L’importanza del dionisiaco

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Ricordo bene i primi tre anni allUniversità di Bologna: avevo ventanni, unenorme criniera di capelli biondi e rosa cotonati, piercing, tatuaggi, una band metal e mi godevo ogni singolo istante di libertà e follia che la vita mi donava, ogni risata, ogni canzone ballata fino alle due del mattino, ogni bacio, ogni concerto, ogni viaggio in treno per raggiungere le band più disparate, ogni poesia di Baudelaire.

Oltre alla mia band avevo unamica, e con lei formavamo una coppia micidiale: io con i capelli biondi e rosa cotonati, lei fuxia e verdi e una valanga di lacca. Io studentessa di filosofia, lei di biologia, entrambe dannatamente innamorate del rock and roll, ed entrambe con un libretto universitario perfetto. Calze a rete, minigonne, vinili anni ‘80 e un look trasgressivo e curatissimo: ci divertivamo tutti i weekend e il lunedì sera, e al contempo portavamo a casa una bella sfilza di trenta e lode. Insomma, potevamo passare a parlare per ore dellincanto insito nei poeti decadenti, ad andare a un museo di pittori preraffaelliti e al contempo ballare fino al mattino avviluppate dalle sinuose note del goth e dello sleaze rock.

Bologna è stata una culla meravigliosa, sembrava aver fatto sua dont judge a book by its cover cantata da Frank-N-Furter in The Rocky Horror Picture Show, potevi esprimere il tuo essere estetico come più ti compiaceva, limportante era ciò che dicevi durante lesame, il modo di esprimerti, lintelligenza e lacutezza dei pensieri, non il numero di tatuaggi (ricordo ancora con immenso affetto quando un professore di Filosofia della Scienza riconobbe con gioia un tatuaggio realistico di Tom Keifer dei Cinderella sul braccio di una studentessa).

Ai tempi, cause barriere architettoniche, vivevo in uno studentato, e vi era un ragazzo molto ligio, cui non stavo simpatica per niente. Un giorno se ne esplose in una manfrina su come non comprendesse come io (a differenza sua) potessi ottenere voti così alti pur conducendo una vita ribelle, dedita al piacere dei sensi, della musica, di tutto ciò che per lui era totalmente irrazionale e incomprensibile, fuori dalle righe, così superficiale da essere quasi al limite del peccaminoso.

«Riccardo, hai presente il dionisiaco?»

«Nietzsche?»

«Esatto, lui. Ti ricordi quanto Nietzsche esaltasse il dionisiaco?»

«Beh, lapollineo sono le luci statiche e rassicuranti delle biblioteche, il dionisiaco quelle stroboscopiche delle discoteche piene di orge e perdizione che frequenti tu».

Io spero davvero che questo sia il pensiero di una singola persona, e solo una, che ho avuto la fortuna (?) di incontrare nel mio percorso universitario, ma prima di continuare vorrei precisare una cosa: amo le biblioteche, amo il silenzio e il profumo dei libri, amo perfino il pulviscolo che si intravede dalla luce soffusa che entra dalle finestre, e le amo ancora di più quando fuori piove, e la calma che ti può dare limmergerti tra le pagine di un libro diviene qualcosa di incomparabile. Amo lapollineo, larmonia delle forme, la calma rassicurante, la razionalità, la confortante grazia della logica.

Eppure per me il dionisiaco è sempre stato qualcosa di indispensabile, di vitale, ancora prima che mi rendessi conto che anni prima ci fu un tale Friedrich Nietzsche ad esaltarlo.

Dioniso è il dio dell’estasi, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi: rappresenta la vita nel suo perenne e selvaggio fluire, lo spirito divino di una realtà smisurata, il primordiale elemento del cosmo, lincontenibile corrente di vita che tutto pervade.

Dio dalla poliedrica natura maschile e femminile, animalesca e divina, Dioniso incarna la scintilla istintuale presente in ogni essere vivente; che permane anche nell’uomo razionale come sua parte originaria e ineliminabile, e che può riemergere ed esplodere in maniera violenta se repressa e non fatta fluire.

Nella filosofia di Nietzsche, Dioniso è il dio della musica, dellebbrezza e del vino, dei baccanali, il piacere voluttuoso, la sensualità che porta allestasi, la passione che conduce allelevazione, al rapimento sublime, allintenso ed entusiastico sì alla vita, alla sua accettazione ardente e bramosa che determina finalmente lo squarciamento del velo di Maia. È la sensualità ma anche il piacere che deriva dai sensi, dal tocco, dal sapore, dai balli sfrenati dettati da una musica eterea che entra nella carne e diventa viva, insaziabile e folle di un amore vivo e penetrante per la vita e per tutto ciò che la permea. Lesaltazione delle pulsioni energetiche che si esprimono in tutto ciò che fa sentire vivi, presenti, potenti. Il ripudio della castigatezza sensoriale, della pudicizia e della moderazione, Nietzsche è qui per dirci di abbracciare la vita in tutta la sua interezza, di succhiarla fino al midollo (per citare Henry David Thoreau) e di non aver nessun rimpianto di averla sentita in tutta la sua potenza sensoriale. Attraverso lo studio, certo, ma soprattutto attraverso tutto ciò che ci fa sentire vivi, energici, pulsanti, ebbri di vita. E questa modalità di relazione con la realtà è possibile attraverso la consapevolezza profonda e filosofica, che va a colmarsi e a fondersi con la sapienza di cui i libri sono pregni.

Non so se poi Riccardo abbia compreso ciò, ma una delle lezioni più importanti che ho appreso è che la filosofia è traboccante di vita, che non la si impara solo passando le notti sui libri ma vivendo ed esprimendo al massimo il proprio essere, la propria essenza, la propria follia più pura ed autentica, sorridendo e lasciandosi andare al flusso della vita, in quel magnifico ed entusiastico SÌ che Nietzsche tanto amava.