La donna come non-maschio: paradigma della filosofia

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Sin dalla fine del Settecento, con Mary Wollstonecraft e Olympe de Gouges, le teorie femministe hanno voluto mettere in crisi e abbattere una forma di potere ben presente e radicata nella società ma, allo stesso tempo, ignorata per secoli (per esempio dalle teorie politiche e filosofiche antecedenti al Settecento). Stiamo parlando del potere del sesso maschile su quello femminile, potere di cui vediamo ancora manifestazioni e problematicità. 


La differenza tra individuo maschile e individuo femminile, e dunque anche il potere, ingiustificato, del primo sul secondo, sono al centro della riflessione filosofica di Luce Irigaray, psicoanalista e filosofa di origine belga.


La sua opera principale è Speculum. L’altra donna, del 1974. Il titolo dell’opera fa riferimento al dispositivo medico usato in ginecologia per guardare all’interno del corpo femminile e richiama lo specchio di Lacan, del saggio del 1937 Stadio dello specchio. Proprio sulla sessualità femminile, contrapposta a quella maschile, la filosofa concentra la sua tesi, divisa in tre sezioni: la prima è una critica alla teorie freudiane, la seconda è una spiegazione di come venga trattato il femminile dagli esponenti più importanti del pensiero occidentale e la terza un’analisi del mito della caverna platonico. Queste tre parti hanno lo stesso obiettivo: sottolineare che la donna, e più in generale il mondo femminile, sono rappresentati come copia di quello maschile. Ogni teoria del soggetto, infatti, è sempre declinata al maschile mentre il femminile non ha avuto ancora luogo. 


Sia nella filosofia che va da Platone a Hegel, sia nella psicoanalisi di Freud e Lacan, la donna è vista semplicemente come non-uomo, come “assenza di” e come “mancanza di”.


Freud, per esempio, definisce la donna come castrata e sofferente per la mancanza del membro maschile. Tra i filosofi, invece, troviamo Aristotele che afferma che la donna tende all’uomo come il brutto tende al bello e che il rapporto tra uomo e donna è, e deve essere, di subordinazione della seconda al primo. La figura femminile è sempre e solamente letta con queste categorie di assenza e mancanza, poiché non possiede l’organo sessuale maschile. Proprio questa visione della donna è ciò che caratterizza l’ordine simbolico patriarcale. Solamente l’uomo è «paradigma dell’intero genere umano, mentre il sesso femminile risulta non pienamente umano» (1). 

Questa “mancata esperienza di alterità” è problematica perché pervade la filosofia e la psicoanalisi, discipline che erano solamente espressione di menti maschili. L’autrice introduce il termine “fallologocentrismo” per definire quest’ordine patriarcale che caratterizza un discorso dell’uomo, indirizzato e rivolto a se stesso, totalmente espressione di un fallocentrismo. Quest’ultimo termine indica, invece, la tendenza a ritenere il maschio figura predominante rispetto alla donna. 


La problematicità, per una società che si fonda su questo paradigma, di ascoltare le parole di Irigaray è evidente dalle conseguenze della pubblicazione dell’opera: era la sua tesi di dottorato e le è costata l’espulsione dall’Università di Vincennes, ma anche la rottura con lo psicoanalista Lacan e l’Ecole freudienne de Paris. 


Sarebbe un sollievo dire che oggi abbiamo totalmente superato il “fallocentrismo” e questo paradigma che vede la donna come assenza e mancanza, ma così non è. Abbiamo ancora interi paesi in cui questo paradigma è l’unico che si possa ritenere giusto e accettabile. Ma anche in paesi più sviluppati, come il nostro, rimangono segni di quest’ordine: la sessualizzazione e oggettificazione dei corpi femminili, le disparità economiche e lavorative tra donne e uomini, l’idea, ancora non del tutto superata, che alle donne spettino certi lavori e mansioni, la figura femminile realizzata solamente in un contesto familiare e tanti altri. In questi esempi accade ciò che Irigaray voleva condannare: il posto della donna è un posto predefinito, quello a lei riservato dall’uomo e dai suoi discorsi


A queste disparità tra sessi si oppone la “filosofia della differenza”, corrente filosofica del XX secolo che si lega ad alcune teorie femministe di cui fanno parte anche Luce Irigaray e Adriana Cavarero.


Questa corrente ci insegna quello a cui tutti, quindi anche gli uomini, devono mirare, ovvero rendere possibile una filosofia, e in generale una cultura, a due soggetti, come scrive la stessa Irigaray. Dobbiamo cioè «condannare l’oblio dell’esistenza di una soggettività che è differente da quella maschile» e rivendicare «una soggettività al femminile» (2).






(1) Adriana Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in F. Restaino e A. Cavarero, Le filosofe femministe, Paravia, Torino 1999, pp. 116-17.

(2) L. Irigaray, Introduzione a In tutto il mondo siamo sempre due. Chiavi per una convivenza universale, Baldini Castoldi Dalai, 2006.

BIBLIOGRAFIA AGGIUNTIVA

L. Irigaray, Speculum. Dell’altro in quanto donna., Feltrinelli, 2017. 
S. Petrucciani, Modelli di filosofia politica, Einaudi, 2003.