Abbiamo così tanto in comune con Margherita Hack

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Su Filosofemme parliamo di persone o cose che viaggino nell’orbita della filosofia.

Perché scrivere, allora, un articolo su Margherita Hack?

Proprio due mesi fa è uscito un film TV della RAI dedicato alla scienziata Margherita delle stelle. Ma no, non è questo il motivo. Anche perché, per quanto sia un prodotto carino, la pellicola non lascia molto margine per approfondimenti. Edulcorato e molto biografico, lascia poco spazio per il suo pensiero, poco spazio per il suo attivismo su tantissimi fronti.

Poco spazio, anche, sulla sua lingua cortese, ma tagliente. 

Diffonderemo allora le sue scoperte scientifiche? Nemmeno, perché chi scrive non ne ha minimamente le competenze. Tratteremo di Hack perché, nonostante appartenesse ad un mondo non-filosofico (che poi: è davvero così distante dal nostro?), abbiamo con lei così tante cose in comune.

Se si fosse limitata a fare la scienziata e a svolgere semplicemente ricerca, non saremmo qui a parlarne.

Perché amarla tanto, anche da filosof*? 

Prima di tutto perché è stata una divulgatrice. Ha avvicinato tutt* noi ignorant* a materie complicate come l’astrofisica. Ci ha spiegato, a suo modo, quel cielo bellissimo che osserviamo – tra emozione e sbalordimento – quando non siamo circondat* dall’inquinamento luminoso e nelle serate serene e, magari, piene di lucciole. 

Hack ha avuto una fama mondiale, è stata direttrice del Dipartimento di Astrofisica di Trieste, ha lavorato presso osservatori americani ed europei e ha partecipato a gruppi di lavoro dell’ESA e della NASA.

Nonostante ciò, non si è mai dimenticata di guardare anche giù, verso noi “comuni mortali”, e, scendendo dalla torre d’avorio, ha sempre cercato di spiegarci quelle cose lontane e misteriose che sono le stelle e i pianeti. Nel nostro piccolo, anche noi  abbiamo lo stesso obiettivo: cerchiamo di avvicinare il pubblico alla filosofia, rendendola semplice, pop, quotidiana. 

Amiamo la studiosa anche per il suo attivismo e la sua lucidità e onestà intellettuale.

Si è battuta tutta la vita contro le pseudoscienze e a favore della razionalità. Fu una delle menti fondanti del CICAP (1) e fu presidente onoraria dell’UARR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) (2). Antifascista e anticapitalista, una donna scienziata in un mondo e in un campo prettamente maschili deve aver sentito, profondamente, le ingiustizie subite dalle minoranze. Per loro lotta tutta la vita, tanto che nel 2010 viene premiata come “Personaggio Gay dell’anno” per la sua difesa dei diritti civili e del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali (3). Si iscrive all’Associazione Luca Coscioni e si batte a lungo a favore dell’eutanasia.

Da quanto accennato sopra, possiamo intravedere quanto la scienziata si sia espressa anche su questioni etiche, guidata da una morale atea e a favore della libertà personale.

Queste riflessioni sono raccolte in un piacevole libro scritto da Giulia Innocenzi e Margherita Hack poco prima della morte di quest’ultima: La stella più lontana. Riflessioni su vita, etica e scienza (4). Il libro, che si presenta come un dialogo tra la scienziata e la giornalista, tratta principalmente il tema dell’eutanasia, ma presenta altri argomenti estremamente interessanti.

È evidente una forte critica verso le ingerenze della religione sulla politica, ma anche verso la passività con cui in Italia guardiamo ai problemi cosiddetti “etici”. 

Secondo la scienziata, il popolo italiano – al di là dell’interiorizzato cattolicesimo – se ne frega di certi temi, oppure se ne interessa solo quando viene catturato dal punto di vista emotivo, solo sull’ondata del momento. In qualche modo, poi, però, gli passa. Questo menefreghismo del paese, più interessato alla riforma delle pensioni – perché li «tocca da vicino!» (5) –  che all’eutanasia o temi simili, per Hack  si ripercuote sulle loro pessime scelte politiche nel momento del voto. 

In quest’aria di disinteresse generale, lo Stato ti lascia sol* quando vuoi compiere certe scelte, come il cosiddetto suicidio assistito, e allo stesso modo ti abbandona quando decidi di abortire.

I governi paiono lavarsene le mani, di certe questioni: tutto viene messo nelle mani del Parlamento, il quale, però, sembra parlare di problemi così essenziali e delicati «come se parlasse di tasse o di pensioni» (6).

Per Hack questo è colpa della “sindrome partitica”: i partiti fanno una sorta di braccio di ferro anche su questioni che, fondamentalmente, riguardano i diritti civili, dimenticando che essi «ci riportano diritti al nucleo della Costituzione, e in quella direzione dovrebbero avere il coraggio di andare» (7). Questo “sforzo” politico dovrebbe andare di pari passo con un allontanamento dalla Chiesa, che è stata sempre considerata «tenutaria ufficiale della sfera etica» (8).

Con questo Hack vuole insistere su quanto i comportamenti giusti e la moralità non dipendano dalla religione, ma siano, in realtà, valori laici.

Oltre a parlare di eutanasia, aborto e altri temi che per la scienziata non hanno davvero importanza etica in senso stretto, poiché dovrebbe tutto essere lasciato alla libertà personale, senza le ingerenze di nessuno, Hack si pronuncia anche su quelle che per lei sono questioni etiche vere e proprie, in quanto pubbliche, come  la creazione di embrioni ibridi uomo-animale.

Con questi ibridi, si rischia di avere «una sottospecie di esseri, di schiavi, di quasi-uomini che, però, sono avvertiti come animali…[…]. Già si sfruttano atrocemente gli animali, sfruttare degli esseri a metà tra animale e uomo, e quindi con capacità più elevate di sentire, di soffrire» (9) sarebbe terribile.

In queste righe, notiamo un altro tema caro alla studiosa: l’animalismo. Nata vegetariana da genitori vegetariani, in una delle sue interviste più note dice:

«noi ci domandiamo se gli animali hanno una coscienza, ma noi abbiamo una coscienza quando sopportiamo le atrocità di questi lager che sono gli allevamenti intensivi […]? Noi siamo animali come loro, noi facciamo parte della specie dei primati. Immaginiamoci uno dei nostri bambini, appena nato, tolto alla madre, chiuso in una gabbia, legato, rimpinzato di mangiare perché cresca in fretta […]. Questo è quello che succede ai vitelli, che succede ai maialini» (10).

Tornando al libro, sempre sul tema, la scienziata riconduce la crudeltà umana verso gli animali ad una mancanza di umiltà: ci dimentichiamo di essere simili a loro e che loro, come noi, amano e soffrono.

«Certo, poi noi siamo animali con un cervello più complesso, però quando si tratta di istinti, di sentimenti… Non c’è tutta questa differenza. E sono anche utili per capire il modo migliore di comportarsi anche per queste tematiche di cui parlavamo. Quando un animale è malato, quando è incurabile, tutti noi siamo disposti a dire: “Perché dobbiamo farlo soffrire così?”. Lo stesso bisognerebbe pensare per gli uomini» (11).

Ribadisce, insomma, che tra noi e loro non c’è nessuna differenza, ma che anzi siamo noi a crearle usando due pesi e due misure. 

Un altro argomento di cui si occupa– anch’esso ritenuto propriamente etico – è quello dell’eugenetica. La studiosa si dice favorevole se si intende tale parola in senso moderno e non con l’accezione nazista dell’«uccidere gli storpi e i malati» (12).

Oggi l’eugenetica può aiutare a limitare l’impatto di certe malattie, permettendo di agire d’anticipo.

Altro tema etico in senso stretto è la clonazione.

La scienziata ammette di esserne affascinata, ma ne riconosce la pericolosità: non a causa della ricerca scientifica in sé su questi temi, ma in conseguenza al comportamento dell’uomo. «[…] è sempre la condotta umana che può essere pericolosa, non la scienza!» (13).

Hack si chiede, inoltre, se sia giusto usare la clonazione per riprodurre un caro morto al fine di lenire la sofferenza. «Riuscire a creare una vita è una grande tentazione scientifica, ma ancora è difficile capire come sia meglio comportarsi, perché è un orizzonte che non abbiamo mai conosciuto prima» (14).

La scienza, quindi, deve avere un’etica e il suo scopo è quello di mettersi al servizio della comunità tutta. Non deve avere fini distruttivi, ma deve servire all’umanità come guida. 

Infine, amiamo Hack non solo per il suo attivismo e le sue riflessioni su scienza ed etica, ma anche per quelle – sempre in qualche modo legate – relative alla morte. 

Lei stessa ammette di essere epicurea. Sostiene che non ha senso pensarci troppo, perché «finché son viva non c’è la morte, quando c’è la morte non ci sono più io» (15).

Per questo, secondo Hack, la paura di morire è stupida e tipica delle persone ignoranti, cioè di coloro che ignorano un dato di fatto. È vero, da una prospettiva atea, che dopo la morte non c’è nulla, ma, come dice la scienziata, è comunque bello pensare che i nostri atomi andranno a costituire qualcos’altro, tornando in circolo nel mondo.

Non solo, l’animale umano ha un vantaggio in più: continueremo a vivere nel ricordo di chi ci ha conosciuto e voluto bene. 

Divulgazione, attivismo, temi legati alla libertà personale e all’etica nella scienza: Margherita Hack era proprio una di noi. 

FONTI

(1) https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=101248

(2) https://www.uaar.it/uaar/presidenti_onorari/#Hack 

(3) https://www.gay.it/margherita-hack-personaggio-gay-del-2010

(4) M.Hack, G.Innocenzi, La stella più lontana. Riflessioni su vita, etica e scienza, Transeuropa, Massa, 2012.

(5) Ivi, p. 21.

(6) Ivi, p .34.

(7) Ibidem.

(8) Ivi, p. 37.

(9) Ivi, p .47.

(10) https://www.youtube.com/watch?v=ls5MjXnHUUM

(11) Ivi, p. 55.

(12) Ivi, p .48.

(13) Ivi, p. 49.

(14) Ibidem.

(15) Ivi, p. 57.