Vita di piacere o di pensiero?

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1883

Platone, sebbene sia vissuto tra il V e il IV secolo a.C., attraverso i suoi dialoghi ci porta a riflettere su questioni ancora oggi molto attuali: da essi si possono ricavare consigli utili di filosofia pratica da applicare nella quotidianità della nostra vita.

Ho trovato molto interessante il quesito che Platone si pone all’interno del Filebo, uno dei suoi dialoghi meno noti, ovvero: quale tipo di vita è superiore, quella dedita al piacere o quella dedita al pensiero?

Vi sono persone che vivono la loro vita alla ricerca sfrenata del piacere, cercando costantemente di soddisfare i propri bisogni, inclinazioni, desideri; altri vivono con serietà una vita fatta di studio, di pensiero e di lavoro, dedicando poco tempo al soddisfacimento dei piaceri corporei.


Quale può essere considerata una vita buona e desiderabile dagli individui? Qual è più vicina all’idea di bene?


Proprio quella del bene è il fondamento del sistema platonico delle idee: essa è concepita come causa della realtà stessa, di tutte le nostre azioni e dei comportamenti finalizzati al raggiungimento di ciò che è buono, quindi giusto.

L’Apertura del dialogo non coincide con l’inizio del confronto, che si è già svolto tra Socrate e Filebo (1) e del quale viene fornito soltanto il riassunto delle posizioni. Protarco (2), che è ora l’interlocutore di Socrate, sostituisce Filebo riprendendone la posizione edonista, secondo cui il bene per tutti gli esseri viventi è il piacere. Socrate invece sostiene che il bene non è assolutamente identificabile con il piacere o con il godimento, «ma che il pensiero, l’intelligenza, la memoria, e le attività a loro connesse, opinione retta e ragionamenti veri, sono migliori e più desiderabili del piacere, almeno per tutti gli esseri viventi che sono in grado di parteciparne» (3).


Socrate propone di procedere analizzando separatamente la vita di piacere e quella di pensiero.


Per essere identificati con l’idea del bene, questi due tipi di vita dovrebbero essere autosufficienti. Una vita di solo piacere senza il possesso di intelligenza, memoria e conoscenza non sarebbe possibile, in quanto è proprio in virtù di esse che si prende consapevolezza di godere o meno.

Nessun uomo vorrebbe un piacere senza sapere di averlo. Risulta perciò che il piacere non è autosufficiente (e di conseguenza non può essere il bene), in quanto non lo si può provare senza  pensiero (4).

Socrate sostiene che il piacere, derivante da situazioni diverse, abbia varie forme, per questo si può compiere una distinzione fra quelli che definisce piaceri buoni e cattivi. I primi sono legati alla conoscenza e portano a uno stato di godimento veritiero, mentre i secondi sono quelli accompagnati da opinioni — che per definizione sono errate — e che di conseguenza generano un godimento falso. I piaceri buoni sono stimolati dall’intelletto: quelli prodotti dalla musica, dall’ammirare la bellezza della natura, dalle forme geometriche e dalla matematica, dai colori, dai suoni, e da quelle conoscenze che danno un senso di soddisfazione nell’acquisirle.


Essi non sono buoni rispetto ad altro, ma in virtù della loro natura; provocano un riempimento che non colma un’assenza: per questo si definiscono anche “puri”. 


La falsità del piacere invece consiste nella situazione in cui chi gode prova piacere per qualcosa che in realtà non esiste; non è in discussione la funzione di provare piacere, ma lo è il contenuto in quanto falso. Socrate afferma che ne è un esempio quello prodotto dalla speranza: «non abbiamo detto nei discorsi precedenti che i piaceri e i dolori propri dell’anima possono precedere i piaceri e i dolori che nascono dal corpo, tanto che accade di godere e di addolorarci in precedenza per ciò che avverrà nel futuro?»(5)

Dimostrato che il piacere non è il bene, si prosegue con l’esame della vita di pensiero. Anche questo tipo di vita non è desiderabile in sé, in quanto nessuno accetterebbe di possedere pensiero, scienza e intelligenza in assenza totale di piaceri (6) Tuttavia Platone, attraverso Socrate, sostiene che è importante soddisfare solamente i piaceri buoni per rendere la vita dell’individuo desiderabile, senza farsi trarre in inganno da quelli cattivi. 


A questo punto emerge che il bene non può essere identificabile né con solo il piacere né con solo il pensiero. Socrate così delinea quella che è una terza variante, ovvero la vita mista, che rappresenta la mescolanza dei due tipi di vita. Questa è l’unica vita che possa essere auspicabile per le persone ed è quella più vicina all’idea del bene (7).


Questa mescolanza non è casuale, ma ponderata: bisogna considerare attentamente in che misura mescolare intelligenza e piacere. Questo non è facile perché, secondo Platone, nella grande maggioranza degli individui prevalgono le parti irrazionali dell’animo a discapito di quella razionale. Gli uomini quindi tenderebbero a rincorrere costantemente una condizione di soddisfazione corporea falsa o parziale, tesa al piacere effimero e al desiderio di successo. È necessario perciò stimolare l’anima razionale delle persone cercando di trasformare le pulsioni desideranti in amore per la conoscenza, per la giustizia e per la bellezza ideale. 

Platone invita a cercare ciò che è buono e soddisfacente per l’individuo nella vita mista, procedendo alla fusione di pensiero e piacere affinché si possa individuare la vita migliore, ovvero quella che bilanci le alternative poste.


La virtù sta nel scegliere il giusto mezzo tra le parti coltivando una vita di pensiero senza negare il soddisfacimento dei piaceri buoni.





(1) Filebo è il personaggio a cui viene dedicato il dialogo. Dietro alla sua figura si cela, secondo diversi autori, il matematico e filosofo Eudosso, sostenitore di un’etica edonista.

(2) Protarco, il giovane interlocutore del dialogo, viene identificato con il figlio di Callia, colui che ha contribuito allo sviluppo del movimento della sofistica ad Atene.

(3) Platone, Filebo, a cura di Maurizio Migliori, Bompiani, 11b7-11c1.

(4) Cfr. Maurizio Migliori, L’uomo fra piacere, intelligenza e Bene. Commentario storico-filosofico al Filebo di Platone,  1993, pp. 131-132.

(5) Platone, Filebo, cit. 39d1-39d4.

(6) Cfr. Maurizio Migliori, L’uomo fra piacere, intelligenza e Bene, cit., p. 133.

(7)  Cfr. ivi, p. 313.