“L’inferno dell’aborto sono gli altri”

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Aborto

Alice Merlo, classe 1993, è una donna genovese che da circa tre anni fa parte dello staff della comunicazione dell’associazione Linea Condivisa, ma in queste settimane necessita di poche presentazioni in virtù della campagna di cui è letteralmente il volto: “aborto farmacologico: una conquista da difendere”.


Tutto parte da un post su Facebook in cui racconti la tua esperienza con la pillola abortiva RU-486, esperienza che hai definito privilegiata e che ha attirato l’attenzione dell’U.A.A.R. (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) che ti ha proposto di diventare testimonial della loro campagna. In che senso “privilegiata” e quale è stato il fattore scatenante del tuo racconto?


Privilegiata perché sono arrivata consapevole di quali fossero le procedure per l’IVG, grazie ai miei studi e alla collaborazione con i consultori genovesi e non all’educazione scolastica; secondo privilegio è il non aver dovuto tenere nascosta a nessuno la mia gravidanza indesiderata, né con familiari e amici né sul luogo di lavoro.

Avevo chiaro da subito che avrei voluto parlare della mia esperienza con l’IVG, perché pur essendo stata per me positiva è un servizio sanitario che ha ancora moltissimi limiti, dagli orari all’assenza dei cartelli ambulatoriali, fino agli ostacoli “morali”. Poi è uscita la campagna degli anti-scelta, che definiva la pillola RU-486 come un veleno: ho aspettato un po’, perché non voleva essere una risposta a un attacco. Quando la giunta di Genova ha rifiutato di rimuovere i manifesti lo stimolo maggiore è diventato reagire alla scelta di chi dovrebbe tutelare i cittadini di veicolare un messaggio disinformativo e incentivante l’odio.


Possiamo allora parlare di una campagna di presunta informazione che però è una retorica della paura. Quali sono i punti deboli (che possono essere letti come forti) della comunicazione pro-life e perché li chiami anti-scelta?


I punti forti/deboli sono l’intensificazione della violenza del messaggio: già nel 2017/18 erano affissi i manifesti di una gigantografia di un feto supplicante di non essere ammazzato; in aggiunta la frase offensiva, oltre che erronea, “la principale causa di omicidio è l’aborto” di qualche tempo dopo. Stanno intensificando la disinformazione prendendosela non solo con l’atto dell’aborto, ma direttamente con il mezzo, con il farmaco: sono più spaventati dai risultati ottenuti, come l’adeguamento delle direttive ministeriali alle 9 settimane come limite per l’aborto farmacologico. Questi manifesti sono a loro modo una forma di violenza.

Li chiamo anti-scelta perché dichiararsi “pro” è una grande mossa strategica: crea un’immagine positiva, ma di fatto sono contro a tutto ciò che si discosta dal canone di ciò che reputano “normale”. Mi sono data questa regola dal 2018, quando ho imparato i punti per un dibattito igienico.


Visto che sembra sottile ma è evidente il discrimine tra libertà di espressione e disinformazione, provvediamo. Come funziona l’assunzione della pillola RU-486 e cosa la differenzia dalla pillola del giorno dopo? Ci sono iter amministrativi?


Il primo step è una visita ginecologica. Appurata la gravidanza, se reputata indesiderata, si ha accesso alla terapia farmacologica a seconda delle settimana di gravidanza: ricevi un certificato che riporta quale procedimento è indicato, se farmacologico o chirurgico.

La terapia farmacologica consiste nell’assunzione, dopo 7 giorni durante i quali puoi già effettuare la prenotazione dell’appuntamento, di tre pastiglie: la prima è la RU-486, l’unica passibile di obiezione di coscienza, che tramite il mifepristone interrompe lo sviluppo dell’embrione; le altre due sono della categoria delle prostaglandine e vengono assunte dopo 48 ore dalla RU-486 durante un singolo day hospital: inducono un ciclo abbondante per espellere l’embrione e durante la loro assunzione è necessario essere monitorate per evitare rischi emorragici. Fanno eccezione sull’iter i certificati d’urgenza, per evitare di ricorrere all’intervento chirurgico se ci si trova sul limite del tempo utile alla somministrazione del farmaco. Alla fine delle assunzioni ci saranno due visite ginecologiche: una dopo il day hospital, una dopo due settimane. (1)

La differenza con la pillola del giorno dopo consiste nel fatto che questa è un anticoncezionale d’emergenza: non interrompe lo sviluppo embrionale, ma ne impedisce l’annidamento e per questa ragione non è soggetta all’obiezione di coscienza.

La conquista dell’opzione farmacologica è importante perché è un farmaco sicuro: con bassissime percentuali di rischi di complicazioni e di inefficacia, inoltre consente la velocizzazione della procedura ed evita l’invasività di un intervento chirurgico, soprattutto per chi vive la gravidanza indesiderata come un’invasione del proprio corpo.


Dai tuoi interventi è chiaro che uno dei messaggi fondamentali che vuoi trasmettere è una smitizzazione della narrazione sull’aborto come un servizio a cui accedere pagando un “ticket di sofferenza” (2)…


È necessaria una narrazione non stigmatizzata e non giudicante. Mi ero detta che non avrei mai raccontato le circostanze della mia gravidanza indesiderata, ma mi trovo a farlo a fronte di tanti attacchi di chi crede che il messaggio sia “non importa che esista la contraccezione, tanto esiste la pillola abortiva”: nel mio caso non ha funzionato un contraccettivo ormonale. A prescindere dagli incidenti che possono capitare, mi batterò sempre per il diritto di tutte le persone di compiere un errore: devono comunque poter accedere a un servizio sanitario tutelato dalla legge senza fare la walk of shame, senza essere additata come fallita o colpevole.


È quindi importante sottolineare che non si sta imponendo una narrazione sostitutiva, ma si sta affermando che, in quanto scelta autodeterminante, l’aborto generi più narrazioni: nessuna di esse deve essere giudicata inaccettabile, se non quella, qualunque essa sia, che è frutto di imposizione esterna. In relazione all’imposizione di una narrazione del senso di colpa e del dolore, prezzo da pagare per essere quasi perdonata dalla società, hai parlato più volte di “sessismo benevolente”. Cosa intendi?


Il sessismo benevolente è questa forma più sottile e subdola di sessismo per cui le donne vengono messe da parte. Viene difesa, ad esempio, una IVG a seguito di uno stupro ma non quella che segue all’assunzione di alcool; viene difesa la libertà di scegliere l’aborto ma non se affermi di aver abortito ed essere felice di averlo fatto e di non averne sofferto, di non aver subito un trauma. Se lo è per tante persone, per altrettante è un sollievo.


È evidente che per contrastare la pseudo comunicazione che fa leva sulla “china scivolosa” e per colmare le lacune dei tabù che ci portiamo dietro sia necessaria un’operazione capillare di educazione nelle scuole. Cosa ne pensi di questo e, in particolare, dell’insegnamento calendarizzato della religione in uno stato che si dichiara laico dalla revisione dei Patti Lateranensi?


Urge un’educazione precoce, continuativa e istituzionalizzata alla sessualità e all’affettività. Intendo non la tradizionale educazione sessuale, quelle due ore dove ti bombardano sulle malattie sessualmente trasmissibili in un rapporto eterosessuale nell’età in cui sei già sessualmente attivo, ma una ri-educazione su tutto ciò che riguarda il proprio corpo, sulla contraccezione femminile, sull’identità di genere, sul sesso come atto non necessariamente eteronormativo finalizzato alla riproduzione, sulla masturbazione e sulla pornografia.

In uno stato che si professa laico, è proprio la presenza della religione cattolica (3) a disincentivare l’educazione alla sessualità. Inoltre, la religione a scuola viene spesso trasmessa come un ulteriore catechismo piuttosto che educazione alle religioni: in questo caso sarebbe un’apertura alla multietnicità e alla possibilità di libertà di religione difesa dalla costituzione anziché un insegnamento cattolicentrico.


È inevitabile approfondire l’obiezione di coscienza. L’articolo 9 della legge 194 tutela il personale sanitario nella non partecipazione agli interventi di IVG (4) e supponiamo che sia sempre una scelta guidata dall’etica e non da altri interessi o imposizioni. Tu e U.A.A.R. ritenete giusto che sussista come opzione nella sanità pubblica, come forma di autodeterminazione? E nel privato?


Nella sanità pubblica assolutamente no. La legge 194 è una buona legge, ma è vecchia e contingente: è stata creata senza lungimiranza. All’epoca è stato giusto consentire la libertà di scelta a chi già praticava ginecologia, ma non si è pensato che successivamente si sarebbe reso necessario pretendere da chi volesse esercitare nel pubblico anche la pratica dell’IVG. Nel pubblico, nessun paziente dovrebbe incappare nell’obiezione di coscienza. Nel privato, invece, è legittimo esercitarla come diritto, nel rispetto del proprio credo e della propria etica così come non viene obbligata nessuna donna ad abortire. 


Qui entra in ballo l’annosa divisione tra bioetica laica e cattolica. Prendendo atto che siano due visioni mutuamente esclusive, dato che una fa pesare di più sulla bilancia la scelta di una vita in atto e l’altra il valore di una vita in potenza, perché è giusto secondo te che sia quella laica ad essere base normativa?


La risposta più semplice è proprio perché siamo uno stato laico: se laica è la carta costituzionale, laica deve essere anche la legge che norma la sanità. La risposta più complessa è che la bioetica cattolica può essere estremizzata: è vita in potenza anche lo sperma che finisce nel preservativo, ma viene giustamente promosso. È pericoloso aprire la strada alla bioetica cattolica in materia di diritti riproduttivi


Possiamo dire, allora, che tutto risponde al termine “inclusività”: tutelare l’aborto non limita le azioni di chi è contrario. Quali sono le altre lotte che ti stanno a cuore (se “altre” possiamo chiamarle, visto che tutte si intrecciano all’insegna della tolleranza e del rispetto dell’altro)?


Da quando ne ho memoria mi batto per tutto ciò che riguarda la comunità LGBT+, per l’educazione all’affettività che ci tolga dalle gabbie degli stereotipi attraverso un approccio peer-to-peer: un dialogo alla pari in cui non esiste risposta sbagliata, là dove si utilizzano argomentazioni razionali e dove si parla di ciò che si conosce: il resto si impara.


Ultimo commento: come giustamente hai affermato, dare spazio agli haters significa anche rafforzarli, in più sei fortunatamente tutelata dal team legale di U.A.A.R. (5), ma ne cito alcuni come mezzo di confronto. C’è chi ti ha detto che difende la libera scelta, ma che non dovrebbe essere a carico del S.S.N.; chi ti giustificherebbe solo se fossi stata stuprata; chi ha voluto indagare la tua vita…


L’ignoranza non è un male, qualora venga riconosciuta e si accetti che vi venga posto rimedio: l’IVG è l’unico servizio a cui si accede solo dopo una gogna sociale e ospedaliera, ma non gode di diritti inferiori rispetto a una gamba rotta, per cui nessuno polemizza o chiede ragioni. Poi si apre il meraviglioso capitolo degli aborti di serie A, B e C: come per gli stupri, pare esistere un libretto che stabilisce quali sono socialmente accettabili su cui stendere un velo di pietà e quali vanno invece giudicati sulla pubblica piazza. L’indagine del privato spesso avviene con toni melliflui e apparentemente non giudicanti, ma spesso intrisi di interiorizzati intenti colpevolizzanti, più subdoli degli insulti diretti. In generale, mi impegno a non contrattaccare: è controproducente, perché lo scopo è sempre quello di far approfondire l’argomento astenendosi dal giudizio.




(1) https://www.noneunveleno.it/abortire-in-italia/

(2) Espressione mutuata da Adele Orioli, iniziative legali di U.A.A.R.

(3) Cfr. “Policy for sexuality education in the European Union”, www.europarl.europa.eu 

(4) Il personale sanitario può praticare obiezione di coscienza a meno che non si tratti di un intervento salvavita nei confronti della paziente. Inoltre, il SSN deve garantire la presenza di non obiettori che espletino il servizio di IVG.

(5) Ricordiamo che Alice gode del privilegio di una tutela legale e di un carattere forte, per cui le shitstorm sono da sprone per perseguire i suoi intenti. Per altre persone, potrebbero essere fonte di esiti disastrosi: un dialogo pacato e costruttivo è l’unica via accettabile.


NdR – Il titolo dell’intervista combacia con il titolo di un libro di Chiara Lalli, edito da da Fandango.

NdR – Foto di copertina scattata da Adele Orioli di UAAR il 9 Febbraio 2021 – nessun uso commerciale