Il volto della madre è lo specchio della vita

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Per ogni bambino è fondamentale, già dal primo vagito, poter fare esperienza della madre; la funzione materna non si esaurisce solo in un significato biologico e procreativo, bensì ha un grande valore simbolico.


La madre è colei che conduce il bambino nel mondo e che gli rimanda il primo sguardo su di sé.


«Fin dalla nascita ogni soggetto esiste solo in quanto coinvolto in una relazione e, le sue possibilità di vivere e svilupparsi dipendono totalmente dal soddisfacimento del bisogno primario di attaccamento e appartenenza ad un Altro (madre/caregiver) che si prenda cura di lui e gli dia quel senso di sicurezza e intimità che sono basilari per la crescita».

D. Winnicott, 1974


Dunque, secondo Winnicott, l’evoluzione affettiva e cognitiva del bambino dipenderà molto dalla qualità di tale relazione primaria, da quanto la figura di riferimento sarà protettiva, accogliente, costante e rassicurante: tutti questi elementi determineranno lo sviluppo sano del Sé del neonato.

Ugualmente Kohut, caposcuola della Psicologia del Sé, sottolinea in Narcisismo e analisi del Sé, come «nel momento in cui la madre vede il bambino per la prima volta ed entra in contatto con lui, ha inizio la potenzialità di un processo attraverso il quale si stabilisce il Sé di una persona» e di conseguenza il soggetto instaura un rapporto con il resto del mondo.

Fin dai primi istanti di vita, il bambino «è competente, cioè possiede una naturale predisposizione sociale, un’innata propensione a fare esperienze affettive» (Stern, 1987) e così il compito della madre sarà quello di adattare il suo atteggiamento ad un’organizzazione comportamentale già esistente.


Inoltre, la madre potrà spontaneamente creare con il suo piccolo una relazione di cura basata su un legame di attaccamento.


L’attaccamento è un aspetto importante, tipico della diade madre-bambino; Bowlby, il padre fondatore della teoria dell’attaccamento, lo definì scientificamente un legame emotivamente significativo sia per la madre che per il figlio, un legame intenso e sano e che sarà di lunga durata.

Tale esperienza è all’origine di sentimenti di sicurezza e di fiducia che consentiranno al bambino di sperimentare realtà positive nell’ambiente circostante.

Pertanto il bambino farà conoscenza del mondo tramite questo legame con la figura della madre, ed è proprio da questo primo rapporto che il suo mondo esterno si arricchirà con altre figure di riferimento.


Interessante è anche la descrizione di Freud dell’Altro materno come “soccorritore”, come quell’Altro “più prossimo” che sa rispondere e accogliere le grida di aiuto di un figlio nel suo affacciarsi traumatico alla vita.


Dunque, se la vita umana si caratterizza per una condizione iniziale di vulnerabilità primaria, ciò che salva e guarisce sono proprio le mani accudenti di una madre, la sua presenza salvifica per il figlio, il volto di colei che ne custodisce la vita.

L’amore materno è totale e incondizionato, costituisce una fonte di calore e di serenità per il bambino, il quale non deve fare assolutamente nulla per conquistarlo poiché, per dirla con le parole di Fromm in L’arte di amare, il bambino pensa: «sono amato per ciò che sono oppure, più precisamente, perché sono. Tutto ciò che devo fare è essere – essere il suo bambino».

La madre è anche e principalmente un volto: il volto della madre è il precursore dello specchio per il bambino, è grazie ad esso che il piccolo si riflette per la prima volta riconoscendosi come identità.


Solo attraverso il volto materno il figlio compie l’incontro primordiale con se stesso e fa esperienza del proprio Sé.


Il volto della madre, elemento fondamentale, custodisce in sé il volto del mondo, pertanto il figlio, specchiandosi in esso, coglierà per la prima volta anche l’essenza del mondo.

Per questo Lévinas sostiene che il volto dell’Altro, oltre a una relazione diretta con l’altro nel faccia a faccia della prossimità, apre a quello che il filosofo chiama “il terzo” e che in Altrimenti che essere definisce come “un Altro prossimo”, situato al di là della diade madre-bambino.

La maternità è, ancora, la più alta forma di attesa; la gravidanza, innanzitutto, è un’attesa radicale di un qualcosa che, sebbene la madre lo custodisca dentro di sé, nella propria carne, si mostra come una forma di alterità che apre ad un nuovo universo.


L’attesa è principalmente un paradosso, poiché la madre attende un “corpo” che già porta in sé ma che è ancora fuori dal mondo, è il mistero di una vita che viene, della quale non si sa nulla.


L’attesa della madre non finisce con il parto, ma una madre vive costantemente la dimensione dell’attesa, l’attesa di veder crescere una piccola vita, seguirla nel suo cammino, assisterla e  accudirla.

La nascita per una madre non è solo il compimento dell’attesa, ma è contemporaneamente la nascita di una nuova vita che porta alla luce un altro mondo, è il miracolo della generazione.

Inoltre, la nascita pur essendo esperienza di alterità per la madre e di conoscenza del volto del proprio figlio, è anche incontro con la dimensione della perdita: «non potrà mai reintegrare il frutto uscito dal suo corpo nel suo corpo». Quella della madre è una “ospitalità senza proprietà”.

Per questo una madre “sufficientemente buona” – come direbbe Winnicott – è la prima ad agire affinché il figlio possa diventare autonomo, pur sentendosi sempre accudito e sostenuto nelle sue libere scelte.

Qual è allora l’eredità materna?


L’eredità che una madre può offrire al proprio figlio è sicuramente l’amore per la vita, il desiderio di vivere, il diritto di esistere e di essere nel mondo.


Il figlio a sua volta deve, durante l’attesa della gravidanza, nutrirsi del corpo della madre ma anche dei suoi pensieri d’amore per lui, per poi, una volta nato, fare esperienza del volto della madre per aprirsi al volto del mondo e realizzare pienamente se stesso.

Senza lo sguardo attento e premuroso di una madre non c’è possibilità alcuna, per il figlio, di percepire la propria esistenza e di conseguenza la bellezza del mondo.



BIBLIOGRAFIA:

Fromm E., L’arte di amare, Il saggiatore, Milano 1977

Recalcati M., Le mani della madre. Gioie, fantasmi ed eredità del materno, Feltrinelli, Milano 2015Winnicott D. W., Sviluppo affettivo e ambiente, A. Armando, Roma 1970

In copertina: Mary Cassatt, Mother and child, 1905 
I diritti sono riservati all’autrice dell’opera Mary Stevenson Cassatt (Pittsburgh, 22 maggio 1844 – Château de Beaufresne, 14 giugno 1926) e ai suoi eredi.