Hate speech, il lato oscuro del linguaggio

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Lo studio del linguaggio, e in particolar modo della filosofia che sottende al nostro linguaggio è materia estremamente interessante. Fare filosofia del linguaggio significa soprattutto capire e analizzare i processi linguistici e le forme che compongono le nostre parole oggi, nell’epoca dove la parola è centrale in ogni sua forma.

Il nostro linguaggio si evolve, com’è giusto che sia, ma evolvendo non può evitare le contaminazioni con la società che lo utilizza – i suoi problemi, difetti, pregi e particolarità.


In questo testo, nato dalla penna della filosofia Claudia Bianchi, veniamo sapientemente guidati all’interno dei quattro capitoli (che potremmo definire macro-aree) che compongono il volume. Un saggio che, come l’autrice stessa ci confessa, nasce dopo dieci anni “di gestazione” e si sboccia durante i mesi di lockdown generale.

Hate speech sviscera la natura del linguaggio sessista, razzista e profondamente discriminatorio. Lo stesso che affonda le sue radici in stereotipi sociali che contraddistinguono da secoli la nostra società.

Vediamo così come il ruolo fondamentale dell’interpretazione giochi un ruolo importante nell’unione tra linguaggio e stereotipo, dove ad esempio una superiore che sul posto di lavoro impartisce ordini diventa una donna che offre raccomandazioni e suggerimenti, o una persona che chiede di poter ricevere assistenza dal proprio avvocato in fase d’arresto può essere ignorata senza particolari conseguenze.

Tutto questo accade quando la visione è quella privilegiata e sono proprio le sue parole ad avere una cassa di risonanza grandissima, dove «l’appartenenza a un gruppo dominante conferisce a un parlante maggiore potere performativo rispetto a quello associato in modo standard all’uso di certe convenzioni» (1).

Allo stesso modo, anche il linguaggio (verbale e non) utilizzato all’interno della pornografia diviene uno strumento di amplificazione di quanto detto sopra.

In poche mosse usate per comodità il consenso diventa qualcosa da poter bypassare e il “no” un modo civettuolo per dire ““. Anche se, a questo punto potrebbe sembrare risolta la questione addossando tutta la colpa sulla pornografia, in realtà il problema è ben più profondo e possiamo capirlo pagina dopo pagina.

Cosa possiamo fare, dunque, per riconoscere e contrastare questi elementi che sembrano pervadere le conversazioni che tutte e tutti noi leggiamo o ascoltiamo ogni giorno?


Resistiamo e combattiamo le parole d’odio con altre parole.

Informiamoci, ma soprattutto continuiamo a studiare e ad analizzare il mondo che ci circonda, proprio come ci suggerisce Claudia Bianchi.



Grazie Laterza!

Claudia Bianchi, Hate speech. Il lato oscuro del linguaggio, Editori Laterza, Roma, 2021.

1 ) p. 39.