Jonas: la paura rende responsabile

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Jonas

Il caso ha voluto che riprendessi tra le mani un volume che avevo già incontrato in passato: Il principio responsabilità di Hans Jonas. Si tratta di un testo canonico per chiunque si sia interessatə, in filosofia, di bioetica e questioni legate all’ambiente, che uscì per la prima volta nel 1979. Ritornare sul contenuto della riflessione di Jonas mi è parso quanto mai opportuno, alla luce dei fenomeni climatici sempre più estremi con cui “ci troviamo” a convivere, inquietanti segnali della crisi ambientale già in atto. La forza di una filosofia sta, infatti, nella sua capacità di parlare del e al reale che si dispiega dinanzi, e quella di Jonas ha certamente ancora qualcosa da dire. 


Quello che il filosofo chiama «principio responsabilità» nasce come tentativo di fondazione di una nuova etica in grado di far fronte ai cambiamenti introdotti dalla civiltà tecnologica.


Jonas ritiene, infatti, che il trionfo della tecnica nella società contemporanea abbia profondamente mutato la natura dell’agire umano, al punto che l’etica tradizionale non sia più sufficiente a prescrivere dei comportamenti e fornire adeguate risposte alle nuove sfide poste dalla tecnologia. Pertanto, appare necessario elaborare una nuova etica che verta intorno al principio di responsabilità, ovvero un’istanza di cautela rispetto allo sfrenato impiego delle tecnologie e alle loro derive potenzialmente nocive. Si tratta per Jonas di riconoscere il pericolo dietro il sogno del progresso scientifico-tecnologico, un desiderio insaziabile volto alla conquista di sempre nuove mete conoscitive con ogni mezzo disponibile e, come tale, incurante della vulnerabilità della natura. 


Per Jonas la situazione è quanto mai delicata: quegli stessi strumenti tecnologici, creati dall’uomo per il miglioramento delle sue condizioni di vita, possono sfuggire di mano e rivoltarsi contro il loro artefice.


Seguendo la logica del massimo sfruttamento di risorse per il minimo delle garanzie, l’odierna tecnologia si avvicina sempre più al condurre l’umanità pericolosamente verso l’autodistruzione. 

In un’ottica di conservazione della specie umana e della natura, il filosofo suggerisce un’etica che si sviluppi intorno ad un’«euristica della paura», in altre parole una teoria etica che di fronte all’incertezza del futuro consulti i nostri timori, prima ancora che i desideri, dando priorità alla «previsione cattiva su quella buona» (1).

La paura appare come un valido deterrente verso qualsiasi azione azzardata che possa mettere a repentaglio il nostro futuro: dalla terrificante prospettiva di un male prossimo, infatti, si genera in noi quel senso di responsabilità che ci induce a preservare il bene dell’umanità. Per Jonas, la filosofia morale deve sollecitare le nostre paure per far riconoscere ciò che ha veramente valore, formulando così una norma che ci porta a preservare tale bene. L’appello alla paura si rende indispensabile, dal momento che «sappiamo che cosa è in gioco soltanto se sappiamo che è in gioco» (2).


Una possibile obiezione a tale ragionamento è che il panico, scaturente dalla paura, possa al contrario di queste aspettative inibire l’azione, gettando l’individuo in uno stato di sconforto e senso di impotenza verso ciò che accade.


In effetti, è proprio la minaccia di un avvenire terribile, come quella di un futuro successivo al collasso ambientale, a generare reazioni altrettanto umane come l’ansia e l’angoscia, stati d’animo che possono portare anche all’indifferenza o alla rassegnazione.

Secondo Jonas, però, la paura rappresenta un inizio all’azione etica: egli è perfettamente consapevole – e lo esplicita – che essa non rappresenta «l’ultima parola nella ricerca del bene», ma pur sempre «una parola estremamente utile» (3), oltre che potente. Si tratta appunto di un’euristica della paura, a partire dalla quale costruire un nuovo progetto etico che, scommettendo sulla previsione di sventura, richiami in noi «un incondizionato dovere all’esserci» (4), ovvero a non mettere a rischio la nostra esistenza futura a favore di logiche economiche controproduttive. Quella di Jonas è una prospettiva deontologica che parte dal riconoscimento di un bene ontologicamente tale: l’umanità. Un bene che va protetto, invocando alla responsabilità l’agire individuale, collettivo e soprattutto politico. 






(1) Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 2009, p. 39.

(2) Ivi p. 35.

(3) Ibidem

(4) Ivi p.47.

Immagine di copertina: https://www.avvenire.it/agora/pagine/jonas-filosofia-gnosticismo-scienza-tecnologia-etica
Immagine utilizzata al solo scopo di contesto. Nessun provento realizzato.