Le ragioni del piacere

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La parola edonismo, dal greco hedoné, si traduce con il termine “piacere” e indica quelle dottrine filosofiche che identificano proprio nel piacere, variamente inteso, il fine ultimo dell’agire umano. Nel linguaggio comune l’edonismo consiste in una ricerca sfrenata di godimento a ogni costo, in tutti gli aspetti della vita e in qualunque attività quotidiana. Dunque un modo di vivere vero e proprio, improntato solo al soddisfacimento personale e basato sull’egoistico e sul narcisismo.


Verrebbe da chiedersi quale sia l’esito di un’esistenza orientata in modo esclusivo  al piacere.


In Aut-Aut, una delle sue opere più celebri, Søren Aebye Kierkegaard risponde a questo nostro interrogativo. Il filosofo danese sostiene che una delle possibili scelte esistenziali da parte dell’uomo sia proprio la dimensione edonistica, tipica dell’esteta. L’esteta è colui che ritiene fondamentali e di rilevanza superiore rispetto ai principi morali i valori della bellezza e del piacere. Per Kierkegaard il modello dell’esteta è il seduttore, incarnato nella figura del Don Giovanni, che vive nell’incessante ricerca dell’attimo e della novità.


Egli apprezza solo la dimensione del presente mutevole e rifiuta la progettualità, l’impegno e la costanza, ma soprattutto fugge ed evita il dolore. 


Così scrive Kierkegaard: 

«Ogni essere umano, per poco dotato che sia, per subordinata che sia la sua posizione nella vita, ha un naturale bisogno di darsi una concezione della vita, una rappresentazione del significato della vita e dello scopo di questa. Anche colui che vive esteticamente fa così, e l’abituale espressione, che in tutti i tempi e a partire dai diversi stadi s’è udita, è la seguente: “Si deve godere la vita!”». (1)

Il filosofo, però, sottolinea come tale ricerca sconsiderata del soddisfacimento ben presto conduca l’esteta verso la noia, una condizione esistenziale in cui l’individuo, non avendo costruito nulla di significativo, disperde se stesso in effimere esperienze; riesce in questo modo a trasformarsi di continuo fino a svuotare di senso la propria vita, precipitando infine nel baratro della disperazione.

La morale edonistica ha avuto autorevoli rappresentanti anche tra gli utilitaristi come Jeremy Bentham e John Stuart Mill, secondo i quali ogni azione dell’uomo è legittimamente proiettata alla ricerca del piacere, per cui l’etica consiste in una considerazione delle azioni in base alla prossimità dei godimenti che consentono di raggiungere. Lo stesso Mill si difendeva contro chi mal giudicava la sua dottrina, dicendo:

«Questa teoria della vita eccita in molti spiriti una ripugnanza inveterata perché essa colpisce un sentimento dei piú rispettabili. Supporre che la vita non abbia fini piú alti, né obietti migliori e piú nobili da perseguire, che non sia il piacere, è per essi dottrina degna di esseri inferiori, anzi addirittura di maiali: né piú né meno di cosí, or è poco, si trattavano i discepoli d’Epicuro» (2).

Dunque gli utilitaristi subiscono le stesse critiche che in epoca ellenistica erano rivolte agli epicurei. Tuttavia, tra l’edonismo di Epicuro e quello di Bentham c’è una notevole differenza. Epicuro, infatti, parlava di una felicità individuale intesa come benessere dell’anima in assenza di turbamento; per gli utilitaristi la realizzazione del proprio benessere passa attraverso la soddisfazione dell’utilità dell’intera società. In tale accezione il piacere è un bene che può essere ricercato insieme agli altri, per essere condiviso.


Una riflessione interessante sul tema del piacere è quella proposta dalla prospettiva psicoanalitica.


Sigmund Freud ritiene che la ricerca del proprio stato di benessere supremo sia un vero e proprio istinto primario dell’essere umano. Tuttavia, gli individui per sopravvivere hanno parimenti bisogno della vita sociale: oltre al godimento, essi, fanno riferimento a un principio di realtà che li aiuta a gestire i propri desideri. Per Freud è necessario trovare un equilibrio tra il soddisfacimento del desiderio, del tutto legittimo, e le esigenze della società, verso la quale abbiamo precisi obblighi morali.

Dunque, nel significato non filosofico, l’edonista è un soggetto concentrato esclusivamente su se stesso, che in rari casi si preoccupa di fare dei progetti costruttivi o di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Pertanto, la ricerca esclusiva del piacere entra nell’inevitabile conflitto con la dimensione degli obblighi da ottemperare, da cui con estrema difficoltà possiamo esimerci. A questo punto verrebbe da chiedersi se sia possibile un giusto equilibrio tra piacere e dovere. In realtà basterebbe superare questo dualismo o meglio questo conflitto. 


Per cui la vera questione sarebbe: qual è il senso di questo scontro nella mia vita?


O meglio, quale direzione interiore devo seguire al fine di trascendere questa opposizione, realizzando me stesso e il mio desiderio più profondo? Tale visione comporta l’opportunità di esplorare la nostra interiorità e il nostro reale desiderio.

Infatti, se il desiderio venisse realmente scandagliato si potrebbe porre fine alla diatriba tra dovere e piacere. Noi, proprio per questo, tendiamo a percepire in maniera eccessiva il senso del dovere e a rinunciare con immediatezza a sentirci dentro, cioè a percepire i nostri bisogni più reconditi. Forse perché, se da un lato non abbiamo esplorato a sufficienza la natura propria di ciò che riteniamo doveroso, dall’altro abbiamo esaminato troppo poco noi stessi, la nostra interiorità con le sue autentiche aspirazioni.

Esplorandoci nel profondo potremmo comprendere cosa vogliamo davvero e provare a metterlo in pratica, in questo modo riusciremmo a percepire da noi stessi il senso del dovere e non più da un’intimazione esterna e magari arriveremmo a provare piacere nel compiere il nostro stesso dovere. Realizzare questo non è impossibile ma dipende molto dalla capacità che si ha di possedere una particolare sensibilità verso se stessi, apprezzando la dimensione del dovere quale necessità del cuore per vivere più intensamente.




(1) Kierkegaard S., Aut-Aut, Mondadori, Milano, 2016, p.10
(2) Mill J.S., Pagine scelte, Facchi, Milano, 1923, pagg. 8-10

Immagine di copertina: dettaglio del Trittico del Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch