Da Santa Barbara all’Earth Day

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Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza di un’autentica vita umana sulla terra (1)

(Hans Jonas)


Siamo nel primo pomeriggio di una giornata qualunque, lungo le coste californiane di Santa Barbara, negli U.S.A. In lontananza è possibile scorgere il profilo della Dos Cuadras Field, uno dei più imponenti grovigli metallici partoriti dall’ingegno umano, in grado di estrarre, per conto della Union Oil, più di 260 milioni di barili di greggio (2).

È il 28 gennaio del 1969: Nixon si è appena insediato alla Casa Bianca, il movimento studentesco è in pieno fermento; in Italia, quello femminista ottiene una grande vittoria nella lotta per l’uguaglianza tra i generi (3); i Beatles a Londra preparano una delle esibizioni destinate a rimanere incisa a fuoco nella storia del rock.

È il 28 gennaio del 1969 e qualcosa, lungo le coste californiane di Santa Barbara, U.S.A., sembra andare storto.

La piattaforma petrolifera A, posizionata a 9 Km dalla costa, aveva raggiunto in mattinata, e dopo soli 14 giorni di trivellazione, la profondità limite di 3479 piedi (circa 1.060 metri) provocando la fuoriuscita di gas naturale dal sottosuolo ad altissima pressione (4).

L’inesorabile e drammatica conseguenza è un’esplosione senza precedenti e il riversamento in mare, per undici giorni consecutivi, di un milione di litri di greggio, fanghi ed acque altamente tossiche.

I danni ambientali sono incalcolabili: 50 Km di spiaggia ricoperti di melma, 2.500 Km quadrati di mare inquinato, più di 3.500 uccelli sterminati. Non da una fatalità o da un cataclisma. E neppure dall’errore umano in sé e per sé a ben vedere, ma dalla sua incontenibile avidità.

Sull’altare della vanagloria (scientifica) e del dio denaro (industriale), si sono sacrificati migliaia e migliaia di esseri viventi, in nome della presuntuosa ed effimera convinzione che l’uomo si trovi in cima ad una piramide e che dell’ambiente e delle creature che lo popolano, più in basso, egli sia il padrone assoluto e indiscusso.

Parafrasando Erich Fromm (5), in nome di un finto progresso siamo stati disposti ad ipotecare pesantemente non solo la nostra esistenza, quanto quella delle generazioni future.

Questo è il drammatico antefatto che diede vita all’Earth Day, festeggiato ogni anno dal 1970, il 22 Aprile (6).

Fortemente sostenuto dall’attivista John McConnel e dal Senatore democratico Gaylord Nelson, venne sancito in una proclamazione firmata dall’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, U Thant e coinvolge, ad oggi, 193 Paesi, circa 22 mila organizzazioni e miliardi di cittadini (7).

La questione ambiente è ampia ed estremamente complessa.

In gioco vi sono due macro-fattori di valore diametralmente opposto e in conflitto tra loro: da un lato la follia del sistema capitalista obbliga i Paesi e le loro industrie ad una crescita e allo sviluppo continuo, esponenziale, forsennato, che non ammette arresti, recessioni e neppure situazioni di stasi; dall’altro il Sistema-Terra prevede un numero limitato di risorse, non sempre equamente distribuite e soprattutto in un equilibrio talmente perfetto e delicato da rischiare il collasso alla minima variazione. E di questo, ne sono una prova, a mero titolo di esempio, i terrificanti mutamenti climatici cui stiamo assistendo ormai da diversi anni.

La questione, quindi, non è e non può essere puramente etica, morale, relegata alla sensibilità individuale: diventa, giocoforza, politica, collettiva.

Ogni giorno, ogni individuo, con un piccolo gesto, può contribuire a rendere l’ambiente in cui respira, parla, si muove, un posto migliore: raccogliere una carta da terra, lasciare boschi e spiagge pulite, utilizzare shopping-bag di stoffa, evitare sprechi di acqua, cibo, energia elettrica, gas, andare in ufficio a piedi, evitare posate e bicchieri monouso; incentivare la sostenibilità scegliendo con accortezza dove e come comprare. L’elenco è ipoteticamente infinito.

Sopra ogni cosa, però, dobbiamo ricordare che, oltre ai piccoli gesti, ciò che conta realmente è ricordare di appartenere a quella collettività cui si è accennato più sopra.

Non siamo atomi isolati in perenne lotta tra loro, ma organismi coscienti e senzienti, parte di un tutto. Un tutto che possiamo modificare e indirizzare attraverso l’agito concreto, attraverso la partecipazione.

Un tutto in cui, è bene sottolinearlo, rientra anche l’ambiente, con i suoi mari, i suoi fiumi, i suoi monti, i suoi boschi, le sue innumerevoli forme di vita, tutte parimenti meritevoli e degne di esistere, la cui sopravvivenza è legata a doppio filo alla nostra, semplici esseri umani.

In quest’ottica, con un gioco di parole forse un po’ banale, mi piace immaginare l’Earth Day, un po’ come un Heart Day: una giornata del cuore. E dell’amore.

Amore per la vita, per l’ambiente, per quell’unica grande casa cui veramente apparteniamo: il Pianeta Azzurro. Amore, in ultimo, per l’essere umano stesso.

Perché quello che non capiamo fino in fondo è che, in realtà, proteggendo la Terra, proteggiamo anche e soprattutto noi stessi.



  1. Jonas H., Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, (a cura di) P.P. Portinaro, Einaudi, Torino 2002.
  2. Ci riferiamo qui alla produzione cumulativa. Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Dos_Cuadras_Offshore_Oil_Field#cite_note-annual2007-1
  3. Ci riferiamo qui alla decisione della Corte Costituzionale circa l’illegittimità di due commi dell’articolo 559 C.P., che sancivano il reato dell’adulterio semplice compiuto dalla moglie e che fece, ipso facto, fa apripista alla lunga lotta per l’abrogazione delle disposizioni sul c.d. delitto d’onore. http://www.giurcost.org/decisioni/1968/0126s-68.html
  4. Cfr. http://www2.bren.ucsb.edu/~dhardy/1969_Santa_Barbara_Oil_Spill/About.html
  5. Fromm E., Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano 1975.
  6. https://www.ilpost.it/2018/04/22/giornata-della-terra-2/
  7. http://www.earthdayitalia.org/PROFILO2/L-Earth-Day