Percorsi di legalità e coraggio civile

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Coraggio civile

Il 19 luglio 1992, il magistrato Paolo Borsellino, impegnato con il suo collega e amico Giovanni Falcone nella lotta alla mafia, andò a trovare la madre in via Mariano D’Amelio, a Palermo. Erano le 16.58, quando, nel tratto tra le auto della scorta e il portone, una Fiat 126 rubata e imbottita di tritolo saltò in aria con un comando a distanza uccidendo Paolo Borsellino e i cinque agenti che lo accompagnavano.

Chi posizionò l’esplosivo nell’automobile sapeva che la domenica era il giorno in cui il magistrato andava a far visita alla mamma, era la violenza della guerra dichiarata dalla mafia alle istituzioni. Oggi, in via D’Amelio al numero 21, c’è un albero a memoria di una strage avvenuta d’estate (1).

Paolo Borsellino nacque nel 1940 a Palermo nel quartiere popolare “La Kalsa”. Nello stesso quartiere crebbe Giovanni Falcone ma anche mafiosi come Tommaso Buscetta. Borsellino e Falcone, però, diventando magistrati, decisero di scegliere la via della legalità e della lotta contro la criminalità.


Due uomini simbolo del coraggio civile. Il coraggio civile non è un semplice atto di audacia ma la capacità di lottare contro gli arroganti per servire il bene comune; non è ardimento fine a se stesso ma senso di responsabilità del cittadino onesto.


Per Platone il coraggio è difesa della retta opinione e anche rispetto della legge (2). Il filosofo ritorna sul tema del coraggio nel Lachete (dialogo sulla virtù del coraggio): qui è Socrate che definisce il coraggio come salvaguardia e difesa del benessere della comunità, nel rispetto delle regole, dunque coraggio come impegno civile.

Borsellino persegue eroicamente il rinnovamento sociale, la volontà di cambiare una realtà fondata sull’illecito e sulla corruzione. Un senso di giustizia, il suo, superiore al timore di eventuali vendette mafiose e che lo portava ad esprimersi così: «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola» (3).

Queste considerazioni ci rimandano alla biografia di Peppino Impastato, anch’essa caratterizzata dalla responsabilità civile contro un contesto in cui l’illegalità era molto diffusa. Per lui, l’arma della denuncia divenne l’unica possibile per realizzare una società più giusta. Per cui anche Peppino scelse la via del coraggio civile, cioè la via della partecipazione e della lotta contro l’omertà.

Impegno politico, denuncia sociale e partecipazione attiva sono presenti anche nella vita e nel pensiero di una donna tra le più straordinarie intellettuali del Novecento, Simone Weil. Un quadro sociale e storico certamente diverso dalle figure precedenti ma che la videro, allo stesso modo, combattere per una dimensione civile più equa e per il rispetto della dignità umana.

Dopo gli studi all’École Normale, insegnò filosofia nelle scuole; presto si interessò delle difficoltà della classe operaia e dei disoccupati e inoltre milita come sindacalista. Fu in grado di analizzare i sistemi oppressivi dei regimi totalitari e si impegnò a denunciarli senza remore. Fu una donna molto coraggiosa, destò scalpore con la donazione del suo stipendio agli operai in sciopero e poi il suo porsi alla guida del loro corteo fino al municipio.


La sua vita fu una continua lotta contro gli oppressori e le sopraffazioni, condotta con forte senso di responsabilità e sentito ardore. 


Weil aveva una consapevolezza quasi profetica della decadenza morale della società in cui viveva e per lei l’unica arma possibile, contro tale degrado, era l’attenzione. Attenzione verso gli operai sfruttati, i disoccupati e i perseguitati a causa dei loro ideali:

 «Chiunque ha la sua attenzione e il suo amore rivolti di fatto verso la realtà estranea al mondo riconosce allo stesso tempo che è tenuto, nella vita pubblica e privata, all’unico e perenne obbligo di portare rimedio, nell’ordine delle sue responsabilità e nella misura del suo potere, a tutte le privazioni dell’anima e del corpo che sono suscettibili di distruggere o mutilare la vita terrestre di un essere umano, quale egli sia» (4).


Le biografie presentate ci testimoniano l’importanza di una vita dedita all’attività sociale e all’impegno civile per essere cittadini onesti e operosi nella realizzazione del bene comune.


Per seguire questi modelli di riforma morale dei costumi sociali, le istituzioni, e in particolare la scuola, hanno il dovere di educare ai valori della giustizia e della legalità: è proprio grazie al processo educativo che si formano l’individuo e l’intera comunità. Per questo è necessario che la scuola sia un luogo in cui la coscienza critica degli studenti sia debitamente stimolata affinchè possano sentirsi liberi di esprimere le proprie idee.

L’educazione alla legalità e al rispetto della collettività rende le alunne e gli alunni capaci di esercitare i propri diritti e i propri doveri di cittadini, fornendo loro gli strumenti utili per un’autonoma partecipazione alla vita civile, sociale e politica. Tra le conoscenze necessarie per una cultura della legalità ci sono sicuramente la Costituzione, le vicende storiche e la consapevolezza del contesto sociale in cui i giovani vivono e operano.


I percorsi di educazione alla cittadinanza attiva, di analisi dei fenomeni mafiosi e di criminalità organizzata hanno l’obiettivo di creare una comunicazione virtuosa tra le nuove generazioni e le istituzioni per realizzare e promuovere modelli positivi di comportamento civile.


Solo in questo modo sarà possibile diffondere i valori per una vita democratica fondata sul coraggio civile in tutte le sue accezioni: il coraggio della giustizia, della denuncia, della lotta e dell’attenzione per gli altri, con lo scopo di realizzare un rinnovamento sociale.





(1) https://www.panorama.it/news/via-damelio-23-anni-fa-la-morte-di-paolo-borsellino?rebelltitem=1#rebelltitem1.

(2) Platone, La Repubblica, a cura di M.Vegetti, Bur Biblioteca Universale Rizzoli, Milano,  2007.

(3)  https://www.raicultura.it/webdoc/legalita/index.html#martiri.

(4) S. Weil, Quaderni, Adelphi, Milano, 1993, pp. 78-79.

Foto di copertina: autore sconosciuto.
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