The Village: tra costruzione di una menzogna e verità

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The Village è un film del 2004 interpretato da Bryce Dallas Howard, Joaquin Phoenix e Adrien Brody e presentato all’epoca come una pellicola “horror”.


In realtà, The Village è molto di più. È un film ricco di metafore e significati nascosti.


Certo, ci sono scene inquietanti e di suspence ma, minuto dopo minuto, diventa sempre più chiaro che “fare paura” non è l’obiettivo del regista. M. Night Shyamalan, invece, sembra voler andare un po’ più a fondo.

Nel film troviamo, infatti, argomenti stimolanti per filosofi e psicologi: primo tra tutti il tema della reazione al lutto e della conseguente paranoia. La decisione da parte del regista di trattare tali questioni non appare casuale. L’uscita del film avviene, infatti, in un periodo particolare: la scelta del capo del governo statunitense dopo l’11 settembre. Un momento di paura e ansia tali da portare alla rielezione di un presidente che alimenta proprio questi stessi sentimenti.

Come gli americani in quegli anni, i fondatori del “villaggio” hanno  subìto una perdita traumatica, un lutto che li segna al punto da decidere di allontanarsi da quella società violenta (1). Proprio per questo fondano una comunità isolata dal resto del mondo, protetta da un bosco che sembra ospitare creature pericolose. Esse sono rappresentate dal rosso, il colore del sangue e della morte, che si oppone nel film al giallo, la tinta del sole, della luce e della vita.


La nuova generazione sembra essere a riparo da quel vasto mondo minaccioso che è la nostra società.


Non la conosce, non ne sa nulla, ma qualcosa si insinua. È l’irrequietezza della gioventù, che vuole superare il confine imposto dalle norme, che tenta di violare per ottenere quella libertà che esse sembrano sottrarci. Chi oltrepassa, nella narrazione, il limes, è prima Lucius, che richiede di superare il bosco per procurarsi le medicine necessarie agli abitanti e poi Ivy, la sua promessa sposa, una ragazza non vedente. La giovane, si metterà alla disperata ricerca di antibiotici per curare le mortali ferite inflitte a Lucius da Noah, un uomo con un ritardo mentale. Dopo aver scoperto la verità dietro ai mostri vestiti di rosso – che sono un’invenzione dei padri fondatori per non far uscire la popolazione del villaggio – con una costanza strepitosa sostenuta dalla forza dell’amore, la giovane supera quel bosco pieno di minacce, scavalcando una barriera fisica e mentale e giungendo nella società.


Attraverso una visione attenta della pellicola, è possibile notare varie metafore della condizione dell’essere umano.


Ad esempio, la cecità di Ivy simboleggia la verità nascosta: un argomento di vecchissima data, ben esposto dal mito della caverna di Platone e nel film in un certo modo reinterpretato. Gli abitanti del villaggio sono gli uomini incatenati, inconsci di ciò che sta fuori, mentre il bosco è la parete della caverna che impedisce la visione della luce abbagliante e fastidiosa che nel film è il mondo reale e impietoso.

Questa scoperta o, per meglio dire, riscoperta del vero è un tema estremamente ricorrente nella storia della filosofia: lo trattano, a modo loro, Kant dividendo tra Noumeno (cosa reale, pensabile ma inconoscibile) e Fenomeno (ciò che l’uomo può esperire) (2), Schopenhauer con il suo concetto di velo di Maya (3) e anche il nostro Leopardi (4). Quest’ultimo, parlando di arido vero, esplora l’idea che la verità non sia “bella” proprio come non lo è la società al di là della foresta.

Le immagini filosofiche più vicine a quelle di The Village però, appartengono ad Heidegger. Il filosofo tedesco parla proprio di radura facendo riferimento alla verità e di bosco per simboleggiare, invece, il suo contrario, il nascondimento (5)(6).


Dopo la visione del film, insomma, ci si pone una domanda profondamente filosofica: meglio vivere in un mondo costruito ma sicuro o conoscere l’amara verità?


Da sempre l’uomo cerca di dare spiegazioni più confortanti all’inspiegabile, costruendo risposte in maniera sempre più complessa e ben architettata. I miti e le religioni, in particolare, hanno permesso e permettono alle persone di trovare rassicurazione e consolazione. Allontanandosi dalla realtà, proprio come accade nel film, si pensa di riuscire a trovare la serenità tanto agognata da ogni essere umano. 

Non tutti gli uomini, però, si accontentano delle “storie” per trovare pace: la cercano, allora, nella verità, che inseguono con passione costante, pur consapevoli del fatto che essa non si componga solo di bellezza, ma anche di scontro con ciò che non è semplice da accettare

Per il filosofo, cruda, ardua, limpida o bella che sia, la verità è la cosa più preziosa che ci sia.





(1) Cfr. http://www.psychiatryonline.it/node/2546
(2) Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza, 2005.
(3) Con tale nozione il filosofo esprime l’idea che la realtà fenomenica non sia altro che apparenza illusoria. Cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Milano, Bompiani, 2006.
(4) Cfr. G. Leopardi, Zibaldone, Milano, Mondadori, 2014 e Operette Morali, Milano, Feltrinelli, 2014.
(5) M. Heidegger, Tempo ed essere, (a cura di C.Badocco) Milano, Editore Longanesi, 2007.
(6) https://www.cinefacts.it/cinefacts-articolo-15/the-village-superstizione-fuga-dal-dolore-verita-e-amore.html 

BIBLIOGRAFIA:

Kant I, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza, 2005.

Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Milano, Bompiani, 2006.

Leopardi G., Zibaldone, Milano, Mondadori, 2014 e Operette Morali, Milano, Feltrinelli, 2014.

Heidegger M., Tempo ed essere, (a cura di C.Badocco) Milano, Editore Longanesi, 2007.

SITOGRAFIA:

https://www.cinefacts.it/cinefacts-articolo-15/the-village-superstizione-fuga-dal-dolore-verita-e-amore.html

http://www.psychiatryonline.it/node/2546

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