Il viaggio è uno dei miti fondanti dell’umanità. Il richiamo all’avventura per dare prova di sé esplorando luoghi ignoti rappresenta un rito di passaggio all’età adulta per gli eroi di diverse culture. Se guardiamo al viaggiatore per eccellenza del mondo greco-romano, che ha poi dato forma all’immaginario occidentale dell’eroe virile senza paura, incurante dei pericoli e senza legami, pensiamo di certo a Ulisse. Mentre lui viaggiava e viveva le sue avventure, Penelope aspettava, cresceva il figlio da sola e escogitava stratagemmi per rimanere fedele al marito, preso in tutt’altre avventure.
L’ambito del viaggio e dell’avventura è stato a lungo precluso alle donne – e lo è tutt’ora in alcune parti del globo – destinate a dedicarsi esclusivamente alle attività della sfera domestica e escluse dall’ambito pubblico. Al giorno d’oggi molte cose sono sicuramente cambiate, ma davvero i secoli in cui alle donne è stato detto che non potevano viaggiare non hanno effetti sulla nostra libertà di movimento odierna?
Donne in viaggio della giornalista, viaggiatrice e femminista francese Lucie Azema, pubblicato da Edizioni Tlon nel 2022, risponde alla perfezione a questa domanda: il fantasma di Penelope è arrivato sottilmente fino ai giorni nostri.
Di viaggiatrici ce ne sono sempre state, che fossero travestite da uomo per avere più libertà di movimento, femministe consapevoli che rivendicavano la possibilità per una donna di compiere le stesse imprese di un uomo o donne che, seppur contrarie al suffragio femminile, erano alla ricerca di una vita diversa che non fosse quella di moglie e madre. Più o meno consapevolmente ci sono sempre state donne che hanno creduto e ricercato attivamente un luogo che non fosse la casa, andando oltre i confini imposti loro dalla società patriarcale, alla ricerca di quella che l’autrice chiama una “libertà intransigente”. Per fare questo «hanno dovuto rompere non solo le catene che avevano attorno, ma anche quelle che avevano dentro. Così facendo, hanno provato non solo a essere libere di viaggiare, ma anche a essere libere per viaggiare» (1).
Azema parla di un vero e proprio processo di “invisibilizzazione del viaggio al femminile”.
La società patriarcale ha operato in modo incessante per secoli per far sì che alle donne fosse impedito l’accesso al viaggio (negando loro di poter studiare, lavorare, gestire i propri soldi e rimettendo la loro libertà di movimento alla potestà di padri e mariti) e allo stesso tempo ha delegittimato le storie di quelle donne che hanno compiuto la doppia trasgressione verso i divieti esterni e i dettami introiettati di un mondo che voleva dissuaderle dal partire e le giudicava in modo estremamente negativo qualora lo avessero fatto. Ciò ha funzionato a tal punto che le antologie di letteratura di evasione ignorano sistematicamente i testi di queste donne.
Se un avventuriero è un uomo che vive attivamente delle avventure nel mondo, un’avventuriera è una donna che vive delle avventure amorose, una donna di pessima fama, una cortigiana.
Gli uni sono sempre stati spinti a viaggiare per dare prova di sé e della loro virilità, le altre a vedersi come fragili e bisognose, a dipendere dagli altri piuttosto che incoraggiate a esplorare. Le donne che partivano molto spesso si sentivano costrette a minimizzare le loro imprese per simulare quantomeno un’adesione al modello patriarcale, nel tentativo di proteggersi e dare prova di rispettabilità. «La paura dell’esterno – trasmessa alle ragazze sin dall’infanzia – ha in realtà una funzione sociale volta a sostenere il sistema patriarcale (…). È propria del patriarcato la pratica di plasmare le preferenze e i comportamenti delle donne-e quindi, a monte, le loro paure e le loro reticenze» (2).
Questa disparità nell’approccio al viaggio è per Azema un tema ancora poco esplorato dagli studi femministi, mentre invece recuperare i testi e le storie di vita di queste viaggiatrici ci aiuterebbe a capire il nostro rapporto odierno con il viaggio. Non è certo come un tempo, ma le donne oggi sono davvero libere di viaggiare?
«Se, in Occidente, l’esclusione delle donne dall’avventura è scomparsa sul piano legale, essa persiste sotto forma di premura: viaggiare per una donna sarebbe più pericoloso che per un uomo. (…) La gabbia attorno alle aspiranti viaggiatrici è quasi sempre innalzata in nome della loro sicurezza e protezione: essa non si materializza in un lucchetto chiuso a chiave su una porta, ma in un appello alla prudenza a oltranza, uno scoraggiamento sistematico, un’ossessione per il “coraggio” delle donne che viaggiano sole, come se fossero degli strani animaletti» (3).
Nel viaggio la donna è tradizionalmente oggetto, bottino o paesaggio.
Il luogo della donna è la casa, per questo, affinché possa viaggiare, è necessario che esca sia fisicamente che moralmente dai ruoli assegnati. Il libro di Azema è un ottimo strumento in più per coltivare la consapevolezza di queste dinamiche e scoprire le storie di molte donne che hanno affrontato questa sfida prima di noi. Il viaggio non è un ambito come un altro per mettersi alla prova nella visione di Lucie Azema. Si tratta di un dominio privilegiato in cui sperimentarsi e acquisire una vera libertà.
«Le donne sono storicamente esseri prigionieri, ed è per questo che il viaggio è uno dei modi più simbolici e potenti per affrancarsi dalla loro condizione: viaggiar per una donna è un atto fondatore, equivale a dire “vado dove voglio, appartengo solo a me stessa» (4).
Lucie Azema, Donne in viaggio, Edizioni Tlon, Roma, 2022.
Grazie a Edizioni Tlon!
(1) Lucie Azema, Donne in viaggio, Edizioni Tlon, Roma, 2022, p. 23.
(2) Ivi. pp. 155-156.
(3) Ivi. p.154.
(4) Ivi. p.151.
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