Una cultura solidale con la violenza sessuale?

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Era il 26 aprile 1979 quando Giorgio Zappieri, avvocato difensore di uno degli imputati nel processo per stupro (1) di gruppo a danno di Fiorella, affermava: «l’atto della fellatio è incompatibile con l’ipotesi di una violenza inflitta […] il coito orale si compie con una funzione che esprime una serie di atti voluti […]. Lì la violenza è stata esercitata dalla ragazza sui maschi. È lei che prende, è lei che è parte attiva, loro sono passivi, inermi, abbandonati nelle fauci avide di costei» (2).

Un altro avvocato della difesa aggiungeva: «avete voluto la parità dei diritti, avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire “abbiamo parità di diritto, perché io alle nove di sera debbo stare a casa, mentre mio marito, il mio fidanzato […] vanno in giro?” Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente». (3) 

Fiorella, ragazza di diciotto anni, vittima di violenza sessuale da parte di quattro uomini, così come ogni donna che aveva il coraggio di denunciare una violazione subita, si trovava paradossalmente di fronte a un tribunale giudiziario a difendersi dalle accuse degli imputati.


La donna vittima di violenza si trasformava all’interno dei processi giudiziari in “imputata”.


Infatti il punto di osservazione nei casi di stupro non era colui che aveva commesso il reato, ma la reputazione della vittima stessa, prendendo in analisi: il suo comportamento e la sua condotta di vita qualificandola come “una brava o cattiva ragazza”, le sue abitudini sessuali, il suo aspetto fisico, il modo di vestire e il particolare legame che intercorreva tra la vittima e il suo aguzzino. Diventava centrale anche il concetto di consenso, prestando attenzione alla questione della resistenza posta dalla vittima: aveva teso sufficiente opposizione al suo aggressore? In quale rapporto era con esso?

Prima dell’approvazione della Legge n. 66 Norme contro la violenza sessuale del 1996, si compieva una distinzione tra gli atti di libidine e la violenza carnale, solo quest’ultima rappresentava un reato, riconosciuta nei casi in cui avveniva “una congiunzione carnale” (penetrazione) e compiuta con violenza o minaccia al di fuori della relazione coniugale. La violenza sessuale inoltre costituiva una violazione non contro la persona, ma contro la morale pubblica e il buon costume. La donna non era mai presa in considerazione come persona in sé ma sempre in relazione a un uomo, in qualità di moglie, madre e figlia e i suoi diritti venivano difesi in nome dell’onore familiare. (4)  


Ad oggi la condizione della donna vittima di violenza sessuale è cambiata all’interno dei processi giudiziari?


Il 4 marzo del 2015 si è svolto il proscioglimento in Appello degli imputati per uno stupro di gruppo commesso a Firenze presso la Fortezza da Basso (5) e assolti non perché il fatto non sussista, ma perché si ritiene di non poter accertare la violenza. I giudici hanno messo in discussione la versione della vittima a causa della sua vita privata e sessuale definita «non lineare». Si afferma che la ragazza voleva con la sua denuncia «rimuovere» un suo «discutibile momento di debolezza e fragilità», ma «l’iniziativa di gruppo» non è stata da lei «ostacolata»(6).

Ancora oggi la vita privata e sessuale della vittima continua a essere oggetto di indagine e di prova per dimostrare o meno la veridicità della violenza subita, ed è ciò che ha portato i giudici a dubitare della credibilità della giovane donna nel caso giudiziario riportato poc’anzi. 

Come afferma la femminista statunitense Susan Brownmiller, la cultura e la dottrina giuridica sono rimaste solidali con lo stupro, perché si tende con costanza a sminuire e giustificare le violenze commesse dagli uomini. Si sostiene che la violenza sessuale sulla donna abbia una natura passionale in parte provocata dalla vittima stessa(7). Secondo questa logica tipicamente patriarcale sarebbe quindi il comportamento della vittima, considerato involontario o meno, a scatenare l’azione illecita. In questa ottica la violenza sessuale sarebbe potuta essere evitata nel momento in cui la donna fosse ricorsa a comportamenti più prudenti e più consoni al suo sesso.


Queste argomentazioni causano una pericolosa e nociva inversione di responsabilità, dall’aggressore alla vittima, non solo all’interno dei tribunali ma anche nella coscienza sociale.


Ciò causa una grave violazione della dignità della donna, la quale è portata ad assumere il pensiero maschilista nel considerare se stessa colpevole o corresponsabile del reato compiuto per non aver adottato comportamenti tradizionalmente consoni al proprio sesso (8).

In questi casi giudiziari la dottrina del diritto tende ad acquisire il punto di vista patriarcale –considerato con una falsa pretesa di universalità neutro e oggettivo – e a non cogliere invece quello della vittima, causando la conservazione del rapporto di disuguaglianza tra l’uomo e la donna. La motivazione del sospetto verso la versione data dalla querelante è dovuta dalla necessità di tutelare l’uomo da false accuse femminili. Il paradosso di questa convinzione lo rivelano le analisi delle statistiche: «i dati evidenziano che le aggressioni sessuali sono fra i crimini meno denunciati. E ciò per varie ragioni: su tutte, il sentimento di vergogna provato dalle vittime e il loro complesso di colpevolezza o corresponsabilità rispetto all’aggressore»(9).


Giustificando le manifestazioni di violenza maschile è come se si cercasse di nascondere il problema culturale che si cela dietro al fenomeno.


Questo rappresenta un grosso problema sociale perché non solo si fraintendono il significato e la comprensione della violenza di genere, ma se ne impedisce di conseguenza l’atto di contrastarla, così come si reprime la possibilità di un cambiamento nel modo di pensare i rapporti tra i sessi.

Concludo questo articolo riportando direttamente una parte della lettera scritta dalla ragazza che ha subito violenza sessuale presso la Fortezza da Basso a Firenze, che può essere motivo di riflessione per comprendere appieno l’entità del problema(10):

Vorrei riuscire a scrivere qualcosa che abbia un senso ma non posso perché un senso, questa vicenda, non ce l’ha. Sono io la ragazza dello stupro della fortezza, sono io.
Esisto. Nonostante abbia vissuto anni sotto shock, sia stata imbottita di psicofarmaci, abbia convissuto con attacchi di panico e incubi ricorrenti, abbia tentato il suicidio più e più volte, abbia dovuto ricostruire a stenti briciola dopo briciola, frammento dopo frammento, la mia vita distrutta, maciullata dalla violenza: la violenza che mi è stata arrecata quella notte, la violenza dei mille interrogatori della polizia, la violenza di 19 ore di processo in cui è stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale. Come potete immaginare che io mi senta adesso?





(1) Loredana Dordi, Processo per stupro, 1979. Si tratta del primo documentario su un processo per stupro mandato in onda dalla Rai il 26 aprile 1979. L’idea nacque dopo un convegno internazionale sulla violenza contro le donne organizzato a Roma dai movimenti femministi nell’aprile del 1978.  Url: https://www.youtube.com/watch?v=-pVr956wU5k

(2) Loredana Dordi, Processo per stupro, Rai, 1979, stralcio 5 da Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=-pVr956wU5k

(3) Loredana Dordi, Processo per stupro, Rai, 1979, stralcio 6 da Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=-pVr956wU5k

(4) Cfr. Simona Feci, Laura Schettini, La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI), Roma, Viella, 2017.

(5) Url: https://www.ilpost.it/2015/07/27/lo-stupro-della-fortezza-da-basso/.

(6) Corte d’Appello di Firenze, sentenza n.858.

(7) Cfr. Susanna Mantioni, Homo mulieri lupus. Susan Brownmiller e la demistificazione della «cultura solidale con lo stupro», in La violenza contro le donne nella storia, cit., pp. 140-152.

(8) Cfr. ivi, pp. 145-150.

(9) Ivi, p. 150. (10) Potete leggerla integralmente qui: https://www.ilpost.it/2015/07/27/lo-stupro-della-fortezza-da-basso/


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