Nell’articolo, Gli enigmi della realtà: De Chirico e Schopenhauer, vi avevo anticipato che avrei approfondito anche il rapporto tra il “pictor classicus”, Giorgio De Chirico, e il filosofo “trasgressore e transvalutatore”, Friedrich Nietzsche.
È lo stesso pittore De Chirico a offrirmi la possibilità di parlare di questo legame, in quanto è lui ad affermare che l’influenza della filosofia nella sua arte è molto forte: «Schopenhauer e Nietzsche, per primi insegnarono il profondo significato del non-senso della vita e come tale non-senso potesse venir trasmutato in arte, anzi dovesse costituire l’intimo scheletro d’un arte veramente nuova, libera e profonda» (1).
È chiara, quindi, questa influenza e l’affermazione del pittore testimonia la fase che ha segnato l’inizio, come avevo già analizzato nell’articolo prima citato, dell’arte metafisica di De Chirico, che si colloca in maniera parallela, con l’inizio della riflessione filosofica Nietzschiana.
Come suggerisce il titolo che ho scelto per questo articolo, voglio parlare della familiarità che lega questi due maestri attraverso tre fasi artistico-filosofiche, che hanno segnato il loro modo di pensare e agire e hanno trasformato il loro criterio di “fare arte” e “fare filosofia”.
La prima fase possiamo definirla, per l’appunto, metafisica.
È la fase in cui è forte l’influenza dei pensieri di Schopenhauer e di Nietzsche, in sintonia tra loro. Essi sono gli unici a esprimere una visione tragica dell’esistenza e dell’irrazionalità della vita.
È in questa fase che si colloca La nascita della tragedia, in cui scopriamo gli spiriti apollineo e dionisiaco, la coppia concettuale rappresentazione/volontà che sono simbolo del dualismo del mondo fenomenico e noumenico schopenhaueriano.
La forza apollinea coordina il mondo delle apparenze. È il principium individuationis di Schopenhauer: il tempo e lo spazio che ordinano la vita dell’uomo e lo illudono.
La forza dionisiaca è, invece, la lacerazione del velo di Maya e il mondo oltre l’apparenza, dove non c’è nessun principio di individuazione né causalità. È il momento dello slancio e degli istinti ed è il momento del non-senso descritto da De Chirico.
«Il non-senso del mondo nasconde un senso più profondo e tuttavia più indecifrabile, “metafisico”, che non può essere descritto, ma solo rivelato da un’immagine che l’artista ha il potere di fissare» (2).
Lo stesso filosofo privilegia l’arte, in questa fase, che è capace di penetrare nella realtà profonda delle cose. L’arte esprime il dispiegarsi dello spirito dionisiaco, della vitalità, dell’ebbrezza, dei momenti creativi, profondi ed enigmatici della vita dell’uomo.
Infatti, nella vita artistica del pittore troviamo l’Autoritratto con la dichiarazione: «Et quid amabo nisi quod aenigma est?» (che cosa amerò se non l’enigma delle cose?). La metafisica, qui, è l’enigma da cercare e squarciare per arrivare al principio di verità.
La seconda fase possiamo definirla malinconica.
Con Nietzsche ci troviamo nel momento di critica e abbandono della metafisica e della morale e, conseguentemente a questo, si verifica il tramonto dell’arte. Questa fase si apre con Umano, troppo umano in cui è chiaro il sentimento di separazione dalla tradizione di un pensiero filosofico occidentale e si desume che l’illusione della metafisica sta nella pretesa del pensiero di giungere alle “cause prime” dell’essere, riconducendolo a una conoscenza certa e universale.
Parallelamente, De Chirico vive una separazione simile. Nei suoi quadri, i manichini si umanizzano, diventano gli emblemi di stati d’animo malinconici e solitari. Questa umanizzazione attesta proprio il distacco lento dal trascendentale dei suoi primissimi quadri e l’avvicinamento alla realtà, che culminerà, tra il 1918 e il 1919, con la fine dell’esistenza della metafisica.
La cessazione della metafisica si può ricondurre all’esclamazione Nietzschiana: «Dio è morto!» (3). Come ci chiarisce Martin Heidegger: «“Dio” è il termine per designare il mondo delle idee e degli ideali […] Così l’espressione “Dio è morto” significa che il mondo ultrasensibile è senza forza reale, non dispensa vita alcuna. […] Se Dio, come causa ultrasensibile e come fine di ogni realtà, è morto, se il mondo delle idee ultrasensibile ha perduto la sua forza normativa, e soprattutto la sua forza di risveglio e di elevazione, non resta più nulla a cui l’uomo possa attenersi e secondo cui possa regolarsi. […] “Dio è morto” è la constatazione che questo nulla dilaga. “Nulla” significa qui: assenza di un mondo ultrasensibile e vincolante» (4).
In questa fase di distruzione, «l’ora del grande disprezzo» (5), il nulla si configura come il nichilismo passivo di Nietzsche, è il vuoto che si manifesta col venir meno di ogni certezza e di ogni valore universale che, di conseguenza, fa emergere una condizione d’esistenza malinconica. Condizione che vivono in maniera intensa sia Nietzsche, che De Chirico.
Nei suoi quadri, infatti, i manichini, rappresentati nella condizione di solitari o in coppia, sono «immobilizzati nell’iconografia della Malinconia» (6) e còlti in un momento di metamorfosi: dai ventri fuoriescono paesaggi e templi come nell’Archeologo, nel cui grembo sono posti capitelli, anfiteatri e ponti.
Proprio dal vuoto inizia la terza fase, quella dell’Oltreuomo.
Per Nietzsche questo è l’uomo che ha reciso completamente i legami con la trascendenza e sa dire sì alla vita e al mondo. È l’uomo che recupera la sua dimensione terrena: un soggetto che ha un corpo, che desidera, è fatto di istinti e pulsioni. Egli esprime la rinascita e la liberazione del dionisiaco.
L’Oltreuomo è «il senso della terra» (7), come ci dice il filosofo in Così parlò Zarathustra, perché rifiutando una volta per tutte ogni tentazione di metafisica, dichiara la sua fedeltà alla terra, cioè recupera l’amore per la vita e il mondo.
Dichiarare fedeltà alla terra vuol dire accettare l’eterno ritorno. L’idea è che il tempo abbia un andamento ciclico per il quale ciò che ha fine è destinato a tornare di nuovo. Questo è il tempo arcaico legato al ciclo stagionale della natura e delle attività agricole.
Accettarlo è un atto pratico: è volere ogni attimo come se esso ritornasse sempre e per l’eternità. Accettarlo vuol dire annunciare il ritorno pieno alla natura.
Allo stesso modo De Chirico, come un superuomo solitario, inizia un nuovo percorso, in cui dipinge soprattutto nudi, ritratti e nature morte, non più fantocci “anonimi” e impenetrabili.
Siamo nel 1932. Le forme dei nuovi dipinti esorcizzano la morte e affermano la vita, la ciclicità e il ritorno eterno.
Come scrive in Zeusi l’esploratore, «cominciavo a scorgere i primi fantasmi d’un arte più completa, […] più metafisica. Nuove terre apparvero all’orizzonte. […] Come frutti autunnali siamo ormai maturi per la nuova metafisica. […] Siamo esploratori pronti per nuove partenze. […] È l’ora… «Signori, in vettura!» (8).
Questa nuova arte «più metafisica», post-metafisica, non attesta solo un cambiamento di stile, ma proprio di una visione del mondo che, inizialmente, lo induceva a frapporre fra sé e la realtà un velo illusorio che la sua pittura doveva scovare e tagliare per vedere la verità.
Nel nuovo pensiero artistico di De Chirico è presente un’aperta comprensione del mondo e non più rappresentazioni enigmatiche e trascendentali. Il pittore scopre la consistenza della realtà, scopre la dimensione terrena del reale e cerca nella pittura una materia che la rappresenti.
Questa scoperta, per De Chirico, ha un senso di vera e unica liberazione.
(1) M. Calvesi, Da metafisico a psicofisico, in “De Chirico ART DOSSIER” 28, Firenze, 2007, paper 50, p. 5.
(2) M. Calvesi, Da metafisico a psicofisico, in “De Chirico ART DOSSIER” 28, Firenze, 2007, paper 50, p. 5.
(3) F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, Milano, 1986, XVII-425.
(4) M. Heidegger, Sentieri interrotti, traduz. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze, 1984, XII-356.
(5) F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Prefazione 3, Adelphi, Milano, 1986, XVII-425.
(6) G. Mori, Il ritorno al mestiere, in “De Chirico ART DOSSIER” 28, Firenze, 2007, paper 50, p. 39.
(7) F. NIetzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Prefazione 3, Adelphi, Milano, 1986, XVII-425
(8) G. Mori, La Musa di Ferrara, in “De Chirico ART DOSSIER” 28, Firenze, 2007, paper 50, p. 35.
Bibliografia
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 1977;
Id., Umano, troppo umano. Volume primo, Adelphi, Milano, 1979;
Id., Umano, troppo umano. Volume secondo, Adelphi, Milano, 1979;
M. Calvesi, G. Mori, De Chirico ART DOSSIER 28, Giunti, Firenze, 2007.
Iconografia
G. De Chirico, Autoritratto (Et quid amabo nisi quod aenigma est?), 1911;Id., L’archeologo, 1926-1927.
Foto di De Chirico di Paolo Monti – Disponibile nella biblioteca digitale BEIC e caricato in collaborazione con Fondazione BEIC. L’immagine proviene dal Fondo Paolo Monti, di proprietà BEIC e collocato presso il Civico Archivio Fotografico di Milano. Servizio fotografico : Italia, 1970 / Paolo Monti. – Buste: 5, Fototipi: 5 : Negativo b/n, gelatina bromuro d’argento/ pellicola ; 6×6. – ((Serie costituita da 5 buste di carta, tenute insieme da una graffetta, identificate con i nn.: R4289, R4290, R4291, R4292, R4293. – Sulla busta R4084: “De Chirico”. – Il negativo R4292 è l’artista Cardarelli. – Occasione: Documentazione in occasione della mostra di De Chirico e Dova . FONTE – nessun provento è stato realizzato dall’utilizzo di questa immagine
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