Percorsi di autodefinizione

0
675

Nelle ultime settimane in Parlamento si è discussa una proposta di legge che l’Italia sta cercando di implementare da anni: la legge sull’omotransfobia.

Il 4 novembre scorso il testo della legge è stato approvato dalla Camera dei Deputati, ma la notizia sembra che stia passando quasi in sordina, soprattutto a causa delle grandi preoccupazioni dovute all’emergenza Covid-19. A tale proposito è necessario sottolineare chiaramente che gli altri problemi sociali e culturali che caratterizzano ancora la nostra società non si sono arrestati. I dibattiti e le decisioni di questi giorni, infatti, rispetto ai diritti civili, determineranno la qualità della vita sociale futura di molte persone e per questo non possiamo permetterci di lasciarli per troppo tempo in secondo piano.

Il DDL sull’omotransfobia che si sta discutendo è stato disegnato dal deputato del PD Alessandro Zan e prevede una grande e importante novità nella legislazione italiana: l’estensione del reato d’odio motivato dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.


Cosa si intende nel pratico? Proviamo a capirlo insieme.


Ad oggi, chi pronuncia frasi d’odio o istiga, in qualsiasi forma, alla violenza per motivazioni legate alla religione o all’etnia di un individuo, è punibile per legge, lo stesso, però, non vale se l’istigazione alla violenza è legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere di una persona. In questo secondo caso, infatti, la forma d’odio è considerata come semplice “espressione d’opinione”, proprio perché all’interno della nostra legislazione, ad oggi, non è compresa la motivazione legata all’orientamento sessuale. La legge Zan arriverebbe a colmare questo assurdo gap, prevedendo una sanzione per chi commette atti di discriminazioni e la reclusione da sei mesi a quattro anni per chi istiga a commettere o commette atti di violenza per motivazioni religiose, etiche e finalmente anche legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

Ovviamente la proposta di legge Zan ha suscitato dibattiti dentro e fuori il Parlamento. La Cei (Conferenza episcopale italiana) ha espresso un chiaro dissenso rispetto a questa legge, affermando che andrebbe a ledere la libertà di espressione individuale. Tale considerazione risulta facilmente smentibile, comunque, considerando che la legge prevede sanzioni verso la discriminazione e gli atti di violenza legati a orientamento sessuale e identità di genere e non il reato di “propaganda di idee”, come invece è previsto dal nostro Codice Penale, per motivi etnici. Gli esponenti del fronte cattolico si sono appoggiati alla visione del Cei in Parlamento, che però ha infine deliberato il suo consenso al DDL Zan. 


Se è vero che il personale è politico, questa legge assume un significato fondamentale all’interno della nostra società.


Uno dei compiti della politica, infatti, è proprio quello di rispondere strutturalmente e sistematicamente ai problemi che emergono nella realtà sociale, ma fino a che i soggetti sociali non vengono riconosciuti e non si traducono in soggetti politici, non verranno considerati i loro problemi né i loro diritti. Questo è un problema ricorrente quando si tratta delle cosiddette “minoranze” dove, con questo termine, non ci si riferisce tanto a una condizione quantitativa, quanto, piuttosto qualitativa. La minoranza, infatti, non è sempre collegata a un’inferiorità numerica, ma spesso si riferisce a una parte della società che manca di certe caratteristiche, in particolare quelle possedute dal soggetto dominante.

I soggetti sociali dominanti sono coloro che assumono la supremazia nella società e che, posizionandosi in una condizione di superiorità, impongono le proprie caratteristiche universalmente: chi non le possiede è minoranza, è mancanza, non è un soggetto sociale riconoscibile. Questo è ciò che è accaduto per secoli nella società occidentale, dove il soggetto dominante è stato costituito dall’uomo etero bianco e, di conseguenza, tutti i soggetti con caratteristiche differenti (donne, omosessuali, neri) sono stati considerati dei non-soggetti, tanto che, per molto tempo, non hanno potuto godere degli stessi diritti.


Per diventare soggetti sociali riconosciuti, queste “minoranze” hanno dovuto intraprendere dei percorsi di battaglie per imporsi finalmente nella propria società di riferimento.


Tali percorsi comportano, a loro volta, un processo di autodefinizione da parte dei nuovi soggetti, che si vogliono delineare con connotazioni diverse, rispetto a quelle imposte da parte di soggetti dominanti. Un esempio lampante di questa nuova autodeterminazione è stato il femminismo, che ha cercato di porre la donna come nuovo soggetto autonomo rispetto all’uomo. Autodeterminarsi, però, significa inevitabilmente escludere di poter essere qualcos’altro. Anche all’interno del femminismo (o meglio dei femminismi) qualcuno è stato escluso per diverso tempo, perché non rientrava nelle nuove caratteristiche universali pensate da alcune donne per le donne nel processo di autodeterminazione.

Le donne lesbiche sono state un esempio lampante di tale esclusione. Solo negli anni Ottanta l’esperienza lesbica inizia a essere considerata anche dal punto di vista teorico. In particolare, le porte al mondo lesbico si aprono grazie alla scrittrice Adrienne Rich che nel 1980 pubblica il suo saggio Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica. Rich fa emergere, finalmente, l’esistenza dell’esperienza lesbica, che per molto tempo viene rinnegata da molte femministe, perché non conforme alle nuove caratteristiche universali del nuovo soggetto-donna, diverso dall’uomo. Rich afferma l’esperienza lesbica come profondamente femminile, che anzi aiuta a comprendere ancora meglio ‹‹l’erotismo in termini femminili›› (1) e così facendo aiuta a posizionare il lesbismo dentro il femminismo, facendo emergere molte polemiche.


Queste ultime sono dovute al concetto di sessualità legato all’identità, in quanto le lesbiche mettono in discussione il concetto di donna (tradizionalmente etero), ma anche il concetto di uomo (tradizionalmente etero).


Forti delle nuove teorie e anche dei costanti successi dei movimenti gay maschili, donne e uomini non etero riescono ad affermarsi, con fatica, in un mondo che ancora non aveva avuto la forza di considerarli, arrivando a farci riflettere sugli stessi concetti di identità soggettiva e identità sessuale.

La legge contro l’omotransfobia serve per preservare dei soggetti ancora socialmente deboli e non completamente accettati a fare un ulteriore passo verso la propria affermazione, con la speranza che un giorno, alle future generazioni, leggi come queste parranno assurde, non perché liberticide, ma perché i pregiudizi saranno completamente sostituiti dalla normalità di essere ciò che semplicemente si è.






(1) A. Rich, Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica, in DWF, 23-24, 1985.

(2) A. Cavarero, F. Restaino, Le filosofie femministe, Bruno Mondadori, 2002. 

(3) C. De Leo, Omotransfobia, la legge: cosa dice? E perché la Cei la critica?, Corriere della Sera online. https://www.corriere.it/politica/20_giugno_11/omotransfobia-legge-cosa-dice-perche-cei-critica-64b003f2-abb2-11ea-822f-b27e74f859d1.shtml