Michel de Montaigne, filosofo francese di fine Cinquecento, affermò per primo l’importanza di riservarsi una «retrobottega», ossia uno spazio proprio – una libreria, uno studio, un luogo sia metaforico sia concreto – «ivi discorrere e ridere» (1) e cominciare la propria riflessione. La retrobottega rappresenta una dimensione di elezione – e, nel suo caso, uno spazio di privilegio – in cui il sapiente, nella calma più assoluta, può dare origine alla sua meditazione, stabilendo così la propria libertà, il proprio ritiro e solitudine (2).
Qualche secolo più tardi, più precisamente nel 1928, la celebre scrittrice inglese, Virginia Woolf, invitata a tenere una serie di conferenze sul tema del rapporto tra donne e romanzo, riflette sul perché vi sia scarsezza di opere femminili in ambito letterario.
Woolf si interroga a lungo sui motivi di questa mancanza, giungendo a una conclusione significativa: «se vuole scrivere romanzi una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé» (3). Woolf ci consegna un’analisi attenta, nonché estremamente attuale, in merito alla costante esclusione operata dalla cultura patriarcale che ha da sempre relegato le donne ai margini del sapere, impedendo loro di accedervi o di contribuirvi in maniera attiva. Questa cultura è la stessa che ha stabilito il dominio maschile in ogni aspetto della vita quotidiana, non consentendo, in ugual misura, alle donne di emergere per i propri talenti.
Tale discriminazione nei confronti del genere femminile viene portata avanti dai tempi più antichi ed essa è passata attraverso la riduzione degli spazi a cui le donne potevano avere libero accesso. All’interno di Una stanza tutta per sé, infatti, Wolf denuncia l’esistenza di un sapere ancora appannaggio di un gruppo ristretto di persone, costituito principalmente da uomini. Rilevante, in tal senso, è la figura del Custode, che emerge nelle prime pagine dell’opera, poiché questi sbarra il cammino a colei che osa varcare, senza alcun accompagnamento, i confini dell’immaginario college di Oxbridge.
Woolf ritiene che la differenza tra la condizione femminile e maschile consista proprio nell’impossibilità da parte delle donne di poter possedere uno spazio proprio e un’indipendenza economica.
Le donne sono storicamente più povere degli uomini e godono anche di minore autonomia: questo si riflette anche sulla loro minore presenza in contesti intellettuali. Oltre alle differenti opportunità, la scrittrice insiste soprattutto sul senso di sfiducia che viene infuso nelle donne che desiderano avvicinarsi a ruoli ricoperti da figure maschili:
«Ma per la donna, pensavo guardando gli scaffali vuoti, tali difficoltà erano infinitamente più formidabili. In primo luogo avere una stanza tutta per lei, e non parliamo di una stanza silenziosa o a prova di rumore, cosa impensabile a meno che i suoi genitori non fossero eccezionalmente ricchi o molto nobili […]. Tali difficoltà materiali erano terribili; ma assai peggiori erano le condizioni immateriali. […] A lei il mondo non diceva, come agli uomini, Scrivi pure, se vuoi; per me non fa alcuna differenza. Il mondo sganasciandosi dalle risate le diceva: «Scrivere? E a che ti serve scrivere?» (4).
Lo sguardo inibitorio maschile ha indotto le donne per secoli – e ancora oggi – a dubitare delle proprie capacità, al punto che alcune, col tempo, hanno spontaneamente rinunciato a mettere a frutto il loro potenziale.
Le considerazioni di Woolf sono particolarmente preziose in quanto mostrano quanto le disuguaglianze tra uomo e donna non siano dovute a differenze costitutive – come l’approccio biologico alle questioni di genere suggerirebbe – bensì a ragioni di natura materiale. Avere una stanza tutta per sé significa, infatti, godere di una dimensione di calma, dove la mente possa trovare il suo agio e dare sfogo al proprio genio: «ci deve essere libertà e ci deve essere pace» (5) affinché si possano comporre opere, scrivere romanzi o poesie ed elaborare nuove forme di sapere. Per questo motivo, al termine del suo saggio, Woolf conclude:
«La libertà intellettuale dipende da cose materiali. La poesia dipende dalla libertà intellettuale. E le donne sono sempre state povere, non solo da duecento anni a questa parte, ma dall’inizio dei tempi. […] Le donne, infine, non hanno avuto la minima possibilità di scrivere poesia. Ecco perché ho insistito tanto sul denaro e sulla stanza propria» (6).
(1) Cfr. M. Montaigne, Saggi, trad. it. di F. Garavini, note di A. Tournon, Bompiani, Milano, 2012, p. 433.
(2) Ibidem.
(3) Cfr. V. Woolf, Una stanza tutta per sé, trad. it. di. M. A. Saracino, Einaudi, Torino, 2016, p. 5.
(4) Ivi, pp. 107-109.
(5) Ivi, p. 213. (6) Ivi, p. 221.
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