L’essere altrove

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«La fonte sorgiva del sapere riflessivo sta nell’esperienza: in quella del pensare e dell’agire; del valutare e del decidere; del soffrire e del gioire; dell’amare e dell’odiare. Porre, quindi, a tema l’esperienza tecnologica, significa ritrovare un tempo riflessivo per pensare a quanto ci accade, in un contesto storico in cui l’esperienza del mondo, di ciò che siamo soliti definire come la realtà in cui viviamo, assume nuovi confini.» (1)

Così si apre L’essere altrove. L’esperienza umana nell’epoca dell’intelligenza artificiale, interessante saggio di Adriano Pessina, professore ordinario di Filosofia morale e Direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. 

Quante volte ci è capitato, quando solleviamo lo sguardo dopo una sessione di scrolling sui social, di provare una sensazione di straniamento? Spesso lo interpretiamo come un essere tornatə qui dopo essere statə altrove.

Ma è davvero così?

Tanto il qui quanto l’altrove stanno cambiando il proprio statuto ontologico, le proprie caratteristiche fondanti, e si compenetrano così profondamente da risultare indistinguibili.

Siamo statə abituatə a concepire la realtà nella quale siamo immersə nei termini dell’esperienza, argomenta Pessina, cioè come un essere-al-mondo, ma attualmente è il mondo stesso che ci viene imbandito, consegnato a domicilio.

Possiamo farlo comparire e scomparire a nostro piacimento, quindi la nozione stessa di esperienza necessita di un ripensamento radicale. (2)

L’autore imbocca la strada di tale ripensamento, tenendosi ben lontano dai poli opposti attorno ai quali si stanno formando capannelli di opinionisti, poli egualmente estremi, e controproducenti: da un lato i detrattori, che associano inequivocabilmente la tecnologia a una perdita di autenticità e svalutazione della corporeità; dall’altro gli entusiasti, che ne sostengono il carattere emancipatorio, tralasciando problemi e criticità. (3) 

Centrale, nell’analisi, è la categoria dell’altrove.

Lo spazio che abitiamo è perennemente altrove, in un annullamento dei confini rispetto al quale il nostro essere umani e fisici suona come un ostacolo all’efficienza dell’artificiale.

Anche il tempo muta connotazione, perché – se accettiamo che esso debba la sua storicità al divenire, al cambiamento – ci si rende conto di quanto sia diventato a-storico, dandoci la percezione che tutto possa essere fissato per sempre. (4)

Allo stesso modo, l’io è altrove, «nel modello psichico, neurologico, sociale, algoritmico che mi rappresenta e mi interpreta meglio di come potrei fare» (5), tanto quanto lo è l’Altro, proiettato ad una distanza esistenziale che impedisce una reale prossimità. 

L’errore non risiede nell’assunzione di modelli tout court, ma nell’assunzione acritica di essi. 

Il nodo principale – e qui sta, a nostro avviso, la tesi centrale del saggio – è riconoscere il carattere essenzialmente mediato, non neutrale della tecnologia.

È necessario ricordare che il mondo che troviamo a nostra disposizione è costruito da una moltitudine di agenti e interessato da logiche economiche ben precise, distribuite capillarmente, che ci attraversano e si servono di noi, in una complessa e spesso inconsapevole eterogenesi dei fini. 

Questo fa sì che la nostra esperienza tecnologica sia frutto di una sovraesposizione antropologica:

«Questa espressione […] ha lo scopo di segnalare come l’esperienza individuale, con l’avvento delle nuove tecnologie, sia continuamente sovraesposta dall’intervento di altri “punti di vista” antropologici, che restano sullo sfondo, mentre ci presentano frammenti di mondo.» (6)

Esempi di questi altri punti di vista possono essere operatori televisivi, registi, video editor. A tal proposito, è importante «cogliere come stiano mutando di senso le nostre esperienze laddove si moltiplicano gli interventi antropologici che fanno da sfondo alle manifestazioni di nuove zone di realtà che sono altrove» (7), e conseguentemente assumere una postura critica nei confronti della tecnologia. 

Tale postura critica non deve però, stile slippery slope, condurci al polo negazionista del discorso intorno all’ambiente digitale, ma anzi deve indurci a porci il problema dell’attendibilità delle fonti, del principio di autorità, del chi ci consegna il mondo che abitiamo, del perché lo fa nel modo in cui lo fa.

Lungi dal farci apparire anacronistici, problematizzare il digitale significa poterne cogliere al meglio le potenzialità.

È per questo che noi di Filosofemme auspichiamo una sempre maggiore collaborazione tra filosofia e intelligenza artificiale. 

Grazie Mimesis Edizioni!

Adriano Pessina, L’essere altrove. L’esperienza umana nell’epoca dell’intelligenza artificiale, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2024.

(1) Adriano Pessina, L’essere altrove. L’esperienza umana nell’epoca dell’intelligenza artificiale, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2024, p.11.

(2) Ivi, pp.36-39.

(3) Luciano Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2017, pp.42-43

(4) Adriano Pessina, L’essere altrove. L’esperienza umana nell’epoca dell’intelligenza artificiale, pp.52-57.

(5) Ivi, p.88.

(6) Ivi, p.39 (corsivo nel testo).

(7) Ibidem (corsivo nel testo).