L’orgoglio di Medea

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Medea

«Dobbiamo metterla in guardia. Questo nostro misconoscere dà forma a un sistema chiuso, lei non può ribattere.» (1)

Così Christa Wolf inizia il suo viaggio di rilettura – e riscrittura – della figura e della storia di Medea. Guaritrice che detiene antichi poteri, il mito la dipinge come assassina dei propri figli per gelosia e amore tradito. Wolf non è dello stesso avviso: «Non potevo credere che una guaritrice, un’esperta di magia, originata da antichissimi strati del mito, dai tempi in cui i figli erano il bene supremo di una tribù, doveva uccidere i propri figli» (2).

In un alternarsi di voci, i pensieri della protagonista e quelli degli altri personaggi costruiscono una Medea imprigionata a Corinto, terra a lei straniera, e abbandonata da Giasone a vivere isolata, perché questo è: diversa, selvaggia, estranea. Tutti a Corinto temendone le doti magiche, la additano untrice di ogni disgrazia emarginandola, fino a rivolgerle un vero e proprio atto di espulsione, perché Medea dice che essi «riescono a mitigare la loro paura solo con la furia contro gli altri» (3). Con l’escamotage narrativo del flusso di coscienza, il lettore viene a trovarsi dentro la mente di Medea, scoprendone la solitudine e l’innocenza.


La donna veste, nella rilettura operata da Wolf, i panni di una nostalgia angosciosa, che ripetutamente la porta a rivolgere il pensiero alla sua terra natia, agli affetti che ha lasciato e che a Corinto non riesce a recuperare.


È «una donna alla quale sono state tolte tutte le illusioni. Porta con sé il bisogno di un’intesa, […] di un colloquio paritario» (4).

E, tuttavia, Medea non cede, restando una donna sfacciata, che cammina per la città a testa alta, perché ribatte a Giasone: «Non sono andata via dalla Colchide per venirmi a sottomettere qui» (5).

Diventa allora un personaggio sì ferito e abbandonato a se stesso, ma che non si lascia andare alla disperazione, o alla furia – come vorrebbero Euripide e Apollodoro – e che si dimostra capace di rispondere al dolore, ancorandosi alla sua stessa forza: «Medea è orgogliosa, ma il suo è un orgoglio al positivo, che le permette di bastare a se stessa» (6).

La sua figura è un’occasione per riflettere sul valore della donna: «La cultura della maga […] è una cultura matriarcale che rifiuta la violenza, proprio perché legata ai valori “femminili” del concepimento e del parto. Medea non può che scoprire con orrore la logica di dominio che regge l’ordine (patriarcale; maschile) fondato dal re di Corinto Creonte» (7), e a cui non vuole piegarsi.


In questo senso rappresenta una sorta di “attivista” del passato: Medea riconosce l’oppressione politica di cui è vittima in quanto donna, e ancor di più in quanto donna straniera, e non solo ne denuncia gli orrori ma agisce per contrastarli nella speranza di liberare se stessa e gli altri, anche se in ultimo, ogni suo gesto, nella storia narrata dagli abitanti di Corinto, sarà raccontato come violento e colpevole.


Per questo, è anche sulla politica che vuole riflettere l’autrice: le stesse problematiche incarnate da Medea sono vissute a seguito dell’89 dai tedeschi (8), nel momento in cui Wolf scrive, e sono le medesime che caratterizzano il volto di ogni potere: l’affermazione della propria identità e della propria forza contro la ricerca di un capro espiatorio per giustificare se stessi e le proprie scelte. Sono i vincitori che scrivono la storia, e anche nel caso di Medea, è stato il governo di Corinto a tramandarne le sorti ai posteri, volendo manipolare la vicenda a proprio piacimento.

Eppure nell’avvicinarsi a Medea, Wolf, cerca di sondare non solo l’animo della donna, ma il contesto in cui ella viene a trovarsi: se più che all’amore è devota al desiderio «inesausto di cercare e di capire […] di partecipare alle relazioni, ai problemi, ai casi altrui» (9) in un luogo colpito da sventure, carestie e morti, riceve null’altro che emarginazione e colpa. L’autrice mostra «non un’infanticida, [ma, ndr] una donna forte e generosa, depositaria di un remoto sapere del corpo e della terra, che una società intollerante emargina e annienta negli affetti fino a lapidarle i figli» (10).


Christa Wolf nel suo Medea. Voci si rende meritevole di una riscrittura del personaggio più umana e profonda.

«Dicono di Medea che ha ucciso i suoi due figli: ma non è vero, glieli hanno uccisi quelli di Corinto. Dicono che era gelosa di Giasone, ma non è vero, amava riamata un altro. Dicono che ha ucciso la nuova sposa di lui, Glauce, ma non è vero, la ragazza si è gettata nel pozzo. Dicono che aveva ucciso il fratello, Absirto, ma non è vero, lo aveva ucciso il padre per impedirgli di succedergli. Dicono che è una maga, ma non è vero, aiuta i malati a guarire. Dicono che è libera, selvaggia, indomita, straniera. Soltanto questo è vero» (11).






(1) C. Wolf, Medea.Voci, Ed. e/o, 2009, p. 6.

(2) C. Wolf in una intervista del 1997, in C. Varotti, La Medea non-violenta di Christa Wolf, p. 1, disponibile in file pdf al link: https://site.unibo.it/griseldaonline/it/didattica/carlo-varotti-medea-meedee

(3) C. Wolf, Medea. Voci, Ed. e/o, 2009, p. 133. 

(4) M. Rubino, Medea. Voci di Christa Wolf, da M. Rubino, C. Degregori, Medea Contemporanea, Genova, 2000, p. 19.

(5) C. Wolf, Medea.Voci, Ed. e/o, 2009, p. 47. 

(6) M. Rubino, Medea. Voci di Christa Wolf, da M. Rubino, C. Degregori, Medea Contemporanea, Genova, 2000, p. 17.

(7) C. Varotti, La Medea non-violenta di Christa Wolf, p. 2, disponibile in file pdf al link: https://site.unibo.it/griseldaonline/it/didattica/carlo-varotti-medea-meedee

(8) Dopo la caduta del muro di Berlino, aleggiava ancora della tensione tra Germania Est e Ovest, tanto che Christa Wolf, pur attenta e coscienziosa nella sua adesione socialista, fu vittima di una campagna di denigrazione a seguito dell’apertura degli archivi della Stasi che la riportavano come collaboratrice al servizio della DDR. È vero che collaborò informalmente per un periodo, ma senza giungere a conclusioni rilevanti se ne tirò fuori, facendosi così additare dalla stessa Stasi come sovversiva. Cfr. M. Rubino, Medea. Voci di Christa Wolf, da M. Rubino, C. Degregori, Medea Contemporanea, Genova, 2000, pp. 3-5.

(9) M. Rubino, Medea. Voci di Christa Wolf, da M. Rubino, C. Degregori, Medea Contemporanea, Genova, 2000, p. 22. 

(10) A. Chiarloni, Postfazione in C. Wolf, Medea. Voci, Ed. e/o, 2009, p. 174. (11) R. Rossanda, 1996: IV, in M. Rubino, Medea. Voci di Christa Wolf, da M. Rubino, C. Degregori, Medea Contemporanea, Genova, 2000, p. 11.

Immagine di copertina: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/75/Medea%2C_con_los_hijos_muertos%2C_huye_de_Corinto_en_un_carro_tirado_por_dragones_%28Museo_del_Prado%29.jpg