Lo spettro dell’asessualità – intervista all’autrice Francesca Anelli

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Lo spettro dell’asessualità (Eris, 2023) è un breve saggio lucido e appassionato che si propone di fornire gli strumenti concettuali per comprendere l’asessualità: l’orientamento di chi non prova attrazione sessuale per alcun genere o che può provarla raramente in determinate circostanze.

Attraverso una scrittura chiara e scorrevole ma che non rinuncia alla complessità, il testo colma, da una parte, quel vuoto che caratterizza la produzione teorica italiana sul tema e, dall’altra, restituisce voce alle rivendicazioni della comunità ACE (1).

Francesca Anelli riesce a tenere insieme intenti divulgativi e politici, delineando con uno spirito attento, pungente e pieno di orgoglio queer i percorsi già tracciati in campo teorico e di movimento e, allo stesso tempo, rilanciando potenzialità e sfide future.

La pubblicazione va così ad arricchire l’interessantissimo progetto BookBlock di Eris Edizioni: una collana di brevi saggi pensati come strumenti accessibili di autodifesa culturale che aiutino a comprendere l’attualità e fare da cassa di risonanza a riflessioni non canoniche.

1) Nel saggio accenni a episodi biografici e racconti l’attraversamento di contesti di movimento. Come e perchè il tuo personale è diventato politico? Quanto la collettivizzazione politica delle esperienze attraversate nutre la scrittura di questo testo?

Il mio personale è diventato politico probabilmente già da bambina, quando mi sono accorta dell’esistenza di sessismo e grassofobia (pur senza essere ancora in grado di dar loro un nome).

Con l’asessualità è stato un percorso un po’ più lungo e contorto, perché l’allonormatività è talmente pervasiva da non darti modo nemmeno di contemplare un approccio alla sessualità diverso dalla norma. Ci è voluto Instagram, ebbene sì, per scoprire che la mia esperienza non era solo personale ma, appunto, politica. Le testimonianze di altre persone asessuali sono state fondamentali sia per la mia crescita personale sia per sviluppare una consapevolezza queer e politica.

Senza questo confronto il libro non esisterebbe, per quanto possa suonare eretico dare a un social network il merito di avermi fatto avvicinare alla teoria e alla pratica politica. 

2) Ho trovato particolarmente interessante la tua riflessione sull’“ingiustizia ermeneutica” (2) che colpisce le persone asessuali, invisibilizzando e cancellando le loro esperienze o narrandole esclusivamente in chiave patologizzante. Quanto l’accesso all’informazione – e più in generale la produzione di sapere – è fondamentale per trovare le parole per dirsi, riconoscersi, comprendere la propria identità  e sentirsi legittimatə a esistere/mostrarsi? 

Secondo me è letteralmente vitale. Si può avere coscienza della propria “diversità”, ma senza le parole per definirla manca quella legittimazione che ci permette di rivendicarla e quindi difenderci (in primis con noi stessə) dagli attacchi della normatività.

Prima di dare un nome alla mia esperienza io ero convinta di essere irrimediabilmente “rotta”, scaricavo su me stessa responsabilità che non erano mie sopportando per questo quelli che ho poi compreso essere abusi.

Mi mancava una coscienza politica della mia condizione, e non avrei potuto svilupparla se non avessi trovato “la mia gente”, che a sua volta non sarebbe esistita senza la possibilità di darsi un nome – inteso anche come segno di riconoscimento tra pari. 

3) Nel saggio affermi come, in un panorama in cui di asessualità si parla ancora poco e male o soltanto all’interno di cerchie ristrette, i social possano rivelarsi un’ancora di salvezza per le persone asessuali o questioning (3). Che ruolo ha svolto e svolge tuttora la dimensione del digitale – dai vecchi blog a instagram e tiktok – per la comunità ACE? Quali canali o profili consiglieresti per chi vuole informarsi o trovare una rete di riferimento?

Per le persone che appartengono a comunità marginalizzate e invisibilizzate, i social o gli spazi come Reddit e Discord sono spesso gli unici “luoghi” di confronto e scoperta a disposizione.

Ciò alimenta la percezione che certe questioni politiche siano “novità” o “capricci” di giovani viziati, ma soltanto perché si confonde l’effetto con la causa. Non siamo irrilevanti perché ci muoviamo principalmente sui social, al contrario ci troviamo sui social perché siamo invisibili altrove. 

A chi cercasse uno spazio sicuro, consiglio sicuramente di seguire Rete Lettera A, il collettivo di cui faccio parte anche io e che si muove molto sul digitale, e poi senza dubbio il profilo Instagram La Versione Migliore, gestito da una persona asessuale e ricchissimo di informazioni e riflessioni sulla comunità asessuale.

4) Una questione particolarmente critica riguarda la resistenza al riconoscimento dello spettro dell’asessualità che spesso si riscontra da parte della stessa comunità LGBTQIA+, ancorata alle storiche lotte per la liberazione sessuale. Tale dinamica comporta svalutazione e invisibilizzazione e contribuisce a riprodurre canoni gerarchici e omonormativi (3), nonché una logica di priorità ed esclusioni. Quanto la mitizzazione della liberazione sessuale può contribuire a produrre una ipersessualizzazione che esclude le persone asessuali? Come tenere insieme la complessità delle esperienze senza escluderne nessuna?

Purtroppo si tende ancora a sovrapporre il concetto di liberazione sessuale con quello di condotta sessuale promiscua (che, ci tengo a precisarlo, non è una brutta parola né una brutta cosa, si tratta solo di un termine descrittivo che la società sessuofobica ha poi connotato come negativo).

Questa sovrapposizione impedisce spesso di vedere dove sta davvero la “liberazione”, e cioè nella possibilità di scelta. Sostituire un modello comportamentale con un altro, imponendo quindi nuove regole, standard e gabbie ideologiche, non libera nessunə, crea soltanto nuovi squilibri di potere.

Tenere insieme la complessità significa, secondo me, non cadere in questo errore e dunque non usare la teoria per restringere le possibilità ma per ampliarle.

Una sessualità libera è una sessualità guidata dal consenso, nonché dai propri desideri e attitudini, certamente non dall’imperativo di avere quanti più partner possibili o di fare sesso un tot di volte a settimana.

Se si tiene questo a mente, la comunità asessuale diventa un’alleata preziosissima, perché la sua esperienza contribuisce a ridefinire in maniera inclusiva  le definizioni di consenso, attrazione e perfino di sesso, a beneficio di tuttə. 

5) Il saggio si conclude con una riflessione su quanto fare spazio alla comunità ACE sia fondamentale per mantenere un approccio alla sessualità realmente inclusivo e sulla necessità che la lotta transfemminista e queer si faccia carico di questa istanza. Quali passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni? Quali sono, invece, ancora da percorrere?

Sicuramente la consapevolezza della lettera A è molto cresciuta negli ultimi anni, come si può notare dell’attenzione che i media le stanno dedicando.

Si vedono sempre più personaggi asessuali in serie tv e romanzi, i pochi saggi sul tema iniziano ad essere tradotti in italiano (uscirà a breve in traduzione anche ACE di Angela Chen, testo fondamentale per la comunità, a cura di Mondadori).

C’è ancora moltissima disinformazione e la rappresentazione mediatica è decisamente insufficiente, ma anche negli spazi politici (come i Pride) si vedono molte più bandiere asessuali che in passato. Secondo me, i fronti principali su cui muoversi come comunità sono due: educazione e servizi.

È necessario che personale sanitario (medicə, psicologə) e scolastico (insegnanti, educatorə) sia formato sull’esistenza e il trattamento delle persone asessuali in maniera inclusiva. È importantissimo che queste figure comprendano la differenza tra le varie dimensioni dell’attrazione e in generale della sessualità umana, in modo da non cadere nell’errore di patologizzare e isolare le persone asessuali per fornire, al contrario, supporto e risorse a chi ne avesse bisogno.

Una maggiore educazione sul tema porterà poi a maggiori servizi, come sportelli di ascolto, percorsi medici e psicologici dedicati, fondi per la ricerca e così via. È infine importantissimo che la comunità queer faccia lo sforzo di accogliere queste istanze anche al suo interno e che quindi collettivi e associazioni si impegnino a educare i propri membri sul tema, allo scopo di garantire spazi sicuri per qualunque persone asessuale decida di avvicinarsi alla politica attiva. 

Note

  1. Il termine ACE – tratto dall’abbreviazione fonetica dell’inglese asexual –  indica la comunità asessuale. 
  2. Per citare direttamente Francesca Anelli, le persone asessuali sono vittima di un’ingiustizia ermeneutica perché “non hanno accesso a concetti e informazioni rilevanti per costruire la propria identità, comprendere la propria oppressione (…)”. I centri di produzione della cultura sono dominati da figure e ideale che ri-affermano lo status quo, rendendo più difficile costruire significati che da esso si allontanino”.
  3. Con il termine questioning si indicano coloro che non si identificano come persone asessuali ma che si stanno interrogando sulla possibilità di esserlo.
  4. Il concetto di omonormatività indica quel processo per cui (anche) all’interno della comunità LGBTQIA+ si riproducono gerarchie, esclusioni e marginalizzazione visibilizzando determinate categorie (storicamente, gli uomini gay bianchi e borghesi) e invisibilizzandone altre (più o meno differentemente e intersezionalmente con elementi altri quali la classe o la razza, le persone lesbiche, bisessuali, intersex, trans e asessuali).