Che cos’è la disforia di genere?
C’è ancora confusione al riguardo, quindi iniziamo da cosa non è:
non è un disturbo mentale.
Ebbene sì: l’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) ha rilasciato l’undicesima versione dell’International Classification Diseases (ICD-11, 2019), in cui la gender incongruence viene rimossa dalla categoria dei disturbi mentali e comportamentali, dislocandola nei disturbi della salute sessuale (1).
La disforia non coincide con l’orientamento sessuale, che è invece la direzione dell’attrazione del soggetto verso un altro: eterosessualità, omosessualità e bisessualità prescindono dalla percezione che si ha della propria appartenenza di genere. Non collima nemmeno con il ruolo di genere, cioè l’insieme dei comportamenti e delle aspettative che la società costruisce circa ciò che il senso comune ritiene appropriato per un maschio o una femmina.
Possiamo definire la disforia come il problema dell’identità di genere: quando un soggetto, nella propria interiorità, non avverte corrispondenza tra il sé e il sesso biologico assegnato (o capitato) al momento della nascita, si entra nell’ambito della disforia di genere.
In altri termini, l’individuo non si riconosce nel proprio corpo maschile o femminile, percependosi come appartenente al sesso opposto rispetto a quello definito dall’anatomia biologica.
Leggiamo nell’ICD-11:
«Gender incongruence is characterized by a marked and persistent incongruence between an individual’s experienced gender and the assigned sex» (2).
La disforia di genere è caratterizzata da una marcata e persistente incongruenza tra il genere esperito dall’individuo e il sesso assegnato. Da tale incompatibilità deriva un profondo malessere psicologico, dovuto al sentirsi intrappolati in un corpo che non si sente combaciare con il genere a cui si ritiene di appartenere.
Di solito, essa comporta l’annullamento della qualità della vita del soggetto, che si trova a vivere in una situazione delicata e dolorosa:
«La condizione di DG può accompagnarsi a patologie psicologiche e psichiatriche di tipo internalizzante, spesso correlate a stigma e discriminazione sociale: disturbi dell’emotività, ansia elevata, anoressia, autolesionismo, tendenza al suicidio, autismo, psicosi, dimorfismo corporeo, drop-out scolastico elevato» (3).
Si tratta, allora, di una situazione reale ed effettiva, incontrovertibile, dislocata dai disturbi mentali per limitare la ghettizzazione da parte della collettività nei confronti di chi la vive, ma inclusa nell’ICD perché considerata una condizione di salute per la quale le persone possono richiedere servizi medici (4).
Purtroppo, però, nuvole di disinformazione avvolgono la disforia di genere, che è stata definita una “malattia immaginaria” di pochi casi “da Cottolengo” (ndr: non citiamo direttamente la fonte per evitare pubblicità ma le definizioni riportate sono reali).
È superfluo sottolineare quanto degradante, umiliante e sconfortante sia lo svilimento di una condizione che provoca un disagio comprensibile solo a chi lo sperimenta; quanto presuntuosa sia la pretesa di considerare visionaria una persona che esperisce qualcosa che sì, può fare paura, ma esiste. Esiste e va presa in considerazione.
Esiste e necessita di essere accettata e affrontata.
Si è parlato di contagio sociale di bambini transgender, di teoria del gender: espressioni coniate dal timore e dall’ignoranza, che non hanno riscontro con la realtà.
Non sussiste alcun complotto che voglia costringere i nostri figli al cambio del sesso “in nome del gender”, per citare il ministro Pillon. Che poi, cosa vorrebbe dire?
Esistono ragazzi e ragazze che chiedono aiuto – e quanti altri, con tutta probabilità, non trovano invece la voce, per paura del giudizio della società? – e inclusione; hanno bisogno – e diritto – di essere riconosciuti in quanto persone e in quanto persone che vivono una situazione di difficoltà, che se ignorata può condurli a decidere che una vita in un mondo che non è in grado di accettare non vale la pena di essere vissuta.
Ce la sentiamo di averli sulla coscienza?
(1) https://icd.who.int/browse11/l-m/en#/http://id.who.int/icd/entity/411470068
(2) Ibidem.
(4) http://www.saperescienza.it/news/scienza-societa/oms-la-disforia-di-genere-non-e-piu-classificata-come-malattia-06-06-2019/2468-oms-la-disforia-di-genere-non-e-piu-classificata-come-malattia-06-06-2019. Una discussione a parte meriterebbe l’insieme dei servizi medici specializzati nell’affrontare le situazioni di disforia di genere: il primo mezzo di aiuto medico è quello psicologico, un percorso che supporti i giovani che si trovano costretti in un corpo che non sentono combaciare con la propria identità di genere. Per i casi in cui esso si riveli fallace o insufficiente, dal 2019 il Comitato Nazionale di Bioetica ha autorizzato l’utilizzo di trattamenti ormonali – nella fattispecie attraverso la triptorelina. È da specificare che non si è di fronte a una liberalizzazione massiva, ma limitata a casi particolari nei quali la diagnosi di DG è stata effettuata da parte di un’équipe multidisciplinare e specialistica. La triptorelina consente di “mettere in pausa” lo sviluppo puberale, per consentire al ragazzo/alla ragazza di avere maggior tempo a disposizione per comprendersi, per decidere se proseguire verso una transizione e valutare il proprio stato psico-fisico. Già disponibile a pagamento (quindi discriminando nell’accesso al trattamento coloro che per condizione economica non possono permetterselo), il farmaco è stato trasferito a carico del SSN (solo ed esclusivamente nei casi particolari di cui sopra) dopo un consulto che AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha richiesto al Comitato Nazionale di Bioetica. Il discorso in questione non è considerabile in una breve nota: se sei interessato ad approfondire, contatta la redazione e saremo più che liete di accontentarti. A noi sta a cuore!
FONTI:
International Classification Diseases, edizione aggiornata 2019
Si è sempre fatto così
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