Quando si pensa a politiche proprie della destra, sembra impossibile credere che esse possano accogliere delle istanze femministe. Un atteggiamento conservatore, infatti, non favorirà l’avanzamento sociale di alcuna minoranza, né dal punto di vista dei diritti civili né da quello dei diritti sociali. Specularmente, si ritiene che chiunque si definisca femminista sia il più lontanə possibile da comportamenti e idee discriminatorie.
Eppure, secondo la sociologa Sara Farris, esiste un paradossale fenomeno che riesce a mettere d’accordo queste dimensioni tanto diverse, quello del femonazionalismo, ossia la congiunzione, come intuibile dal termine, tra femminismo e nazionalismo.
Questa si esplica non solo nell’apparente (perché mai veramente genuina) sussunzione, da parte dei partiti di destra, di alcune narrative suppostamente progressiste, ma anche nell’adesione di femministe dichiarate ad alcuni programmi di questi partiti. Pensare che questa strana “convergenza”, così come la definisce Farris, accada spontaneamente, sarebbe ingenuo, e difatti esiste un terreno comune che permette la nascita e la sopravvivenza di questo fenomeno, ossia l’islamofobia, o più precisamente l’odio nei confronti dell’uomo musulmano.
È per contrastare questa figura, infatti, che i partiti di destra si dimostrano tanto interessati alla sicurezza delle donne, che andrebbero protette da quello che viene individuato come l’oppressore misogino per eccellenza. Questa posizione corrisponde a un crudo nazionalismo, perché questa millantata difesa delle donne è solo funzionale alla “protezione dei confini”, all’esclusione, se non fisica almeno politica, di un’intera categoria sociale dal mondo occidentale. Insomma, questa narrativa non è altro che un ulteriore modo in cui viene portata avanti la war on terror.
Cosa c’entrano però le femministe in tutto questo?
Dovrebbero essere loro, infatti, a smascherare questi atteggiamenti, dimostrando quanto la discriminazione che portano avanti sia aberrante. Purtroppo, invece, accade che esse dimostrino il loro privilegio da donne occidentali, affermando di credere fortemente nella necessità di opporsi alla figura dell’uomo musulmano, non tanto in questo caso per proteggere la propria nazione, quanto per “salvare” le donne musulmane, che vengono ritenute oppresse a priori, senza che le loro opinioni vengano veramente ascoltate, e soprattutto mettendole in contrapposizione alla donna occidentale, che in questo discorso viene presentata come quella completamente emancipata. Implicando ciò, queste “femministe” si posizionano esattamente all’opposto dell’intersezionalità che dovrebbe stare alla base di ogni pratica politica e teorica davvero inclusiva, segno del fatto che la decostruzione dell’islamofobia nei paesi occidentali è una pressante necessità.
Tuttavia Farris si sente in dovere di estendere la sua tesi, spiegando che la convergenza su queste posizioni è resa possibile proprio dal sistema neoliberale, che estendendo per sua natura la logica economica a ogni campo del reale, fa sì che considerazioni di questo tipo siano sottese a qualsiasi discorso, anche quelli che appaiono come prevalentemente identitari. In questo senso, dunque, sarebbe particolarmente conveniente prendere l’uomo musulmano come capro espiatorio di ogni male dell’Occidente perché quest’ultimo non saprebbe che ruolo attribuirgli nel sistema economico.
Allora la teoria del femonazionalismo, così come declinata da Farris, è significativa nella misura in cui ci mette in guardia dalle strumentalizzazioni delle narrative femministe, che appunto rimarranno sempre tali e non potranno mai davvero essere al servizio del progresso.
Ma lo è ancora di più in quanto ci spinge a riflettere sui nostri privilegi da occidentalə, i quali ci caratterizzano al di là delle politiche che possiamo abbracciare, e che sarebbe nostro dovere mettere in discussione, evitando il più possibile che influenzino in negativo la vita altrui.
Bibliografia
S. Farris, Femonazionalismo. Il razzismo in nome delle donne, Roma, Edizioni Alegre, 2019.
J.K. Puar, Terrorist Assemblages: Homonationalism in Queer Times, Durham, Duke University Press, 2007.
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