Vincere barando

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Il conflitto è una realtà che fa parte della quotidianità di ognuno di noi. Sia che si tratti di un piccolo diverbio con un collega o un amico, sia che ci si sposti nell’agone politico o della società, l’incontro di posizioni e punti di vista differenti genera spesso veri e propri scontri verbali, durante i quali l’obiettivo di ognuna delle parti è far prevalere il proprio punto di vista su quello altrui.

Emergere vincitori da questi dibattiti ci comunica che siamo stati più abili dell’altro, o che noi avevamo ragione e lui torto, e questo conferma l’adeguatezza della nostra persona e della nostra visione del mondo. Al contrario, uscirne sconfitti infligge un colpo più o meno duro alla nostra autostima e ci lascia una sgradevole sensazione di inadeguatezza.

Insomma, vogliamo vincere. Non soltanto perché quando accade ci sentiamo bene con noi stessi, ma anche perché pensiamo che convincere gli altri della nostra visione sia un passo necessario per portare avanti i nostri progetti. Questo meccanismo è esplicitamente in atto durante una campagna elettorale: i vari protagonisti del mondo politico cercano di convincere l’elettorato della bontà delle loro posizioni sperando di venire eletti e poter così plasmare la società in conseguenza di esse.

L’aspetto interessante è che, nonostante ci piaccia immaginarci come esseri perfettamente razionali ed intelligenti, convincere qualcuno delle proprie posizioni è molto diverso che dimostrare la validità di queste. O, per meglio dire, dimostrare che le proprie idee sono valide è solo uno dei molti modi che abbiamo a disposizione per indurre qualcuno a sposare la nostra visione del mondo, e spesso a questa vengono preferite altre vie più facilmente percorribili.

Chi studia teoria dell’argomentazione conosce molto bene una di queste vie alternative che fa capo ad una vecchia arma della retorica, l’argumentum ad hominem, che è molto presente nella quotidianità di ognuno di noi e nei discorsi che facciamo e sentiamo fare da altri, agendo quasi sempre indisturbato a nostra insaputa. Questa tattica è talmente pervasiva del nostro modo di comunicare, che è quasi imbarazzante rendersi conto di quanto sia facile cadere continuamente nella trappola del suo utilizzo e lasciarsi convincere da chi la sa usare sapientemente.

Ma in che cosa consiste l’argumentum ad hominem? Si tratta di una strategia retorica molto semplice che prevede di replicare ad un’argomentazione che si vuole rigettare contestando non l’argomentazione in sé, ma l’interlocutore che l’ha formulata. Un esempio un po’ comico che però rispecchia bene le caratteristiche dell’argumentum è il seguente:

    1. A è vegetariano
    2. Anche Hitler era vegetariano (e quindi A è come Hitler)
  1. Quindi: essere vegetariani è ingiusto

È evidente che un’argomentazione come questa non rispetta le regole della logica e dei sillogismi ed è quindi quella che in gergo tecnico è chiamata “fallacia logica”. Se paragoniamo la logica ad un gioco di carte, chi fa uso di fallacie è assimilabile ad un baro, che vince la partita sfoderando il proverbiale asso nascosto nella manica. Proprio come nel caso del baro, è evidente che chi usa argomenti come quello ad hominem si procura un significativo vantaggio (seppur in modo scorretto secondo le regole della buona argomentazione) e, di conseguenza, spesso vince il dibattito.

Se si tiene a mente quanto detto fino ad ora, diventa piuttosto semplice notare quanto spesso usiamo o assistiamo all’uso dell’argomento ad hominem. Le ragioni che ci spingono a ricorrere frequentemente a questa strategia sono principalmente due: è facile e funziona.

È facile, perché ci consente di prevalere sugli altri senza dover faticare per argomentare in modo rigoroso contro le loro posizioni, cosa che spesso non saremmo in grado di fare. Se l’avversario è più competente di noi nell’argomento della contesa o più abile ad usare le regole della logica e dell’argomentazione, ad esempio, difficilmente potremmo emergere vincitori combattendo ad armi pari.

Usare questa strategia ci libera dalla fatica di dover dimostrare che gli altri hanno torto, o che le loro idee sono meno valide delle nostre, facendo leva sulla concezione evidentemente errata che certi argomenti sono veri o falsi a seconda di chi li enuncia e che, nel caso specifico, le idee sostenute dal nostro avversario non possono essere vere non perché sbagliate di per sé, ma perché questi non soddisfa certi criteri che noi abbiamo deciso essere necessari. A questo proposito, è bene precisare una cosa: se da un lato si può discutere su quanto sia appropriato che una certa persona si esprima su determinate questioni (invocando, ad esempio, un criterio di coerenza tra quanto dice e quanto fa), dall’altro è un errore logico ritenere che certe affermazioni siano vere o false in relazione alle caratteristiche di chi le enuncia. Ritornando all’esempio, se il vegetarianismo sia una posizione valida e difendibile non può essere deciso in base al fatto che anche una persona come Hitler era vegetariana, ma deve essere valutato nel merito delle posizioni teoriche che stanno alla base di questo stile di vita. Ciò è facilmente comprensibile se si considera che anche Ghandi era vegetariano e che, in base al meccanismo dell’argomentum ad hominem, il risultato del sillogismo preso in esame può essere ribaltato completamente sostituendo un personaggio storico all’altro. Comprendere questo è fondamentale per capire come mai siamo di fronte ad una fallacia logica.

In sostanza, dunque, l’argomentum ci consente di invalidare le posizioni di chi non la pensa come noi lanciando una qualsiasi accusa nei suoi confronti, spesso e volentieri coinvolgendo aspetti della sua vita o della sua persona che non hanno davvero nulla a che vedere con l’oggetto del dibattito. Inoltre, a meno che non ci troviamo in un tribunale, non abbiamo alcun obbligo di provare la veridicità delle nostre accuse, e perciò queste possono essere anche completamente false, inventate sul momento od orchestrate ad hoc per l’occasione. Ci basta lanciarle e il gioco è fatto.

Funziona molto spesso innanzitutto perché distoglie l’attenzione dall’argomento della contesa e la sposta sul nostro avversario, che si trova improvvisamente seduto al banco degli imputati, costretto a difendersi dall’accusa che noi abbiamo lanciato. Il dibattito dunque cambia repentinamente argomento e qualsiasi idea espressa dall’altro viene rapidamente dimenticata o ritenuta non valida a causa del processo di delegittimazione a cui è stato sottoposto. In secondo luogo, perché crea un’asimmetria tra i partecipanti del dibattito che, abbassando la vittima dell’accusa ad un piano di minorità, innalza chi ha usato l’argumentum su un piano di superiorità, ponendolo in una posizione che lo fa apparire non solo vincente in quella specifica contesa, ma spesso anche migliore dell’altro sotto altri aspetti, a volte anche da un punto di vista morale.

Questa asimmetria introduce un elemento che fino ad ora non abbiamo considerato, ma che può essere molto importante: la presenza di eventuali spettatori o testimoni della contesa. Nel nuovo assetto, infatti, qualunque cosa l’accusatore dirà sarà più facilmente percepita dagli esterni come corretta, perché egli occupa ora una posizione che lo fa apparire più autorevole dell’avversario, o più in buona fede di lui. Chi osserva il dibattito potrebbe perciò sentirsi più incline a sposare la posizione dell’accusatore e ad allontanarsi da chi vi si oppone, dato che questa persona appare ora come discutibile o compromessa (in ambito pubblico, è questo l’obiettivo che si prefigge chi sfrutta quella che è stata chiamata “macchina del fango”, una sorta di versione collettiva ed organizzata dell’argomentum ad hominem).

Questa strategia retorica è davvero dotata di una diabolica efficacia, ma fortunatamente non è infallibile. Infatti, proprio come il trucco di un prestigiatore o l’asso nella manica del baro, nel momento in cui si impara a riconoscerlo l’argomentum perde il suo potere.c-m-coolidge-82531_1280 È perciò indubbiamente utile esercitarsi a rintracciare questa fallacia nel dibattito pubblico e nelle discussioni private, perché conoscerne il meccanismo ed essere pronti a notare immediatamente quando entra in azione è il solo modo sicuro per non esserne sopraffatti. Inoltre, una volta posto sotto gli occhi di chi è allenato a riconoscerlo, l’uso dell’argomentum può tramutarsi in un’arma a doppio taglio.

Quando notiamo che qualcuno si sta avvalendo di questa strategia per prevalere in una discussione, dovremmo domandarci: se costui ha bisogno di barare per vincere, non sarà forse che l’avversario ha in mano delle ottime carte?