Una voce per ricordarci lo scandalo delle case Magdalene
La prima volta che andai in Irlanda era il 2009. Arrivammo in hotel in taxi verso l’ora di pranzo e ci dirigemmo in un fast food un po’ sperduto. Il locale era pienissimo e, dopo una breve attesa, una donna ci lasciò il suo posto. Tempo qualche minuto e la vedemmo di ritorno alla ricerca delle sue chiavi: «Devo averle appoggiate qui da qualche parte» e tastando qua e là le trovò, ma prima di salutarci, ci attaccò bottone chiedendomi qualcosa di noi.
«Da dove venite? Prima volta in Irlanda?». La sua cordialità fu enorme e io mi sentii in paradiso: il mio agognato viaggio nell’isola di smeraldo mi parve iniziare benissimo. Non so come, non so perché, finì con il parlare di certi posti, in cui le donne “ribelli” venivano rinchiuse. Se erano incinte, toglievano loro il figlio. Se avevano lunghi capelli, le rasavano. Queste donne dovevano lavorare per delle terribili suore e tale situazione faceva comodo agli uomini. Così quelle “sciagurate” non davano fastidio. Tutto questo (e altro) ce lo raccontò spontaneamente e con l’ardore e la lucidità di chi vuole farsi ascoltare. Scandiva bene le parole, parlava un inglese comprensibilissimo, o almeno a me così è sembrato. In quel momento ogni divario linguistico mi parve superato e superabile: c’era qualcosa di corale e universale nella sua voce.
La donna esprimeva preoccupazione per il figlio – erano gli anni dello scandalo dei preti pedofili e attorno alla Chiesa d’Irlanda si creò un enorme scalpore – perché, da credente, avrebbe voluto che frequentasse il catechismo e la messa, ma non si fidava più.
La Chiesa l’aveva troppo delusa e tutte quelle donne, rinchiuse per anni e private della loro identità e dignità, avevano avuto una vita troppo terribile. Le sue parole risuonavano dure in quel fast food nel centro di Dublino. Così come iniziò, non so come finì il suo discorso. Cordialmente ci salutò e se ne andò. Non ho idea del perché ce ne parlò, ma le sue frasi non le dimenticherò mai, anche se lì per lì non le capii fino in fondo.
Qualche anno dopo, però, il tutto mi si fece più chiaro: uscì Philomena (1), si parlò del ritrovamento di una fossa comune vicino a un Convento di suore (2). Ovunque si raccontava quel capitolo spaventoso della storia d’Irlanda: le case Magdalene.
Le case Magdalene nacquero nel XVIII secolo e avevano la funzione di riabilitare le prostitute. Le donne, inizialmente, vi entravano in maniera spontanea.
Con il passare del tempo, però, i ricoveri in tali istituti divennero coatti: le ragazze entravano spesso contro la loro volontà, perché costrette dai genitori o perché scomode per la società.
I Magdalene Asylum erano gestiti da suore, ma pienamente appoggiati dal governo irlandese (3).
Come mi aveva accennato la donna del fast food, in questi centri venivano rinchiuse le ragazze madri o troppo provocanti. A volte venivano importate anche donne dagli istituti psichiatrici o con disabilità. Com’era la loro vita in essi? Terribile. Le ospiti erano costrette a lavorare in sporche e umide lavanderie per ore e ore, senza parlare. Veniva dato loro pochissimo da mangiare e gli erano vietati i contatti umani interni ed esterni. Per punizione – e non era difficile meritarla – le suore tagliavano loro i capelli o le frustavano barbaramente. Se le donne erano incinte, venivano trasferite in “reparti” appositi, dove partorivano e i bambini gli venivano sottratti per essere affidati a famiglie abbienti, come ben raccontato dal già citato Philomena.
La cosa più allucinante di questa situazione è la sua lunga durata, che è di oltre duecento anni. L’ultimo Magdalene Asylum, infatti, venne chiuso solo nel 1996 (4).
Per capire meglio la condizione delle ospiti in questi istituti, ci si può rifare anche a un’altra pellicola, oltre a quello già citata: Magdalene (5).
Le protagoniste vengono rinchiuse nella Casa per tre motivi diversi, che rispecchiano ciò che abbiamo detto: Rose/Patricia perché ragazza-madre, Margaret perché parla pubblicamente del suo stupro e Bernadette perché flirta molto con i ragazzi. Tra le loro compagne c’è anche Crispina, una giovane con una lieve disabilità mentale, che subisce continui soprusi. Ogni azione anche vagamente “sovversiva” viene punita, non c’è spazio nemmeno per la speranza e ciò porta a gesti disperati. Inoltre, nel film sono ben illustrate anche le umiliazioni psicologiche che le donne subivano, che ebbero un impatto enorme sulla salute mentale delle loro ospiti. In una particolare scena, le ragazze sono nude, davanti una suora, che le prende in giro: fa la classifica della più pelosa, di chi ha il seno più grosso e quello più piccolo.
Queste mortificazioni non sono solo una trovata filmica, erano reali e le donne che riuscirono a uscire da questi posti orribili, ne furono perennemente segnate e subirono un vero e proprio shock. Se nel caso di altri fatti, le istituzioni hanno deciso di condividere il trauma, rendendolo collettivo quasi sin da subito, così non pare essere accaduto per le Case Magdalene, se non molto recentemente, quando nel 2013 il governo irlandese si scusò con le ospiti e istituì un fondo a loro dedicato. Anche la Chiesa Cattolica, in quegli anni, venne più volte richiamata a rispondere dei propri crimini, ma non si espresse mai e rimase in silenzio (6).
Perché una tale violazione dei diritti restò così a lungo coperta? Perché, in uno Stato sviluppato come l’Irlanda tutto ciò è potuto accadere e ha continuato sino a tempi recenti?
Purtroppo, le voci delle donne che hanno dovuto vivere nelle Case Magdalene non furono ascoltate. Alcune di loro che riuscirono a uscire, dovettero trasferirsi o se rimasero, continuarono a venire in qualche modo emarginate, come vediamo chiaramente anche nel film Magdalene. Altre non uscirono mai da quei posti e, con una specie di lavaggio del cervello, rimasero negli istituti tutta la vita convinte di dover espiare i loro peccati. Altre ancora, anche se uscite, non parlarono mai dei loro trascorsi in questo luogo.
Le violenze che subirono queste donne, probabilmente, non troveranno mai un riscatto: nessun fondo le potrà ripagare degli abusi fisici e psicologici che esse hanno vissuto, ma anche solo riconoscerle e parlarne è un passo avanti per non dimenticare, ma soprattutto, per non ripetere.
Ecco perché le parole di quella donna nel fast food – che a volte mi sembra essere stata una specie di apparizione – non le dimenticherò mai. Non so perché la ragazza ci raccontò tutto questo. Era una cosa che la toccava personalmente? Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno per qualcosa che si teneva dentro? Può essere. Quel singolo discorso, però, ebbe e ha ancora per me una valenza universale
È la voce degli inascoltati, di tutte quelle donne scomode che la società vuole nascondere.
(1) Philomena: film del regista Stephen Frears del 2013.
(3) Cfr. https://www.history.com/news/magdalene-laundry-ireland-asylum-abuse
(4) Cfr. Ibidem.
(5) Magdalene: film del regista Peter Mullan del 2002.
(6) Cfr. https://www.history.com/news/magdalene-laundry-ireland-asylum-abuse
Immagine di copertina: https://it.wikipedia.org/wiki/Case_Magdalene#/media/File:Magdalen-asylum-england.jpg
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