Cos’è un trial scientifico
Un trial scientifico è una sperimentazione. Spesso riguarda farmaci ma non solo, molto diffusi sono anche i trial chirurgici e psicologici con metodologie chiaramente differenti.
Per la scienza, validità e progresso sono gli obiettivi da raggiungere.
Questo autorizza la scienza ad un utilizzo sconsiderato dei propri strumenti? No. Vi sono regole da rispettare, che Jonas definisce di «etica territoriale» e attingono alla sfera del rigore intellettuale dello scienziato. Le limitazioni della scienza non sono però solamente etiche, bensì anche giuridiche e di benessere collettivo e individuale (1).
In che modo riguarda noi “non addette/i ai lavori”?
Siamo tutte e tutti immersi nella sperimentazione. Vediamolo meglio.
Le fasi di un trial
Lo studio di un farmaco inizia con la sperimentazione pre-clinica dove viene testata la prima tossicità della molecola analizzata. Si divide in una fase “in vitro”, ossia su colture cellulari, e “in vivo”, su animali. Superate entrambe le fasi la sperimentazione si dirige verso una fase clinica, ed è quindi pronta per essere verificata sui soggetti umani.
A questo punto quattro sono le fasi che caratterizzano il processo e che qui saranno riassunte in modo sintetico:
Fase 1 – volontari sani. In genere è svolta all’interno della casa farmaceutica che lo sviluppa, in un numero controllato tra le venti e le ottanta persone. Lo scopo è quello di controllare la tossicità del farmaco su volontari sani e la manifestazione di possibili effetti indesiderati non risultati precedentemente (2).
Fase 2 – soggetti malati. Entra nel merito dell’efficacia sul malato della terapia che si va a testare. Sperimentazione su piccola scala, della durata di un paio di anni, coinvolge tra i cento e i duecento soggetti volontari malati ed è atta a dimostrare la non tossicità e la buona azione del principio attivo.
Fase 3 – pazienti malati. Si confronta un gruppo sottoposto al nuovo trattamento con un gruppo sottoposto a placebo o alla terapia già in uso e per cui si sta valutando una sostituzione, osservando quindi la frequenza e la gravità di eventuali effetti collaterali. La durata di questa fase è in genere tra i tre e i cinque anni ed è un focus specifico sul farmaco.
Fase 4 – verifica post vendita. Al termine della sperimentazione attiva e successivamente all’immissione in commercio, si entra in una fase di test passivo per continuare a verificare eventuali effetti collaterali. Vengono prese in considerazione in questo caso tutte le segnalazioni di effetti collaterali da parte di chi assume il farmaco, che porta in campo nuove variabili e nuove ricerche.
Perché è importante essere consapevoli del processo
Se quest’ultima parte potrebbe sembrare spaventosa, quella in cui viene dichiarato che un farmaco continua ad essere sperimentato anche dopo la sua commercializzazione, è in realtà parte di un processo molto ampio a cui tutte e tutti noi prendiamo parte quotidianamente ma che, scoprendolo all’improvviso e senza la formazione adeguata, ci spaventa e ci destabilizza. Il motivo è principalmente che non si parla mai di come noi ogni giorno prendiamo parte attiva a una comunità anche in questo modo, ne tessiamo le fila e ne ricamiamo i processi di sviluppo.
Ogni volta che assumiamo un medicinale, partecipiamo a una sperimentazione passiva.
Qual è il problema principale a questo punto? Il patto silenzioso, il concetto di consenso informato implicito nel rapporto tra medico e paziente.
Quando assumiamo un medicinale ci affidiamo alle mani del nostro o della nostra curante, che prescrive una terapia sulla base di un malessere, una patologia o comunque un elemento di disturbo alla nostra salute. In quel momento la risoluzione di un problema è il focus principale.
Ma cosa cambierebbe se il medico ci dicesse che con il farmaco che andiamo ad assumere stiamo prendendo parte a un processo molto più ampio? Che se riscontrando effetti collaterali li sottoponessimo alla casa farmaceutica in questione potremmo aiutare nell’individuare nuove interazioni tra farmaco e aspetti della vita quotidiana non considerati precedentemente?
La questione qui è che il consenso informato viene definito in tutte le parti legislative del caso, ma in nessun caso viene definito come una reale comprensione di ciò che accadrà o potrebbe accadere.
La sfida sta proprio nel rendere accessibili determinate dinamiche senza banalizzarle o sminuirle, tramite un processo di reale comprensione e quindi di accettazione vera, non con un sentimento di “obbligo morale” o di “dovere sociale”.
Quali sono i limiti etici
I limiti etici sono importanti e differenti.
Anzitutto è bene specificare che ogni sperimentazione è sorvegliata da un Comitato Etico (3). I Comitati Etici sono “organismi indipendenti che hanno la responsabilità di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere delle persone in sperimentazione e di fornire pubblica garanzia di tale tutela” (4).
Questo organo in Italia è presente su più livelli e ogni sperimentazione deve essere sottoposta al suo scrutinio, atto a valutare il protocollo di ogni trial e al reclutamento dei volontari nella più totale indipendenza e oggettività decisionale.
Anzitutto per poter sperimentare è necessario che il trial venga approvato. Un documento di presentazione di uno studio potrebbe essere rivisto centinaia di migliaia di volte, in quanto deve essere definitivo in tutte le sue più piccole variabili. Infatti “l’autorizzazione a condurre una sperimentazione clinica dovrebbe considerare tutti gli aspetti concernenti la tutela dei soggetti. […]” (5)
In conclusione: sperimentazioni come quelle di cui si parla in questi giorni non possono essere approvate poiché certamente limitare la potenza di un virus è fondamentale, nel momento storico in cui ci troviamo ora.
Ma vanno presi in considerazione anche altri aspetti: a quanti episodi di emulazione si potrebbe andare incontro autorizzando una sperimentazione del genere in cui la moralità viene meno? La proposta fatta è realmente valida? Quanto conosciamo la malattia per poter affermare che se qualcosa dovesse andare storto durante la sperimentazione abbiamo una via di salvezza da poter offrire ai partecipanti? (6)
“Principio generale: Una sperimentazione clinica può essere condotta esclusivamente se: a) i diritti, la sicurezza, la dignità e il benessere dei soggetti sono tutelati e prevalgono su tutti gli altri interessi; nonché b) è progettata per generare dati affidabili e robusti” (7).
Il più grande azzardo morale che rischiamo di compiere è quello della s-personalizzazione, il rinunciare al principio di identificazione con l’altro e la sua coercizione per un bene collettivo in un’ottica utilitarista. In poche parole rischiamo di dimenticare che “l’altro” siamo noi.
(1) H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, a cura di Becchi P., p. 67, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1985.
(2) I farmaci antitumorali non possono essere sperimentati in fase I su volontari sani, in quanto già intrinsecamente tossici, ne sono un esempio, e quindi di conseguenza devono essere dedicati al paziente che ha già sviluppato la forma tumorale a cui la terapia è rivolta. A. Santosuosso, Il consenso informato. Tra giustificazione per il medico e diritto del paziente, p. 182, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996.
(3) In Italia deve essere composto da: tre clinici, un medico di medicina generale territoriale, un pediatra, un biostatistico, un farmacologo, un farmacista, il direttore sanitario, un medico legale, un bioeticista, un rappresentante dell’area delle professioni sanitarie interessata alla sperimentazione, un rappresentante dell’associazionismo di tutela dei pazienti, un esperto in dispositivi medici, un esperto in relazione alla tipologia di esperimento condotto e, alla un non addetto ai lavori deve partecipare al processo decisionale. Come descritto in http://www.agenziafarmaco.gov.it/content/comitati-etici-funzioni-e-stato-della-riorganizzazione e implementato da Regolmento N. 536/2014/UE Capo II, art. 9 comma 3.
(4) art. 1 del Decreto del Ministero della Salute 8 febbraio 2013.
(5) Regolamento N. 536/2014/UE, punto 17.
(6) https://www.wired.it/scienza/medicina/2020/04/01/vaccino-coronavirus-infettare-persone/
(7) Regolamento N. 536/2014/UE, art. 3.
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