Figura centrale del comunismo tedesco, nonostante fosse nata nell’attuale Polonia allora parte dell’Impero Russo, Rosa Luxemburg resta ancora oggi un esempio da seguire in risposta all’escalation del conflitto russo-ucraino.
Nell’alternativa tra socialismo e barbarie, punto nodale della cosiddetta Junius-Broschüre, pubblicata clandestinamente nel 1916, troviamo una formula capace di riassumere la situazione geopolitica in cui ci troviamo oggi. Il titolo originale La crisi della socialdemocrazia suggerisce già il suo allontanamento dal Partito Social-democratico tedesco, che aveva votato a favore della partecipazione alla Grande Guerra: il testo si pone come una requisitoria implacabile alla guerra imperialista, come un manifesto dell’antimilitarismo che pone l’accento sulla necessità della pace in quanto unica condizione per lo scoppio della rivoluzione socialista.
Le ragioni presentate dal Partito sono quindi smentite in nome della lotta che il proletariato di ogni paese deve portare avanti contro lo sviluppo imperialista del capitalismo e delle sue strategie di azione.
La guerra non è altro che uno strumento mortale per la lotta di classe nell’interesse egoistico degli stati nazionali: è in quest’ottica che la Prima guerra mondiale si configura come conseguenza immediata della competizione per la supremazia e il monopolio sulle piccole nazioni e, votando a favore di questa, il Partito Social-democratico si è reso responsabile del rafforzamento delle classi dirigenti a discapito del proletariato europeo.
Anche se lo sviluppo del capitalismo ha già raggiunto uno stadio di maturazione avanzata, le dinamiche nascoste sotto le strategie belliche e i rapporti di sfruttamento e di dominazione tra le potenze imperialiste restano comunque delle costanti nel susseguirsi delle guerre in territorio europeo. A tal proposito, ogni guerra può essere definita come un prodotto della classe borghese per trarre beneficio dallo sfruttamento e la distruzione della classe operaia. Questa convinzione alla base dell’attacco di Luxemburg alla decisione del Partito Social-democratico coincide infatti con la posizione pacifista che il movimento socialista dovrebbe naturalmente assumere di fronte ad ogni conflitto. Al contrario, di fronte allo scoppio della Grande Guerra il Partito ricorre a un utilizzo improprio del diritto delle nazioni all’autodeterminazione per giustificare la corsa alle armi come difesa della patria rispetto all’invasione nemica.
È così che questo cade in una contraddizione evidente: se è vero che «il socialismo concede ad ogni popolo il diritto all’indipendenza e alla libertà, all’autonoma disponibilità del proprio destino […], innalzare gli attuali stati capitalistici a espressione di questo diritto di autodeterminazione significa prendersi gioco del socialismo (1)».
I socialisti non riescono a comprendere il quadro storico del loro tempo, ma chiudono gli occhi di fronte all’evidenza che durante la fase di maturazione del capitalismo, che ha dato origine alla politica imperialista, al di là delle frontiere nazionali non potrebbe mai esserci alcun tipo di guerra di difesa e alcuna possibilità per gli Stati coloniali di disporre liberamente di sé stessi, almeno finché il mondo resta separato tra signori e schiavi. La cosiddetta “guerra di difesa nazionale” determina infatti l’insorgenza di un circolo vizioso alimentato dal desiderio di conquista ed espansione che trascina, in una vera e propria catena d’implicazione, sempre più paesi nel conflitto in virtù del «sistema di alleanza tra stati militari, che da decenni domina le relazioni politiche [e] induce ognuna delle parti belligeranti a cercarsi, anche per pura precauzione difensiva, degli alleati (2)».
Per capire quale tipo di strategia adottare, è necessario, secondo Luxemburg, comprendere la specificità di questo conflitto sullo sfondo della fase di espansione del capitalismo: non si tratta più di una guerra per stabilire le condizioni politiche di un capitalismo sul nascere, ma al contrario è «una lotta di concorrenza interna, di un capitalismo già pervenuto a piena fioritura; per il dominio del mondo, per lo sfruttamento delle ultime zone della terra ancora non capitalistiche (3)».
La voce di Rosa Luxemburg resta ancora oggi un punto di riferimento importante per la lettura delle dinamiche di potere dietro alla decisione ingiustificata di uno stato a invaderne un altro.
Sembra piuttosto che il mondo si trovi di fronte nuovamente agli stessi meccanismi di ripartizione dei territori ancora non capitalizzati a pieno, rispetto ai quali l’Ucraina è il vero bottino in quanto paese del terzo mondo (4). Le ragioni della guerra risalgono allora in maniera più generalizzata alla battaglia imposta dalla crisi del capitalismo aggravatosi con la pandemia: secondo questa prospettiva quindi l’Ucraina «dovrebbe diventare una base industriale per il capitale finanziario occidentale, traendo profitto dalle risorse di una Russia smantellata in molteplici piccoli Stati e pagando delle colossali somme di riparazione (5)».
Il parallelismo con la Grande Guerra è chiaro dal punto di vista degli obiettivi imperialisti dei paesi occidentali, che sperano di trovare una soluzione alla situazione di crisi generale: la creazione di una potenza militare omogenea in Europa. La guerra in Ucraina rappresenta quindi per i paesi occidentali un’opportunità di aumentare il proprio potere, attraverso l’utilizzo di nuove risorse naturali e fonti di manodopera. Luxemburg ci ricorda che in questa crisi l’obiettivo deve essere quello di svelare la politica di dominio e far riemergere il principio socialista della pace.
È necessario fare appello alle sue argomentazioni sul separatismo, l’annessione e le minoranze nazionali per condannare inequivocabilmente «l’accaparramento unilaterale di territori stranieri da parte di una nazione esterna attraverso la forza politica o militare (6)» e per proteggere le minoranze, senza però fare appello al diritto dei popoli all’autodeterminazione. Così, non possiamo né giustificare l’invasione né la risposta occidentale. La politica di armamento massivo imposta dai vertici europei e statunitensi, infatti, lungi dall’esemplificare uno spirito di solidarietà tra nazioni, va nella direzione dell’integrazione dell’Ucraina nel capitalismo occidentale attraverso la via delle politiche economiche liberali. L’Ucraina quindi si troverebbe soggetta all’invasione di due forze imperialiste, di cui anche il popolo russo risulta essere nello stesso tempo una vittima.
È nel presentare la guerra come punto di partenza di ogni questione politica che i governi e le classi dirigenti possono affermare infine il bisogno di aumentare costantemente la loro potenza militare e di giustificare le loro politiche di controllo.
(1) Rosa Luxemburg, La crisi della socialdemocrazia, scritto nell’aprile 1915, pubblicato a Zurigo nel febbraio 1916 e distribuito illegalmente in Germania.
(2) Ibidem.
(3) Ibidem.
(4) Secondo la posizione del PCF (Parti communiste de France) la guerra in corso è un’anticipazione di un possibile terzo conflitto mondiale tra le due superpotenze facenti parte del Primo Mondo, ovvero Stati Uniti e Cina, che a loro volta trascinano tutte le potenze secondarie del Secondo Mondo. Alla luce di questa rilettura dell’ormai desueta classificazione geopolitica, il vero bottino è rappresentato dai cosiddetti paesi del Terzo Mondo, di cui anche l’Ucraina fa quindi parte in quanto territorio di guerra non appieno avviluppato nel mondo capitalista.
(5) Parti communiste de France (PCF), Un an de conflit armé en Ukraine: faire face à la guerre de repartage du monde, à l’exemple de Rosa Luxembourg, pubblicato a febbraio 2023, traduzione mia.
(6) Holger Politt, Rosa Luxembourg s’opposait catégoriquement aux modifications unilatérales forcées de frontières, in transform! Europe, pubblicato il 27 febbraio 2023, traduzione mia.
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