Die Risikogesellschaft – la società del rischio

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Il progresso tecnologico ha senz’altro giovato alla nostra società, permettendo un ampliamento delle comunicazioni e il raggiungimento delle più disparate informazioni e persone a livello mondiale. Tuttavia, c’è anche il rovescio di questa splendente medaglia, la quale ci mostra un lato dello sviluppo con cui facciamo i conti quotidianamente, anche noi nel nostro piccolo.


Chi di voi non ha mai sentito parlare dei cosiddetti “leoni da tastiera”? O delle immancabili fake news?


Internet, e di conseguenza l’accesso e creazione di pagine web o anche solo Instagram e Facebook, ha concesso a tutti noi, a prescindere dal grado di scolarizzazione, di poter interagire e comunicare attraverso ogni tipo di piattaforma digitale. Questo comporta però anche la possibilità di travisare e diffondere informazioni che non rispecchiano la realtà effettiva.

I mass-media e i giornali nazionali sembrano quasi selezionare parole, notizie e avvenimenti affinché un dato messaggio venga recepito dal pubblico, nonostante questo significhi creare consciamente una crisi popolare o la paura generale. Senza contare dei casi di clickbait (“acchiappa click”): siti che si arricchiscono a seconda delle visualizzazioni e che scelgono di proposito titoli fuorvianti, così da attrarre l’attenzione pubblica e stimolare il desiderio di leggere oltre: spesso il risultato è una “notizia” poco inerente tanto al titolo quanto alla realtà, che di utile apporta solo il guadagno conseguente al click.


Eppure dovrebbero essere quegli stessi mezzi di comunicazione a prevenire la diffusione di notizie false o dettate dalla smania di guadagno più che di informazione.


Lo sa bene Ulrich Beck, noto sociologo tedesco, che nel 1986, poco prima di uno dei disastri nucleari più tragici al mondo, l’esplosione del reattore di Černobyl’, scrisse Risikogesellschaft, in italiano La società del rischio. Verso una seconda modernità, tradotto per Carocci editore nel 2000. 

Il tema principale è una nuova visione della la società moderna, concentrata su come affrontare il rischio e che si differenzia da quella classista, caratterizzata invece dall’interesse verso la distribuzione del potere e della ricchezza

Das Risiko: il rischio, il concetto dominante del nostro secolo, il quale è soggetto alla progressiva perdita di sicurezza a causa del terrorismo, dei cambiamenti climatici – checché se ne rifiuti l’effettiva portata se non l’esistenza stessa – e le crisi finanziarie.

«La “società del rischio” significa che viviamo in un mondo fuori controllo. Non c’è nulla di certo ma soltanto incertezza. Ma andiamo nei dettagli. Il termine rischio ha due significati radicalmente differenti. Esso si applica in primo luogo a un mondo governato interamente dalle leggi della probabilità, in cui ogni cosa è misurabile e calcolabile. Ma la parola è anche comunemente impiegata per riferirsi alle incertezze non quantitative, ai “rischi che non possono essere conosciuti”. Quando parlo di “società del rischio” è in quest’ultimo senso, ovvero quello delle incertezze fabbricate. Queste “vere” incertezze, imposte dalle rapide innovazioni tecnologiche e dalle reazioni sociali accelerate, stanno creando un paesaggio del rischio globale fondamentalmente nuovo. In tutte queste nuove tecnologie dal rischio incerto, noi siamo separati dal possibile e dagli effetti da un oceano di non sapere.» (1)


L’incessante bisogno umano di prevedere e rendere controllabile l’ambiente circostante si scontra dunque con quello che sembra essere il principio vitale di questa nuova modernità, dove l’uomo è gettato in un turbine di insicurezze.


Gli esseri umani sono totalmente slacciati dal controllo degli eventi, per quanto si ingegnino nel trovare un disegno, uno schema ben definito che delinei il futuro che li attende e i meccanismi di causa ed effetto, nel senso più generico possibile. 

«La differenza principale fra la cultura premoderna della paura e la seconda cultura moderna della paura è che nella premodernità i pericoli e le paure potevano essere attribuiti agli dèi, a Dio, alla natura, e la promessa della modernità era quella di superare queste minacce attraverso una maggiore modernizzazione e un maggiore progresso. Nella società moderna non possono essere attribuite a Dio o alla natura, ma alla “modernizzazione” e al “progresso” stesso.» (2)


La seconda modernità di cui parla Beck è allora di tipo riflessivo – una Reflexive modernity – non nel senso di ricurva su di sé, non quindi di una conscia catena di eventi, quest’ultimi sono al contrario soggetti ad un effetto boomerang, imprevedibile e non calcolabile.


Se prima si pensava ad un meccanismo di causa-conseguenza logica, ora s’intravede una non-logica data di riflessi, stimoli insospettabili e incontrollabili a priori. Sono i mass-media, allora, i mezzi in grado di determinare a lungo raggio la portata di un fatto, giacché fonti e diffusori di conoscenza, aiutanti nel definire uno schema, seppur invano allorché alla fin fine sembrano produrre il risultato contrario: la disinformazione.  

La soluzione per prevenire d’incappare nell’errore? Non fermandoci alle prime convinzioni, perpetrando invece nella ricerca di prove e controprove affinché si raggiunga – hegelianamente parlando – una sintesi conclusiva di un dato evento. Il rischio sarà sempre dietro l’angolo di ogni nostra azione, ma è anche vero che “Chi non risica non rosica”.




(1) Cfr. Paura e società del rischio. Un’intervista a Urlich Beck, in © Lo Sguardo – rivista di filosofia N. 21, 2016 (II), p.209. http://www.losguardo.net/wp-content/uploads/2016/11/2016-21-Beck.pdf.
(2) Cfr. Paura e società del rischio. Un’intervista a Urlich Beck, in © Lo Sguardo – rivista di filosofia N. 21, 2016 (II), p.211-212. http://www.losguardo.net/wp-content/uploads/2016/11/2016-21-Beck.pdf

Sitografia: 
https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/14616700600645461
http://www.losguardo.net/wp-content/uploads/2016/11/2016-21-Beck.pdf

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