sostengano che l’embrione è persona dal concepimento, ufficialmente il magistero ecclesiastico si astiene dal prendere posizione in materia, sostenendo che vada trattato come una persona

FONTI

Mori M., Aborto e morale, Einaudi, Torino 2009.

Lombardi Vallauri L., L’embrione e le vite diversamente importanti, in Rodotà S., Questioni di bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993.

Engelhardt H.T. Jr., The foundations of Bioethics (1986), trad. it. Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano 1999.