«Tutto ciò che vidi davanti a me erano ettari di pelle. Come un contadino che vede un terreno fertile per la prima volta» (1).
Questa fu l’incredibile dichiarazione del Dottor Kligman all’ingresso della prigione di Holmesburg, in Philadelphia.
Il caso di Holmesburg fu certamente uno tra i più scandalosi, anche perché coinvolse non solo medici di vario genere, ma anche personale della prigione, università, aziende private e agenzie governative.
Tutto ha inizio con l’ingresso del Dottor Kligman nella struttura. L’anno era il 1951. A seguito di un alto numero di prigionieri con il piede dell’atleta (un’infezione micotica che aveva contagiato più di 1200 persone nel carcere), (2) venne chiamato Kligman in quanto dermatologo specializzato nel trattamento delle micosi e luminare dell’Università della Pennsylvania.
Una volta curata l’infezione per cui era stato convocato, iniziò a frequentare regolarmente la prigione, senza alcun controllo. Dalle sue stesse dichiarazioni, nessuno sapeva cosa fosse il consenso informato, dunque nessuno inizialmente chiese cosa stesse facendo in quella “colonia antropomorfa” – come venne da lui descritta la folla di carcerati (3).
Negli anni, gli studi di dermatologia si tramutarono velocemente in altro.
Per citarne alcuni: nel 1957 l’applicazione di grandi quantità di funghi ai piedi dei detenuti; nel 1958 uno studio comprendente inoculazione di verruche ed herpes; tra il 1961 e il 1971 diverse sperimentazioni comprendenti candida, staphilococco, melanociti ed esposizioni ai raggi ultravioletti (5).
Seguirono poi: test per il dosaggio e la tossicità di farmaci tranquillanti, analgesici, antibiotici per varie case farmaceutiche; test tossicologici per dentifrici e colluttori di Johnson & Johnson; test con tagli per verificare le proprietà di adesione e assorbenza di bendaggi sempre per la Johnson & Johnson e test di prodotti antitraspiranti per Helena Rubinstein. Questi sono solo alcuni esempi (6).
A un certo punto, iniziarono a essere testati anche in altre carceri gli effetti dell’esposizione a diossina e radiazioni, in esperimenti che prevedevano l’esposizione a raggi X direttamente sui testicoli dei detenuti (7).
Dalle testimonianze raccolte, colpisce particolarmente come i detenuti partecipanti ai test spesso si autodefinissero “human guinea pigs” – porcellini d’india umani – sottolineando lo stato di estremo disagio e sfruttamento in cui vivono entrambi i soggetti sperimentali.
Attratti da denaro e benefit, alcuni carcerati riportano di essersi sottoposti fino a più di cinquanta sperimentazioni e venticinque biopsie nell’arco di quaranta mesi (8).
«Tutti i prigionieri che prendono parte a un test ricevono denaro. Li paghiamo per prestarci i loro corpi per un po’ ma determiniamo prima se un test è pericoloso o no. I prigionieri devono dipendere dal nostro giudizio» (4).
A livello bioetico, la problematica di base è riscontrabile in due fattori concatenati: la mancanza di lavoro e la facilità del denaro.
Date queste premesse, ci si ritrovava già in una condizione di svantaggio qualora, entrando in carcere, si cercasse di racimolare soldi per il futuro.
A ciò si aggiungeva la mancanza di un vero consenso informato.
Risulta quasi contraddittorio ottenere un consenso “libero e informato” da parte di chi libero non è, proprio perché le decisioni prese non saranno mai sufficienti per poter garantire una libera scelta da vincoli o pressioni esterne.
Il caso più lampante è proprio quello di cessione di consenso in cambio di denaro, che limita già in definizione le premesse necessariamente richieste.
Interessanti sono sicuramente tutti gli studi che riguardano la possibilità di determinare una volontarietà delle persone incarcerate che non prevedano uno scambio di favori o denaro. Questo argomento richiede però un approfondimento a parte.
La storia di Holmesburg termina tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, quando la Food and Drug Administration nel 1966 intervenne accusando e sospendendo temporaneamente il Dottor Kligman per le irregolarità commesse nei documenti riportati e un numero di sperimentazioni talmente tanto elevato da divenire sospetto (9).
Kligman muore nel 2010, a 93 anni, senza essersi mai pentito.
(1) trad. «All I saw before me were acres of skin. It was like a farmer seeing a fertile field for the first time». M. A. Hornblum, Acres of Skin: Human Experiments at Holmesburg Prison, New York, Routledge, 2013, p. 37.
(2) Ivi, p. 32.
(3) Ivi, p. 37.
(4) trad. “The prisoner taking part in a test has is money. We pay him to lend us his body for some time. But we pre-determine whether a test is dangerous, and the prisoner has to depend on our judgment.” Ivi, p. 38.
(5) Ivi, p. 40.
(6) Ivi, p. 67.
(7) Ivi, p.107.
(8) Ivi, p. 9.
(9) Ivi, p. 58. All’interrogazione, però, su come mai la FDA non sia mai intervenuta direttamente in queste e altre sperimentazioni sui detenuti, un ufficiale della suddetta replicò: “La nostra responsabilità non è quella di supervisionare direttamente i ricercatori. La nostra responsabilità è quella di valutare i dati che ci arrivano. Non possiamo essere onnipotenti o onniscienti”. / «Our responsibility is not the direct supervision of the drug investigators. Our responsibility is to evaluate the data that come in to us. We can’t be omnipotent or omniscient». Ivi, p.100.
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