
Tra le saghe distopiche in circolazione una particolarmente degna di nota è senz’altro quella degli Hunger Games, la quale vede la luce nel 2008 dalla penna di Suzanne Collins, costituendosi in primis come una trilogia (da cui è nata una fortunatissima serie di film), subito seguita da due prequel: La ballata dell’usignolo e del serpente (2020) e, in uscita giusto quest’anno, L’alba sulla mietitura, edito da Mondadori.
Ci troviamo in una sorta di futuro post-apocalittico a Panem, uno stato situato indicativamente dove collochiamo gli Stati Uniti nel nostro tempo, e diviso in 13 distretti (1), ciascuno dei quali caratterizzato da una sua specialità produttiva (tecnologia, ittica, risorse minerarie, nucleare, etc). A capo di questi territori risiede Capitol City, che, come suggerisce il nome stesso, è la capitale e vi risiedono i più ricchi. All’epoca della narrazione Panem è governata dal presidente Coriolanus Snow, che ha istituito un regime totalitario e fondato sul terrore e la violenza.
Cosa sono gli Hunger Games?
A seguito di una serie rivolte dei distretti per l’indipendenza sorge questo cruento reality show volto di fatto a punire gli abitanti, un monito del passato e delle manifestazioni sedate.
Ogni anno, attraverso la mietitura, vengono estratti per ogni distretto due tributi, un maschio e una femmina, i quali verranno buttati in un’arena in cui solo uno o una sopravviverà, “vincendo” il ruolo di il mentore per i successivi giochi.
Un intrattenimento crudele volto a sottolineare la potenza della capitale rispetto ai singoli distretti e intrattenere il pubblico per mezzo della stessa violenza.
All’interno dell’arena i giocatori si ritrovano in una situazione che molto richiama, almeno in apparenza, quello che Thomas Hobbes definisce stato di natura:
«Nello stato di natura gli uomini sono uguali tra di loro. Benché infatti vi siano delle differenze quanto alla forza fisica, queste non sono tali da impedire che i più deboli riescano a uccidere i più forti attraverso delle macchinazioni o alleandosi fra loro. L’uguaglianza di fronte alla morte dà luogo a una contesa permanente, di cui le principali cause sono la rivalità, la diffidenza e l’orgoglio» (2).
I tributi si trovano catapultati questo stato di natura all’interno dei giochi: nonostante l’appartenenza a un determinato distretto abbia una sua influenza, dato che i tributi dei distretti ricchi vengono preparati per anni, a tutti verrà fornita un’arma e la possibilità di allenarsi all’interno dei campi di addestramento.
La grande affinità rispetto al pensiero di Hobbes è la possibilità di formare alleanze, ma sussiste la sostanziale differenza di ricevere aiuti esterni. Gli spettatori, infatti, possono inviare doni ai tributi, grazie al carisma e alla strategia del singolo (e del mentore, dall’esterno).
A questo punto l’uguaglianza di fronte alla morte nominata da Hobbes decade e guadagna un netto vantaggio chi è il più votato fuori, favorito dalla possibilità di ricevere medicamenti o beni di primissima necessità. A incidere sulla sopravvivenza, di nuovo, sono le dinamiche di potere: potrà non sopravvivere chi è entrato nell’arena come favorito per provenienza e ricchezza, ma è chi detiene il potere – in base alla sua provenienza e ricchezza, cioè gli abitanti di Capitol – a contribuire a deciderlo. Lo stato di natura apparente, in realtà, è in questa cornice un altro riflesso della disuguaglianza.
Hobbes segue la corrente filosofica del giusnaturalismo, ovvero quel pensiero secondo cui la condotta si basa su una legge naturale, intrinseca e immutabile nell’uomo, e che si esplicita nella guerra di tutti contro tutti, dove nulla appare ingiusto, poiché non vi è spazio per le nozioni di giustizia o ingiustizia costruite socialmente: ogni gesto è difatti lecito se come fine ultimo si predispone la propria conservazione.
«L’immagine dello stato di natura hobbesiano è costruita infatti attorno alla soppressione di ogni vincolo giuridico o morale in grado di limitare la libertà di individui egualmente sovrani, alla dissoluzione di ogni cornice normativa condivisa e di ogni mediazione discorsiva o istituzionale capace di orientare verso una soluzione pacifica l’inevitabile conflitto tra i desideri o i poteri» (3).
Gli Hunger Games presuppongono sì un ritorno alla lotta di tutt* contro tutt*, ma la “cornice normativa condivisa” e la “mediazione istituzionale” esistono eccome: sono nelle mani di Capitol, del luogo che stabilisce quanto e come gli individui non siano “egualmente sovrani”.
Hobbes attribuisce a qualcosa un potere ben più grande della mera forza fisica: alla paura della morte.
Questa porterà gli uomini a raggiungere un accordo, un’alleanza, per merito della ragione (dal filosofo definita recta ratio) e istituendo così un vero e proprio patto. Patto che vedrà frutto nella concessione di tutti i poteri nei confronti di un unico individuo: una persona che assimili il potere artificiale dello Stato, e che Hobbes definisce con il nome di Leviatano, prendendo spunto dall’immane mostro biblico, manifestazione ed emanazione della legge di Dio.
Così si passa dallo stato di natura allo stato sociale.
Non c’è tuttavia possibilità di patto all’interno dei distretti di Panem, giacché il potere si trova concentrato sì in un unico individuo, ma per mezzo della dittatura e della soppressione, non di sicuro per volere e accettazione della collettività. Forse potremmo identificare il processo di concessione volontaria del potere nell’identificazione della protagonista come volto del desiderio popolare di libertà e uguaglianza, ma data la posizione critica di Hobbes verso le insurrezioni e la guerra civile – un nuovo stato di natura – potrebbe essere in disaccordo anche su questo.
Homo homini lupus, letteralmente “l’uomo è un lupo per l’uomo”: occorre sempre temere chi ci sta di fronte, poiché nello stato di natura non c’è lunga vita per chi non sa come allearsi per sopravvivere. Non c’è respiro per una cooperazione sincera e fondata sull’uguaglianza riconosciuta nell’altro, essa si basa piuttosto nel perpetuo e cieco desiderio di sfuggire alla morte.
Come impedire la carneficina?
Come impedire, a differenza degli Hunger Games, che la paura della morte ci muova all’eliminazione reciproca? Come si arriva alla cooperazione?
Se Panem sopravvive al prezzo di lotte intestine, tradimenti e morti, Hobbes sembra valutare positivamente il giudizio umano e il suo intrinseco desiderio di stabilità, di sicurezza. Già Aristotele sottolineava la necessità dell’essere umano di stabilire legami col prossimo.
Anche in questo caso la mancata eliminazione dell’altro è riconducibile a una visione prettamente egoistica: finché c’è benessere e cooperazione tra il popolo non vi è necessità di morte, finché la mia vita non è messa seriamente in pericolo dall’esistenza altrui posso abbandonare le armi, in virtù della ratio che dovrebbe muovere gli uomini e permettere la nascita dello stato sociale.
La paura della morte è così radicata da far riporre le armi e abbracciare piuttosto la pace, sotto le cure del Leviatano: una persona o un’assemblea ben più benevola e giusta rispetto ai presidenti che Panem ha visto susseguirsi.
Utopia? Sembra distaccata dalla realtà non tanto la possibilità hobbesiana di riconoscere in un singolo o in un gruppo la capacità di agire realmente per il bene collettivo, ma il privarsi del diritto di ribellione. E questo diritto gli Hunger Games lo raccontano con forza.
Possa allora la fortuna essere sempre a favore del popolo, purché unito.
(1) Ne vengono presentati 12, ma andando avanti con la storia si scopre l’esistenza del misterioso 13esimo distretto, raso al suolo durante le rivolte che antecedono gli Hunger Games.
(2) U. Eco, R. Fedriga, La filosofia e le sue storie. L’età moderna, Laterza, Bari-Roma, 2017, pp. 319-320.
(3) F. Toto, Concezione razionale e concezioni immaginarie della giustizia in Thomas Hobbes, Isonomia – Storica Rivista online di Filosofia Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, 2015, p. 5..
Bibliografia:
U. Eco, R. Fedriga, La filosofia e le sue storie. L’età moderna, Laterza, Bari-Roma, 2017.
S. Collins, Hunger Games, Oscar Mondadori, Milano, 2013.
S. Collins, Hunger Games. La ragazza di fuoco, Oscar Mondadori, Milano, 2013.
S. Collins, Hunger Games. Il canto della rivolta, Oscar Mondadori, Milano, 2013.
S. Collins, La ballata dell’usignolo e del serpente, Mondadori, Milano, 2020.
F. Toto, Concezione razionale e concezioni immaginarie della giustizia in Thomas Hobbes, Isonomia – Storica Rivista online di Filosofia Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, 2015.
La filosofia della forza di Simone Weil
18 Maggio 2025Come discutere con chi mangia carne
15 Maggio 2025Il potere della rappresentazione
12 Maggio 2025
-
Tragedia e filosofia. Una storia parallela
21 Agosto 2020 -
Black Marxism
13 Febbraio 2025 -
Della gentilezza e del coraggio
18 Settembre 2020
Filosofemme è un progetto che nasce dal desiderio di condividere la passione per la filosofia tramite la figura delle filosofe.

Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Privacy PolicyCookie Policy