Sapere aude?

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2032

I fatti di questi giorni riguardanti la professoressa Rosa Maria Dell’Aria, sospesa dall’insegnamento nella sua scuola di Palermo perché rea di aver coordinato un progetto in cui i suoi studenti hanno accostato il governo attuale con momenti piuttosto bui della storia del Novecento, mi ha colpita profondamente.

Sarà che anch’io insegno Storia (e Filosofia) in un liceo, e spesso a mia volta istituisco dei paragoni tra presente e passato, o sono i miei studenti a farlo, e io non mi sottraggo alla loro sfida.

I ragazzi, per quanto li si voglia immancabilmente dipingere come fannulloni che non vedono l’ora di scioperare per saltare qualche ora di scuola, sono in realtà piuttosto attenti all’orizzonte politico del loro paese, e d’altronde difficilmente potrebbero ignorare chi fa di tutto per essere sempre in prima pagina o nei trending topic.


Si dice spesso che la Storia è una materia che non interessa più a nessuno, e che tante cose su presente e futuro si potrebbero imparare dal passato, se solo ci si prendesse il disturbo di studiarlo.


Di conseguenza, mi ha un po’ stupita vedere tale reazione di fronte a degli studenti che creano un parallelismo tra l’oggi e lo ieri: non sarebbe stato il caso di lodarli, anziché attuare un provvedimento disciplinare contro l’insegnante?


Mi è venuto spontaneo interrogarmi su quale sarebbe, in questo caso, l’azione meritevole di punizione.


Si è detto che l’insegnante ha fatto politica e non il suo lavoro, ma io sfiderei chiunque ad entrare in una classe e parlare di storia senza fare, implicitamente, anche affermazioni di carattere politico (1).

Specialmente se si parla di storia recente, è evidente che i collegamenti con il presente ci sono, e se gli attori politici odierni se ne vanno in giro sbandierando richiami molto espliciti a un certo passato , difficilmente un adolescente dotato di pensiero critico può non far caso a parallelismi ed echi tra ciò che studia in classe e ciò che avviene fuori da essa.


A me sembra che il vero problema non sia il parlare di politica, ma il come se ne parla.


Se insegnare ai ragazzi a condividere le nostre opinioni politiche è certamente da evitare, è preciso dovere degli insegnanti dare loro gli strumenti per pensare ed incoraggiarli a farlo.

Per restare in tema di scuola, recentemente mi sono occupata proprio di questo con i miei studenti, leggendo assieme a loro la celebre Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? di Immanuel Kant. Questa si apre con una famosissima esortazione al pensiero critico e libero, che riporto perché è di per sé così chiara che nessuna mia parafrasi potrebbe mai sperare di migliorarla:

L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo dunque è il motto dell’illuminismo (2).

Molto umilmente, è anche questo che proviamo a realizzare tra i banchi di scuola: cerchiamo di aiutare gli studenti a sviluppare il proprio pensiero critico, di trasmettergli il coraggio di servirsi della propria intelligenza, per impedire che in futuro vengono facilmente plagiati da qualcuno più scaltro di loro.

Tuttavia, Kant è molto esplicito a riguardo, l’illuminismo necessita di una condizione per avverarsi: la libertà, «e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi» (3).


Questo uso, che Kant ritiene essere tipico degli intellettuali e degli studiosi, deve per il filosofo essere necessariamente illimitato, incondizionato da leggi, totalmente libero.


Mi chiedo se, punendo la professoressa Dell’Aria, non stiamo invece creando una società dove l’uso della ragione sia invece vincolato all’opinione che con essa si esprime e dunque, seguendo Kant, una società dove l’illuminismo diviene irrealizzabile.


(1) Vorrei essere chiara su questo punto: parlare di politica in classe non significa fare propaganda, e nemmeno educare i ragazzi a votare ciò per cui votiamo noi insegnanti. Affrontare temi come la libertà di pensiero, di critica e di culto è fare politica, anche senza parlare esplicitamente di partiti o dei loro esponenti.

(2) Immanuel Kant, Risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo?, a c. di Pierre Della Vigna e Luca Taddio, Mimesis, Milano, 2012, p. 19.

(3) Ivi, p. 21.