«No alla droga, sì alla vita»
«La droga uccide»
Sono classiche forme di slogan per campagne contro l’uso di stupefacenti: da un lato della bilancia c’è la vita e dall’altro la droga. Più la bilancia pende dal lato di hashish, cocaina e via dicendo, più la vita si accorcia. Un messaggio chiaro e forte, ma che affronta il problema solo dal punto di vista delle conseguenze prodotte dalla dipendenza.
E per quanto riguarda le cause? Perché ci si droga? Cosa si cerca?
Nel suo interessante testo pubblicato quest’anno (1), Alessandro Paolucci analizza il rapporto tra droga e filosofia alla luce delle vite di alcuni grandi autori del pensiero occidentale, offrendo risposte originali a questa domanda.
Il punto di partenza di Paolucci è lo scardinamento del classico modo di pensare alla filosofia tracciato attraverso il confronto con la letteratura. Non sorprende che moltə scrittorə e illustri letteratə avessero delle dipendenze, da Baudelaire a Bukowski. In fondo, il compito dellə scrittorə è sempre stato quello di raccontare la vita, e assumere stupefacenti serviva spesso a renderla più sopportabile. Viceversa, la filosofia ha il compito di raccontare la Verità e, a prima vista, la droga non sembra prestarsi bene a questo ruolo, dato che spesso la altera e provoca illusioni.
Tuttavia, questa intricata ricerca ha richiesto spesso mezzi più creativi di quelli a cui potremmo pensare. Guardiamo un manuale di filosofia e troviamo i concetti classificati sistematicamente, per capitoli e paragrafi; una disposizione utile alla comprensione che rende però poca giustizia al processo di elaborazione di un’idea. L’ordine e la linearità sono frutto del paziente lavoro di interpretə e studiosə che hanno organizzato vite e pensieri di uomini e donne dalle mille domande, alcunə dei quali hanno fatto ricorso all’ausilio di sostanze stupefacenti per tentare di trovare delle risposte.
Esaminando le vite di otto pensatori (2) vissuti in luoghi e tempi diversi, emergono tre possibili usi della droga a scopo filosofico.
La prima via è quella che potremmo definire epistemica. Molte sostanze, dal ciceóne (3) usato ai tempi di Platone alla più ben nota anfetamina preferita da Sartre, sono state considerate chiavi d’accesso alla Verità. Per Platone, i rituali religiosi in cui abitualmente si consumava questa bevanda allucinogena permettevano di raggiungere l’epoptéia, ossia «la visione di una realtà nascosta e meravigliosa» (4). I culti misterici svelavano, così, l’esistenza di una realtà al di là della percezione fenomenica, quella delle anime libere dalla pesantezza del corpo. Secondo Platone, questa scoperta non doveva rimanere appannaggio di pochi eletti, ma «andava approfondita, insegnata e trasmessa a tutti coloro che desideravano essere iniziati alle verità più alte» (5). Quindi, per Platone la droga era il mezzo tramite cui accedere alla Verità che andava indagata e divulgata attraverso un incessante confronto dialettico.
Anche nella vita di Sartre la droga occupa un ruolo fondamentale, ma non è essa stessa la portatrice di verità nascoste, bensì uno strumento per accelerare i processi cognitivi. Il Corydrane era una garanzia di produttività e rapido progresso nella scrittura, e dava soprattutto la possibilità di assurgere al sogno di ogni filosofo: non sentire più il corpo, essere un puro spirito che produce intensamente pensiero al meglio delle sue capacità, entelechia dopata. (6)
Dunque, anche per due figure così diverse come Sartre e Platone, le sostanze stupefacenti diventano un importante strumento di ricerca.
Il ruolo filosofico-politico delle sostanze stupefacenti, si scopre invece ripercorrendo le opere di Walter Benjamin e di Michel Foucault. La droga è strumento di contestazione, questa non suona certo come una novità (basti pensare al suo largo uso negli ambienti ribelli sessantottini), ma in che senso può diventarlo anche da un punto di vista filosofico?
Per Foucault, ad esempio, la droga è uno dispositivo di controllo: i meccanismi di potere ne hanno assunto il monopolio (in senso farmacoterapico) per curare i pazienti e controllarli:
«Il potere, nel corso degli ultimi secoli, non aveva più avuto bisogno delle torture e dei supplizi per ridurre i soggetti alla disciplina, perché in sempre maggiori ambiti gli erano più che sufficienti i nuovi strumenti di controllo, dal famoso modello del Panopticon, alle droghe antiche e nuove, sostanze vietate nel mondo civile, ma al tempo stesso presenti in tutte le infermerie, che siano quelle di un ospedale, di un manicomio, di una caserma, di un carcere. Il potere le usa, osserva Foucault, ma non permette che siano usate da altri.» (7)
Allora, per riappropriarsi del corpo è necessario sperimentare vari tipi di droghe e interrompere l’artificiosa opposizione tra normale e patologico, creata dai meccanismi di potere per assoggettare meglio le masse.
Anche Benjamin vede le sostanze come mezzi di contestazione. Esse si oppongono alla rigidità del capitalismo rompendo gli asfissianti ingranaggi della produzione e aiutando l’uomo a scoprire una serie di significati nuovi in una realtà monotona e ordinaria (8). La droga rende chi la assume completamente disinteressato nei confronti della materialità della vita, lasciando finalmente spazio alla mera contemplazione.
C’è poi un terzo motivo per fare uso di droghe, probabilmente più vicino alla nostra comprensione, e possiamo indagarlo ripercorrendo la vita di Nietzsche: la fuga dal dolore. Sebbene Paolucci si guardi bene dal dire che il pensiero e lo stile di Nietzsche siano frutto solo del suo ampio consumo di stupefacenti, non è sbagliato riflettere sul fatto che l’assunzione di droghe abbia rivelato una verità esistenziale al filosofo tedesco: allontaniamo il dolore con ogni mezzo possibile, fisicamente con la droga e spiritualmente costruendo una metafisica consolatoria che ci illude di essere parte di uno schema generale, dove tutto ha un senso preciso. Per quest’umanità troppo umana che ricorre a Dio e all’oppio per fuggire dal vuoto, c’è bisogno proprio di un Superuomo.
Non che basti l’annuncio di Zarathustra per indurre l’uomo ad abbandonare i propri vizi, ma chi lo sa… aspettiamo e vedremo.
Grazie a Il Saggiatore!
(1) A. Paolucci, Storia stupefacente della filosofia. Oppio, Lsd e anfetamine da Platone a Friedrich Nietzsche, Il Saggiatore, Milano 2022.
(2) Platone, Marco Aurelio, Sigmund Freud, Friedrich Nietzsche, Walter Benjamin, Ernst Jünger, Jean-Paul Sartre, Michel Foucault.
(3) «ciceóne s. m. [dal gr. κυκεών -ῶνος, der. di κυκάω «mescolare»]. Presso gli antichi Greci, nome dato a ogni bevanda composita, ma particolarmente, nei riti misterici di Eleusi, a una mistura di acqua, farina d’orzo e menta che veniva bevuta dagli iniziati ai misteri, rompendo in tal modo il digiuno rituale» in Treccani.it – Enciclopedia on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
(4) A. Paolucci, op.cit, p.14.
(5) Ivi, p. 33.
(6) Ivi, pp. 147-148.
(7) Ivi, p. 171.
(8) Ivi, p. 115.
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