A un anno dall’uscita in lingua originale, Treccani edizioni provvede alla traduzione di un testo molto significativo per pensare il rapporto tra lo spazio urbano e il genere: Feminist City, di Leslie Kern (1).
L’autrice, professoressa associata di Geografia e Ambiente all’Università canadese Mount Allison e direttrice del programma di Studi di Genere della stessa, partecipa al dibattito contemporaneo con una prospettiva urbanistica, dichiarandosi una geografa femminista.
«Studio l’ambiente, naturale e artificiale, e ragiono su come gli stereotipi e i ruoli di genere abbiano influenzato lo spazio. Perché ogni città riflette la società che l’ha costruita: se quella società ha idee misogine, sessiste o razziste, quelle idee prenderanno forma, in qualche modo, nella sua costruzione» (2).
La tesi di Kern è intuitiva, ma tutt’altro che scontata: la città non è fruibile nello stesso modo dagli uomini e dalle donne. Il punto di partenza della riflessione è il corpo femminile incarnato, l’esperienza che ogni donna ha dello spazio urbano, delle sue falle e dei suoi pericoli.
I cinque capitoli del libro tracciano il rapporto tra la donna e la città, in un climax ascendente di difficoltà. La città delle mamme, delle amiche, dei single, delle proteste e, infine, la città della paura. Kern prende in considerazione i diversi aspetti della vita quotidiana, dalla socializzazione al lavoro, dalla vita privata allo spazio personale, dando delle risposte non banali ai problemi che affliggono l’essere donna nello spazio.
Un esempio tra tutti: il cosiddetto “paradosso della paura femminile”. Perché, nonostante sia più probabile che subiscano violenza tra le mura domestiche, per mano di persone note, le donne temono gli spazi pubblici che, oltretutto, sono teatro di aggressioni più frequenti a danno degli uomini? Kern, con la sua analisi, riesce a decostruire la questione, dimostrando che non si tratta affatto di un paradosso. Nello studio sociologico e psicologico del problema sono stati commessi degli errori, dovuti a bias di genere, che l’autrice mette in luce.
Il rapporto dell’essere umano con il mondo che abita non è neutro: c’è della politica nel camminare, nell’abitare e, soprattutto, nel progettare e nel costruire. Una prospettiva femminista, aperta a rivalutarsi di continuo, a rivedere i suoi limiti alla luce delle voci e delle esigenze delle minoranze va introdotta per la creazione della città del futuro.
Il femminismo intersezionale è una base metodologica, prima che teorica, capace di immaginare uno spazio urbano a misura dell’essere umano.
Catcalling e molestie sono lo specchio di una città di appannaggio maschile, la cui struttura va rivista profondamente, non solo da chi ne è l’ideatore, ma anche da chi vive al suo interno. Un capitolo molto interessante del testo è quello che riguarda l’amicizia: la sorellanza, il legame tra donne che, spesso, nella narrazione generalista, è tacciato di superficialità e invidie reciproche, è un valore anche all’interno della città. Creare spazi comuni, inondare il tessuto urbano con la propria presenza, riappropriarsi del territorio: le donne, facendo rete, possono vivificare un’idea di futuro aperta e inclusiva.
(2) https://www.vanityfair.it/show/libri/2021/05/11/come-si-costruisce-una-citta-femminista-leslie-kern-libro
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