Rosi Braidotti: sulla soggettività femminile

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Femminismo della Differenza e Nomadismo 

Rosi Braidotti, filosofa del femminismo della differenza, in Nuovi Soggetti Nomadi indaga una definizione del soggetto femminile colto nelle sue molteplici differenze.

Tre sono i livelli su cui si giocano le differenze: tra uomini e donne, tra donne e donne, e all’interno della stessa donna, e tenerne conto permette di profilare un soggetto femminista-femminile nella sua complessità.

In aggiunta, si tratta di un soggetto, quello femminista, che in Braidotti diviene «nomade».

Il nomadismo – elemento centrale della sua filosofia – riguarda la spinta propulsiva a reiventare le proprie tracce eludendo totalmente l’idea di un modello “trionfante”. Il soggetto nomade si avvale del suo passato (assente nella egemonica storia maschile) e di una sua propria genealogia, per dar vita a percorsi capaci di rendere possibili modalità alternative.

Solamente riappropriandosi della propria costitutiva differenza che la donna può definirsi come una soggettività nomade e femminista. 

Uno schema di lavoro, il primo livello

Per capire come questa differenza possa essere colta senza far venire meno l’irriducibile complessità di ogni soggettività, Braidotti escogita un vero e proprio “schema di lavoro”.

I tre livelli attraverso cui si articola non sono collegati tra loro in un rapporto cronologico e gerarchico. Possono, per lo più, trovarsi simultaneamente compresenti e intricati e, di conseguenza, faticosamente distinguibili e separabili. Vanno quindi a formare una sorta di mappa interpretativa della stratificazione e della complessità che caratterizza la differenza sessuale.

«La distinzione che di conseguenza metto in opera tra “differenza tra uomo e donna”, “differenze tra donne” e “differenze all’interno di ciascuna donna” non va assunta come una distinzione categorica; è piuttosto un esercizio di nominazione che attiene alle diverse facce di un unico fenomeno complesso» (1). 

Si tratta di un modo per esplicare la complessità del reale fornendoci una grammatica, uno sguardo capace di analizzarla.

Una complessità che tuttavia deve tener conto innanzitutto delle differenze tra uomini e donne.

All’altezza del primo livello Braidotti incalza la critica – ereditata da de Beauvoir – all’interpretazione del reale in chiave «fallologocentrica», cioè vengono a coincidere il logos, inteso come modello di linguaggio e conoscenza, e l’androcentrismo (fallo). In altri termini, si riduce la lettura del mondo al potere del soggetto universale maschile e la donna è mancanza o eccesso rispetto all’uomo. Emerge dunque un fondamentale punto di partenza, ovvero la volontà politica di specificare il vissuto delle donne: la donna non si definisce in rapporto all’uomo ma in base alla sua specificità. 

«La questione centrale in gioco a questo livello di analisi è la critica dell’universalismo identificata nel maschile e del maschile come autoproiezione di uno pseudouniversale. A ciò si affianca la critica dell’idea di “altro” come svalorizzazione» (2).

Segue dunque un rifiuto all’emancipazionismo: in continuità con il femminismo della differenza, Braidotti afferma l’esigenza di una decostruzione epistemologica e culturale.

Le donne, nelle loro differenze, non possono affermarsi in maniera positiva all’interno della società se questa è stata secolarmente monopolizzata dal controllo e dalla cultura maschile e fallologocentrica.

In una posizione di coralità con de Beauvoir e Lonzi, Braidotti profila l’importanza di un rinnovamento della società attraverso la manifestazione – all’interno di essa – della affermazione positiva delle differenze che costituiscono ogni donna. Solo all’interno di una società rinnovata, non più sottostante a modelli e paradigmi patriarcali, la donna vede la sua piena affermazione; mentre ciò non è possibile se l’uguaglianza rimane cristallizzata nei termini istituiti dai maschi attraverso i secoli in ogni epoca storica.

La donna può rientrare positivamente all’interno della società nella misura in cui è anch’essa partecipe e contributrice della stessa società in cui si inserisce, e non apparendo all’improvviso nella storia lasciandola istituzionalmente invariata. 

Secondo e terzo livello: molteplicità, collocazione e identità

Passando al secondo livello, cioè quello delle differenze tra donne, vediamo subito come l’esigenza di Braidotti è quella di chiarire che «il femminismo richiede una distinzione epistemologica e politica tra donna e femminista» (3).

La distinzione diviene qui ancora più calzante alla luce dei termini utilizzati da Braidotti: «donna in carne ed ossa» e «soggettività femminista forte». Ciò che contraddistingue la donna in carne ed ossa è principalmente la sua esperienza incarnata, ossia un sapere basato sull’esperienza femminile che non per forza è un sapere femminista. Sono, piuttosto quei saperi che lei chiama “situati” (come quelli relativi al ciclo mestruale). La donna in carne ed ossa si riconosce come donna (come “altro” dall’uomo) all’interno della società patriarcale e riconosce anche una serie di differenze (razza, età, classe).

Nella soggettività femminile forte – invece – la differenza sessuale diventa anche un progetto politico: essa crea una contro storia e si colloca in una posizione di resistenza rispetto alla società. Quella della soggettività femminista forte riguarda una politica della collocazione e della resistenza

«Tradotta in termini di pratiche politiche la strategia della collocazione determina il proprio approccio al tempo e alla storia. Dal mio punto di vista, il senso della collocazione ha a che fare con la contro memoria, o l’elaborazione di genealogie alternative. Vuol dire che fa differenza avere una memoria storica dell’oppressione e dell’esclusione in quanto donne piuttosto che fungere da referente empirico di un gruppo dominante, come accade agli uomini» (4).   

Giungendo all’ultimo livello, scopriamo che la donna è una molteplicità in se stessa.

Tale molteplicità è resa da Braidotti attraverso la non coincidenza tra identità e coscienza:

«nel mio schema di pensiero, l’identità gode di un rapporto privilegiato con i processi inconsci, mentre invece la soggettività politica è una posizione conscia e volontaria: desiderio inconscio e scelta consapevole non sempre coincidono» (5).

E ciò significa quindi non solo che ognunǝ di noi ha un legame originale e immaginario con la propria storia, la propria genealogia e condizioni materiali, che dà vita alla nostra identità; ma anche che questa identità, in quanto stratificata e complessa, può essere utile ad alleggerire il peso delle nostre contraddizioni e discontinuità interne, quelle di comportamenti o pensieri che non coincidono con la parta conscia della soggettività politica.

Se l’identità è la dimensione dell’inconscio, diventa plausibile per le donne che la soggettività femminista divenga un autentico oggetto di desiderio:

«Una femminista potrebbe quindi essere vista come una donna che desidera ardentemente, tende a, è spinta verso il femminismo. Potrei definire questa ipotesi una lettura “intensiva” della posizione femminista, che verrebbe quindi intesa non soltanto come un impegno volontario nei confronti di una serie di valori o convinzioni politiche ma anche in termini di passioni e desideri che la sostengono e la motivano» (6).  

  1. R. Braidotti, Nuovi Soggetti Nomadi. Transizioni e identità postnazionaliste, Sossella editore, Roma, 2002, p. 107.
  2. Ivi, p. 108.
  3. Ivi, p. 113.
  4. Ivi, pp. 113-114
  5. Ivi, p. 116.
  6. Ivi, p. 117.