Ipazia d’Alessandria: la prima donna libera

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[…] Partecipava alle assemblee
di uomini dotti, insegnava,
come Socrate, anche nelle
strade a chi volesse udirla,
cercando in questo modo di
opporsi alla prepotenza della
propaganda cristiana […] (1)

Ipazia d’Alessandria, che visse tra il 350/370 e il 415 d.C., è stata una filosofa, matematica, astronoma, oratrice, rappresentante della cultura neoplatonica. Non è stata solo una delle prime filosofe di cui si ha memoria, ma è stata anche una delle prime donne libere nella storia, che ha combattuto per la sua autonomia di pensiero fino al martirio. Nacque ad Alessandria, qualche decennio prima che la città fosse conquistata dall’Impero Romano d’Oriente: non si conosce con precisione l’anno esatto di nascita, molti studiosi tendono a indicare il 370 d.C. come periodo più probabile. 

Abbiamo scarse notizie della sua vita, così come non ci sono pervenuti nessuno dei suoi scritti se non tre titoli di opere matematiche. Fu figlia del matematico e filosofo della scuola di Alessandria Teone, grazie a lui iniziò a dedicarsi alle ricerche scientifiche e a coltivare lo studio della filosofia neoplatonica diventando una dei suoi massimi esponenti e raggiungendo un sapere molto più ampio di quello paterno (2).

Acquisì ben presto grande notorietà tra gli intellettuali dell’epoca, che non era limitata solo alla sua città, bensì comprendeva una realtà molto più estesa a livello territoriale, tanto che giungevano studiosi da ogni zona dell’area greco-romana per ascoltare le sue lezioni: «Aveva ricevuto in eredità l’insegnamento della scuola platonica derivante da Plotino ed esponeva a un libero uditorio tutte le discipline filosofiche […]. Da ogni parte accorrevano a sentirla quelli che volevano darsi alla filosofia» (3). 


Era dotata anche di un’acuta intelligenza politica e di profondo senso civico, tanto che molti gruppi di cittadini chiedevano a lei consigli per disputare il potere politico nella polis, in quanto considerata uno dei membri più rispettabili dell’aristocrazia cittadina (4).


La totale mancanza dei suoi scritti rende problematica non solo la ricostruzione dei suoi studi e dei progressi compiuti nell’ambito astronomico e matematico, ma risulta difficoltoso anche comprendere il suo stesso pensiero filosofico. Ipazia ha dedicato gran parte della sua filosofia all’analisi di autori come Platone, Aristotele e Plotino, ma come riporta il filosofo Giamblico di Calcide (5) ella non ha elaborato un suo sistema di pensiero che possa essere considerato definito e compiuto come gli altri maestri greci appena citati. Infatti, Ipazia non considerava la filosofia come un sapere immutabile, bensì come uno stile di vita, che porta il filosofo a una costante ricerca della verità, sebbene essa non potrà mai essere pienamente raggiunta (6).

Ipazia iniziò a insegnare nelle piazze e nei luoghi privati nell’ultimo decennio del IV secolo. Fu una decisione particolarmente significativa, poiché in questa epoca l’imperatore Teodosio sancì il divieto di culto pagano e il vescovo Teofilo ordinò di distruggere tutti i templi ad eccezione di quello dedicato a Dioniso, trasformandolo in un secondo momento in una cattedrale cristiana.


La filosofa, con grande coraggio e spirito di ribellione, cercò attraverso la diffusione della cultura pagana di difendere quel patrimonio culturale severamente minacciato dal fanatismo cristiano.


A differenza della nascita di Ipazia abbiamo molte informazioni circa la sua morte, avvenuta in questo contesto culturale fortemente intollerante e fazioso. Nel 412 con la morte del vescovo Teofilo assunse il ruolo episcopale Cirillo, uomo di grandi ambizioni politiche che non esitò ad appropriarsi di poteri che non gli spettavano, limitando di conseguenza l’autorità del prefetto di Alessandria Oreste (7). Ne scoppiò un conflitto politico e Ipazia fu accusata di esserne stata la causa: secondo quello che riporta Socrate Scolastico (8) la filosofa «S’incontrava alquanto di frequente con Oreste, l’invidia mise in giro una calunnia su di lei presso il popolo della chiesa, e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il vescovo» (9). 


Questa accusa fu condotta dagli esponenti del cristianesimo, con l’obiettivo di screditare la sua grande fama presso il popolo greco-romano, poiché essi poco tolleravano il fatto che una donna avesse tale potere e importanza all’interno della polis e che fosse anche la massima rappresentante della cultura pagana (10).


Il vescovo Giovanni di Nikiu la denunciò di stregoneria e di corrompere e ingannare l’animo delle persone attraverso incitazioni al satanismo (11). Si maturò così un forte clima di odio nei confronti di Ipazia, alimentato dall’invidia del vescovo Cirillo e dalla sua volontà di accrescere la sua autorità ad Alessandria, che sfociò in quello che viene ricordato come «il più empio di tutti gli assassini» (12).

Socrate Scolastico descrisse così l’accaduto: «Un gruppo di cristiani dall’animo surriscaldato, guidati da un predicatore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli» (13). 


Gli esponenti del cristianesimo definirono questa esecuzione come legittima e l’assassinio di Ipazia rimase così impunito.


La filosofa d’Alessandria venne considerata dalla storiografia come la prima martire della libertà di pensiero: sia perché riuscì in quanto donna a farsi valere in una società in cui il sapere filosofico, scientifico e politico era esclusivamente di dominio maschile, sia perché dedicò la sua intera vita alla ricerca della verità senza essere corrotta dal fanatismo delle autorità cristiane.





(1) Augusto Agabiti, Ipazia. La prima martire della libertà di pensiero, La Fiaccola, Roma, 1998, p. 5.

(2) Le garzantine, Filosofia, Garzanti Editore, Milano, 2008, p. 551.

(3) Silvia Ronchey, Ipazia. La vera storia, BUR Saggi, Milano, 2011, p. 12.

(4) Cfr. ivi, p. 20.
(5) Giamblico di Calcide (250-330 d.C.) è stato un filosofo siro vissuto in epoca romana allievo di Porfirio. Aprì una scuola neoplatonica ad Apamea, in una provincia romana di Siria. 

(6) Jay Bregman, Synesius of Cyrene. Philosopher Bishop, 1982, p. 28.

(7) Cfr. Silvia Ronchey, Ipazia, cit. pp. 24-29.

(8) Socrate Scolastico è stato un teologo e storico greco antico vissuto tra il 380 al 440 d.C.

(9) Socrate Scolastico, Storia Ecclesiastica VII, p. 15.

(10) Cfr. Silvia Ronchey, Ipazia, cit. p. 27.

(11) Cfr. ivi, p. 29.

(12) Suida, in Silvia Ronchey, Ipazia, cit. p. 27.

(13) Socrate Scolastico cit., VII,  p. 15.