Dark, una crasi tra l’Inizio e la Fine

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Dark

«“Credevo di avere tempo”…Perché lo dicono tutti? Come puoi averlo se lui ti imprigiona?»

Se c’è una serie tv che ho atteso con lo stesso livello di ansia e aspettativa di quando aprivo i regali di Natale a fine cenone, beh quella è proprio Dark, diretta da Baran Bo Odar e scritta da Jantje Friese.

Al di là del mio amore per le atmosfere cupe e nebbiose delle lande tedesche, quasi fossero appena uscite da un quadro di Caspar David Friedrich, questa chicca prodotta da Netflix dal 2017 contiene ben più di un semplice paesaggio, ben più di una semplice trama con bambini scomparsi e viaggi nel tempo.

In breve: ci troviamo nella piccola cittadina di Winden, circondata perlopiù da ampie foreste, e al cui centro sorge una grande centrale nucleare. Sin dai primi episodi l’attenzione è concentrata attorno a quattro famiglie: i Kahnwald, a cui appartiene il protagonista assoluto della serie, Jonas; i Nielsen, i Doppler e i Tiedemann. Inizialmente le vicende di tutti i personaggi sono intrecciate, ma la quiete delle loro vite viene interrotta, durante una passeggiata in piena notte nella la foresta. In prossimità della caverna che conduce alla centrale nucleare, i figli delle quattro le famiglie incorrono in un evento particolare, se non unico, che porterà alla scomparsa del piccolo Mikkel Nielsen e all’epifania della cosiddetta Apocalisse per Winden. 


Questa è solo la sovrastruttura del reale racconto, il capro espiatorio per dare il via alla grande impalcatura mentale e filosofica che vi sta sotto. 


Indubbiamente il tema portante di tutta la serie è quello del viaggio nel tempo, un argomento ben noto nel panorama cinematografico come in quello delle serie: basti pensare a Donnie Darko, Harry Potter, Ritorno al futuro o anche solo Futurama. Un insegnamento comune a questi titoli è di certo quello di non intralciare il destino, così come quello – ancora più importante – di non incontrare mai il proprio gemello temporale. Un insegnamento che Dark tuttavia sottovaluta, ma che nonostante tutto fila in maniera logica e ben più lineare di quel che si pensi.

Il simbolismo di Dark non è tuttavia solo questo, come Odar e Friese sottolineano: nella serie vi è una sorta di crasi tra la filosofia e il mondo pop: una storia che vuole riflettere le – e sulle – paure intrinseche, primordiali dell’uomo, il tutto senza ridursi mai a un guazzabuglio di idee mal connesse, bensì a un’opera circolare, corale e inquietante. 

L’imponente presenza della centrale nucleare non è un surplus casuale, come spiegano gli autori: 

«L’emergenza climatica crea grande incertezza sul futuro. Ci sentiamo minacciati. Al cuore di Dark c’è una centrale nucleare e, a quanto pare, non siamo i soli ad aver incanalato un timore collettivo. Va bene così: se non si crea consapevolezza non si cambia atteggiamento; e noi abbiamo bisogno di cambiare atteggiamento prima che il pianeta muoia». (1) 


Dopo i disastri nucleari di Cernobyl e Fukushima – senza contare i numerosi casi non troppo considerati dei media – la paura nei confronti del nucleare è ancora palpabile.


Un terrore che può sfociare nell’ipotesi di un cambiamento totale della natura così come la conosciamo, fino a immaginare dei passaggi ultra-temporali. D’altronde, che cosa ne sappiamo noi effettivamente dell’evoluzione dello spazio e del tempo? Una critica dunque mossa contro l’abuso spregiudicato della tecnologia e di come questa possa ferire la nostra Terra.

È innegabile che l’ambiente cinematografico e seriale stia riscoprendo anche il mondo degli anni ’80, la cultura e il fascino di quell’età così ingenua ma altrettanto innovativa (2). 

«Quello che ci interessa», specifica Jantje Friese, «è il comportamento umano. Perché le persone fanno quello che fanno, e soprattutto come fanno a diventare quel che diventano? Come mai un bambino che mostra certe inclinazioni finisce per trasformarsi in un adulto drasticamente differente? La risposta è il tempo. Il tempo ci tramuta […] Ci poniamo grandi domande, e quelle domande sono la base di Dark. Chi siamo? Perché esistiamo? Da dove nasce l’universo? Cos’è la realtà e cos’è la fantasia? Einstein, Nietzsche e Schopenhauer figurano appieno tra le ispirazioni dello show» (3).

Per quel che concerne, tuttavia, il settore filosofico, oltre all’attenzione circa un progresso tecnologico più etico e sano, oltre a quella religiosa di un Dio che manovra le sorti dei nostri destini, o perché no di cervelli in una vasca (4), non è velato il grande influsso nietzschiano nella narrazione e in particolar modo al concetto di Oltreuomo e dell’eterno ritorno: la ripetizione eterna di tutte le vicende del mondo, dell’uguale. 


Una visione ciclica del tempo, come di un serpente che si morde la coda, un simbolo di grande influenza norrena.


L’uomo non può che vedere questa ripetizione con terrore, a differenza dell’Oltreuomo, il quale la vivrà con la sua peculiare gioia entusiastica e dando frutto così alla grande dualità con l’essere umano, incapace di vivere una piena accettazione della vita.

In Così parlò Zarathustra (1885), nello specifico all’interno del discorso su La visione e l’enigma, Nietzsche scrive: 

«Ma il pastore morse, come gli consigliava il mio grido; morse con un buon morso! Sputò lontano la testa del serpente -: e si alzò con un balzo. – Non più pastore, non più uomo – un trasformato, avvolto di luce, che rideva! Mai prima sulla terra un uomo aveva riso come lui rideva!» (5).

L’accettazione della circolarità e la sostituzione del dolore con il consenso nei confronti della vita, decisione estremamente coraggiosa, diverrà il volto del nostro Übermensch, eliminando di conseguenza la consueta visione di tempo per come la conosciamo noi: Dio.

In un bellissimo quanto ragionato articolo, il filosofo Lorenzo di Maria scrive: 

«Dio rappresenta la concezione lineare del tempo; da essa proviene ogni dottrina morale; la morale fonda il discernimento, dunque il libero arbitrio. La stessa libertà, l’idea che la nostra volontà possa cambiare le cose, dipende dalla possibilità di amministrare il tempo sospeso tra l’inizio e la fine, la creazione e il giudizio, l’idea di bene e la sua realizzazione compiuta. È questo il vero cruccio dello Jonas adulto. Il suo errore perenne è fin dall’inizio credere di poter cambiare le cose» (6).


Un destino ben scritto e che non può certamente essere mutato dalle nostre azioni, per quanto estreme esse siano.


La celebre frase «Dio è morto» ha qui indubbiamente un significato ben più ampio e inerente al focus narrativo. Il nichilismo è rappresentato dalle gesta dei protagonisti, dal loro tentativo di cambiare il corso del tempo e il fato, seppur in maniera del tutto vana. Per quanto Jonas si sforzi di viaggiare lungo le linee temporali, niente cambia e tutto sembra finire con l’Apocalisse. Com’è allora possibile vivere, anche altre centomila volte, sapendo – e vedendo – quello che Dio e le stesse mani degli uomini hanno scelto per tutta Winden? Dove trovare il coraggio per accettare questa vita, esaltandola come l’Oltreuomo? 

Come dice Noah, uno dei tanti personaggi emblematici di questa serie: «Dio non ha creato questo buco, Dio non ha un piano, non è mai esistito alcun piano, esiste solo il caos. Dolore e caos». 

Dark può sembrare una storia estremamente negativa, assurda e paradossale, eppure cerca costantemente di insegnarci a non demordere, ad accogliere il non-senso esistenziale e a plasmare in un qualche modo il nostro destino sotto l’ala del coraggio.


Per quanto la vita possa apparirci estranea e oscura, quasi maligna, dobbiamo andare oltre (über) e dettare noi stessi il significato della nostra esistenza, con le nostre azioni e il nostro ordine mentale, cosicché questo disordine ci appaia più familiare.




(1) https://www.corriere.it/tecnologia/19_giugno_21/serie-tv-torna-dark-netflix-parlano-ideatori-a-meta-filosofia-cultura-pop-ea1ce88c-9332-11e9-b815-61135cf585c4.shtml

(2) Se pensiamo a Stranger things, i punti in comune tra le due serie sono molteplici, pur si riuscendo tuttavia a differenziarsi in maniera sostanziale, non solo per quel che concerne la trama.

(3) https://www.corriere.it/tecnologia/19_giugno_21/serie-tv-torna-dark-netflix-parlano-ideatori-a-meta-filosofia-cultura-pop-ea1ce88c-9332-11e9-b815-61135cf585c4.shtml?refresh_ce-cp.

(4) Hilary Putnam espone questa sua teoria fantascientifica in Ragione, verità e storia (), opponendosi così allo scetticismo. In sostanza, un’entità superiore immerge i nostri cervelli all’interno di un liquido e connessi ad un supercomputer in grado di farci vivere una realtà simulata tramite stimoli elettrici, similari a quelli del nostro stesso sistema nervoso. Si è pienamente consci delle proprie esperienze, eppure incapaci di dire con esattezza qualora le stessimo vivendo davvero oppure fossero frutto di una simulazione

(5) Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Milano: Oscar Mondadori, 1992, p.149.

(6)) https://globusmag.it/lanalisi/dark-lumanesimo-legge-einstein/
È una promessa di futuro e di come il tempo sia fondamentale proprio perché limitato. Ogni giorno anche noi ci avviciniamo sempre più alla nostra personalissima Apocalisse (la morte) e per quanto lo speranzoso messaggio lasciato da questa serie, come in previsione di una reincarnazione dell’uomo, in virtù del suo eterno ritorno, questo non ci deve fermare dall’amare la nostra vita. 
Amare il nostro prezioso e piccolo tempo: il nostro passato, il nostro presente e, soprattutto in quest’ultimo, agire per amare il nostro futuro.

Sitografia

https://darknetflix.io/en  (un ottimo sito per ripassare le numerose parentele stagione per stagione, spoiler free).

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