Si usa con frequenza il termine “normale” per indire i canoni che omologano un individuo col resto della società.
Ciò che dovrebbe rendere unica l’umanità è invece dato dal bello di essere ognuno diverso per carattere, aspetto fisico, modo di vestire, modo di pensare, religione, colore della pelle, modo di parlare.
I problemi che affliggono, da un punto di vista sociale, la nostra società sono rappresentati proprio da questo: il concetto di normalità.
Chi ha stabilito che questa è la via migliore per una vita civile e per un mondo giusto?
Apparentemente e ufficialmente nessuno, ma se si guarda alla storia, la risposta si ritrova nella classe dominante che “illude” la massa. Quando si sono introdotte le classi sociali si è posta la prima condizione di normalità, cioè l’accettazione di una disparità a livello economico e civile che ha negato la diversità dell’uguaglianza.
Da ciò si è passati al tipo di educazione che ogni classe doveva ricevere, per arrivare alla legislazione e alla moda che stabilivano la disparità, ritenuta normale, tra uomini e donne.
Oggi prendono il nome di interessi politici e social network: sono questi che dettano le regole della normalità e demarcano il confine tra i canoni e chi non li rispetta.
Gli ideali di uguaglianza sono chiusi nel dimenticatoio, come anche quelli di solidarietà e amicizia, perché ormai vige la paura per il concetto di “diverso”, la paura dell’abbandono, la paura di non far parte di qualcosa, la paura di essere se stessi, la paura dell’accoglienza. Quella che si cela dietro a ipocrisia, dietro a disturbi psicologici e alimentari, dietro profili Instagram, dietro atteggiamenti politici nazionalisti che in realtà mascherano la corruzione, dietro il bullismo, dietro il radicalismo religioso, dietro l’insistenza nel sottolineare le differenze di genere.
La diversità è diventata paura e si fa di tutto per correre ai ripari, anche annullare se stessi o ignorare il grido di aiuto di chi scappa dalla fame, dalla guerra, dall’ingiustizia.
La libertà di essere diversi è ormai un “reato” agli occhi della società, che utilizza l’arma più potente che esista: la parola.
La forza negativa della parola sta nel manipolare gli eventi della società, riuscendo ad imporre regole errate in un mondo che apparentemente cerca il cambiamento, quindi il rispetto della diversità. Di questo infatti ci mette in guardia Karl Popper che, nella sua opera “La libertà è più importante dell’uguaglianza”, afferma:
«la vaghezza è un altro dei pericoli della dialettica. Essa rende davvero troppo facile introdurre forzatamente un’interpretazione dialettica in ogni specie di sviluppo e anche in oggetti del tutto eterogenei» (1).
Nella maggior parte dei casi le parole, i discorsi di chi ha più potere hanno la capacità di rendere nemici gli amici, diversi coloro che hanno la pelle di tantissime meravigliose sfumature, rivali dei fratelli. Si è travolti da una tempesta mediatica e sociale senza precedenti, che elimina il lavoro di donne e uomini che hanno dato sangue, sudore e la vita per mostrare la bellezza della diversità.
Il mondo vuole individui schierati e non uniti dalla varietà, perché altrimenti significherebbe perdere il controllo della massa, la paura garantisce la sopravvivenza di questo “impero mediatico”.
Per ritrovare noi stessi dovremmo essere acuti e attenti, come auspicava Popper, e – aggiungerei io – indossare l’armatura della trasparenza come la guerriera che ha accompagnato la crescita di tante bambine e bambini, Mulan: ha lottato per far valere la propria diversità e per vedere riflessa un’immagine uguale a se stessa.
È questo ciò che tutti dovrebbero ritrovare, la meraviglia di essere solo uguali a se stessi, senza artifici, senza omologazioni, senza privazioni. Guardarsi allo specchio e volersi bene per la propria unicità è un gesto di coraggio e amore, è un gesto di diversità.
Perciò, puntare il dito verso qualcuno vestito diverso da noi, verso chi la pensa in modo differente, verso chi ha il colore della pelle non uguale al nostro è il più grande gesto di vigliaccheria, perché la paura prende il posto della ragione e dell’universalità. Siamo tutti straordinariamente diversi, unici e dobbiamo essere uniti e non divisi per rendere il mondo più vero e speciale.
La normalità quindi è solo pura finzione, è un appannaggio della realtà e i suoi canoni sono meri mezzi di schiavitù che generano catene per rendere prigionieri i diversi che vivono in ognuno di noi.
L’accettazione della diversità è un gesto d’amore che rende liberi.
(1) K. Popper, La libertà è meglio dell’uguaglianza, Armanno Editore, Milano, 2012, p. 40.
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