Le Donne e la Resistenza

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«Ogni contrada è patria del ribelle/ Ogni donna a lui dona un sospir/ Nella notte lo guidano le stelle/ Forte è il cuor e il braccio nel colpir/ Nella notte lo guidano le stelle/ Forte è il cuor e il braccio nel colpir.» (1)

Se anche voi siete antifascist* (lo ben speriamo), se anche voi credete profondamente nella Resistenza, vi sarete ritrovat* tante volte a cantare queste strofe, con orgoglio e sentimento.

Come molte canzoni di questo genere e su questi temi, queste righe di Fischia il vento sono un insieme di “slogan”, di frasi che ci smuovono le viscere, che si fissano come chiodi in certi emisferi del nostro cervello e non ci abbandonano più. Come tutti gli slogan, però, hanno i loro limiti: banalizzano, semplificano e, se ci si ferma ad analizzarli, ci si rende conto che qualcosa non va.

Nelle strofe che hanno aperto l’articolo, ad esempio, compare l’immagine di donne che, un po’ passive, sospirano vedendo il partigiano, percepito come eroico, forte e virile.

Le donne, insomma, in queste frasi, si limitano a guardare e ammirare il combattente sfilare in tutta la sua fiera mascolinità. 

Le cose, in realtà, non stavano proprio così durante la Resistenza.

Le donne non si limitarono mai solo ad osservare passivamente. Esse furono partigiane come gli uomini, aiutarono, lottarono, furono ammazzate, rischiarono la pelle proprio come i fieri partigiani maschi celebrati da centinaia di canzoni che tant* di noi sanno a memoria. 

Infatti, la Resistenza rappresentò per le donne un «momento di rottura e rinascita» (2) e si intrecciò con molte «minuscole – ma per loro gigantesche – lotte di liberazione personale […] che tutte insieme, danno vita a una grande, inedita guerra di liberazione delle donne» (3).

Nelle lotte partigiane femminili, insomma, si possono trovare i prodromi del femminismo, le avvisaglie di un’irrequietezza che troverà un aperto sfogo qualche decennio più tardi.

Le donne non volevano più solo stare al loro posto di madri, figlie, sorelle. Non volevano più solo aspettare a casa, ma intervenire, non lasciarsi scorrere sopra e accanto di loro la storia, ma produrla, loro stesse in prima persona. Certo, non tutte diventarono o furono femministe, ma tutte – nei numerosi modi in cui contribuirono – decisero di non stare a guardare

Durante la Resistenza ebbero vari ruoli e anche quelli apparentemente più “semplici” potevano far loro rischiare, se non addirittura la vita, una scorpacciata di olio di ricino.

Questo, però, non le fermò. 

Alcune nascondevano i soldati e li nutrivano. Cucivano loro vestiti nuovi e/o che – a differenza delle divise – non attirassero l’attenzione. Davano loro delle scarpe. Se ne prendevano cura, come fossero loro stessi figli. Altre iniziarono a fare attivamente politica, nonostante gli sguardi non convinti di alcuni compagni di partito.

Ci furono le staffette. Spesso, infatti, il ricordo del contributo della donna durante la Resistenza si limita a menzionare proprio loro, le famose “staffette”, ossia a le “messaggere” che mettevano in comunicazione le varie brigate partigiane, trasportando messaggi, ma non solo: a volte anche armi, munizioni e bombe. 

Ci furono, però, a dire il vero, anche numerose combattenti. Molte donne, infatti, non si fecero problemi ad imbracciare un fucile e a lottare – non metaforicamente, ma letteralmente – contro i fascisti. Talune assunsero anche ruoli di comando all’interno delle brigate, dimostrando la medesima forza e il medesimo valore in battaglia degli uomini. 

Loro, però, non sono altrettanto cantate.

Se tante italiane hanno contribuito alla lotta partigiana, una domanda sorge spontanea, a questo punto: perché non se ne parla?

È vero, la storia è scritta principalmente dagli uomini e gli “artefici” della Repubblica e della Costituzione italiane erano per la maggioranza di sesso maschile.

È triste dirlo, però, – in realtà –  una parte della responsabilità di questa mancanza di memoria è delle donne stesse, talmente abituate dalla società patriarcale a stare nell’ombra, che sono spaventate da quello che le altre persone potrebbero dire o fare quando decidi di iniziare a brillare.

«Quante donne hanno introiettato il sacro terrore del proprio potere a causa dell’invidia! Quella maschile, ma a volte anche femminile. […] Allora le altre, quelle “diverse” si fanno piccole perché hanno imparato a caro prezzo che se sei femmina devi stare in secondo piano, devi tacere e non avere troppe idee, altrimenti perderai l’amore della famiglia o del tuo compagno, oppure, come Lucia Canova, resterai sola come un cane. […] In qualche modo, la pagherai.» (4)

Non tutte sono così forti da iniziare a fregarsene, perché è difficilissimo far tacere quelle “voci” che dicono alle donne di stare zitte e buone.

Le abbiamo talmente tanto interiorizzate che a volte ci convinciamo che deve essere così. 

Le donne della Resistenza, insomma, sia che abbiano continuato poi a lottare – diventando attiviste e  politiche –  sia che si siano ritirate a vita privata, hanno dimostrato che si possono combattere tante battaglie contemporaneamente. 

La prima lotta è contro se stesse e quella vocina interiore che ci dice di “fare le brave”; la seconda è contro gli uomini che vogliono mantenere il patriarcato e il maschilismo e, infine, contro il nazi-fascismo, che aveva devastato la loro Italia. I nemici erano tanti e su tanti fronti e quello che ci sarebbe stato dopo era ancora più incerto.

È, quindi, ancora più giusto ricordarle, anche qui su Filosofemme.

Perché?

Perché siamo femministe, perché anche noi filosofe – come le partigiane – siamo state troppo a lungo dimenticate, ma anche perché, l’autrice del libro che ha costituito la fonte principale di questo articolo, La Resistenza delle donne, Benedetta Tobagi, è una di noi. 

Grazie allora a Maddalena Cerasuolo, Clementina Ciecato, Iris Versari, Gina Negrini, Albina Caviglione Lusso, Maria Bronzo in Negarville, Lucia Rosso, Maria Teresa Regard, Carla Capponi, Lucia Canova, Lydia Franceschini, Cesarina Carletti, Bianca Guidetti Serra, Teresa Mattei, Mafalda Travaglini, Prima Vespignani, Tina Anselmi, Ida D’Este, Adriana Fava, Irma Bandiera, Alma Baral, Livia Savorgnan, Cita Brignone, Viola Lageard, Lisli Carini, Mariassunta Fonda Gaydou, Bianca Ceva, Dilva Daoli, Lea Baravalle, Laura Polizzi, Lucia Sarzi, Tisbe Bigi, Marisa Ombra, Elsa Oliva,  Vittoria Gandolfi, Zelinda Resca, Gina Negrina, Rosa Biggi, Giulietta Fibbi, Giovanna Barcellona, Ada Prospero, Tina Merlin, Rina Picolato, Ada Gobetti, Teresa Bosco, Aida Tiso, Giuseppina Scotto, Carlotta Buganza, Onorina Brambilla, Olema Righi, Giovanna Zangrandi, Teresa Cirio, Vera Vassalle, Lucia Boetto Testori, Teresa Mattei, Frida Malan, Modesta Rossi, Gina Negrini, Maria Bertoldi, Aurora Varignana, Lidia Brisca Menapace, Matilde Di Pietrantonio, Ines Pisoni, Gina Negrini (5) e tante altre come la mia bisnonna – che nascose svariate volte la sua amica partigiana – e alla sua amica partigiana, di cui so a malapena il nome, ma che vive da sempre come una figura eroica nei miei ricordi. 

FONTI:

(1) F. Cascione(nome di battaglia Meg), Fischia il vento, anni Quaranta.

(2) Tobagi B. La Resistenza delle donne, Torino, Einaudi, 2022, p.65.

(3) Ivi, p.66.

(4) Ivi, p.302-303.

(5) I nomi sono stati presi da tutte le pagine del libro Tobagi B. La Resistenza delle donne, Torino, Einaudi, 2022.

immagini di copertina con utilizzo non commerciale. la redazione rimane a disposizione. Valerio Petrelli – Milan, 26 April 1945 – Picture representing three partisan women giving back guns to allied after the Liberation