Chi è il popolo?

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Ci penso da qualche giorno: le reazioni di disgusto lette online al “vieni avanti Gretina”, ennesimo titolo ignobile di Libero, sono direttamente proporzionali alla ilarità diffusa (online e non) provocata dalle risposte della Social Media Manager (rivelatosi successivamente una funzionaria stressata) dell’INPS.

Più si diffondeva la sorpresa all’ennesima uscita pubblicitaria dei titolisti della testata giornalistica (chissà quanto si divertono nelle loro riunioni redazionali!), più si diffondevano online le battute di derisione ai commenti di aiuto degli utenti apparse sul profilo Facebook dell’INPS.


Del resto, il politically correct ci impone un codice comportamentale specifico dal quale è difficile liberarsi:


certe cose devono provocare giustamente disgusto, altre devono essere derise e sottolineate perché distanti da chi dovremmo essere, da come dovremmo apparire.

Che sia chiaro: qui non viene messo in discussione né il valore becero del titolo del giornale, né la gravità di alcuni commenti degli utenti ignari e inconsapevoli, né tantomeno vi è alcun giudizio di valore sulla professionalità della funzionaria dell’INPS.


Piuttosto la questione è guardare al di là delle modalità di rappresentazione del fenomeno e andare alle cose stesse nella loro essenza.


Perché in realtà non vi è molta distanza tra quel “Vieni avanti Gretina” e chi deride la mamma che candidamente ammette che il figlio – lavoratore in nero “regolare” – ha richiesto il Reddito di Cittadinanza.

Non vi è alcuna differenza tra quel “Vieni avanti Gretina” che vuole provocare l’opinione pubblica muovendo le pedine dello scandalo sociale manipolatore di massa e la proposta principale di chi  quella massa popolare la vuole conquistare a suon di promesse elettorali.


L’ignoranza, colpevole certo, è solo un sintomo di una malattia proliferante che ha conseguenze urgenti e emergenti nella vita di tutti.


Il cancro sociale è la sofferenza, la disperazione diffusa, la mancanza di pensiero critico e l’assuefazione.

Il futuro è un problema contingente perché messo in crisi dal presente precario; non esiste una cura efficace che non passi dalla ricerca e dalla comprensione di ciò che è.

Se è vero che la nozione del fenomeno del populismo è strettamente connessa a quella di popolo (e storicamente e filosoficamente incerta, contraddittoria nella sua formazione e identità), è  altrettanto vero anche che per capire tale fenomeno ormai diffuso è necessario intenderci sulla nozione di popolo riconoscendolo nella sua alterità.

Che sia un organismo pre-esistente e autonomo (prospettiva che personalmente fatico a sostenere) o che si costituisca in un’assimilazione di valori politici e culturali è una questione filosofica e teorica estremamente interessante che non si sottrae all’importanza del riconoscimento e identificazione del popolo stesso. Il riconoscimento avviene attraverso quel passaggio di identificazione che, o per affinità o per opposizione, esiste nella relazione e ha luogo proprio nell’incontro di chi ricambia il nostro sguardo.

Il popolo – oggi volgarmente maltrattato e colpevolizzato di aver sostenuto e di continuare a sostenere gli assetti politici che ci governano – è stato condotto magistralmente ad una scelta precisa, a volte travestita da “non-scelta” altre volte da “scelta convinta”, altre da “scelta cieca”; ma la diversa natura delle motivazioni non cambia il risultato collettivo che pare costituirsi come zoccolo duro di certe realtà determinate e a noi vicine.

Il consenso è un’onda che, così come arriva, si ritrae prosciugando le scogliere, ma il moto della marea non è casuale né occasionale.


Quello che noi chiamiamo “popolo” in mancanza di una intesa univoca, è un organismo decisionale, prodotto della democrazia, e non riconoscerlo nella sua identità è l’errore che si sta percorrendo, ancora.


Perseverare nell’ignorare i suoi umori ed esigenze, la sua condizione sociale, economica e soprattutto culturale, è l’errore ereditario di tutte le classi politiche che si sono succedute.

È l’errore accolto da una certa classe intellettuale da salotto,  l’errore modello di una certa classe sociale che alimenta quella tendenza ad avere una opinione forzata e accorata, tendenza non molto distante da quella del popolo analfabeta che essa stessa stigmatizza per quanto riguarda assenza di pensiero critico e mancata consapevolezza.


La derisione non è riconoscimento ma piuttosto annullamento.


Annullamento dell’altro e annullamento della propria percezione e capacità di analisi.

La derisione è non vedere o capire il problema. La disperazione diffusa, prodotto multifattoriale di un processo economico e culturale che ci relega in una condizione di ignoranza perpetua, potrà anche far meschinamente sorridere – a patto che lasci tempo e spazio alla comprensione, riconoscimento e spiegazione.