«Si tratta sempre di esistere in spazi che la società ci proibisce, o di comportarci diversamente in spazi che si aspettano che noi siamo in un certo modo, che ci comportiamo in un altro modo… e se non volessimo essere così? E se, in realtà, tutti gli spazi fossero restrittivi, tutto il mondo fosse progettato per inibirci, e anche solo esisterci volesse dire infrangere un tabù profondo? Cosa succede se smetti di rimpicciolirti costantemente, tutto il tempo, e invece ti ingrandisci? Forse, per trovare lo spazio necessario a ingrandirti, devi prendertelo» (1).
A tenere questo discorso è Roberta, la voce narrante di Le divoratrici, che con queste poche frasi riassume il senso profondo del romanzo di Lara Williams e delle vicende che la vedono protagonista assieme alle altre giovani donne che fanno parte del Supper Club.
Questo gruppo clandestino è infatti incentrato sullo scardinamento del criteri di accettabilità che la società impone ai colpi femminili: nel Super Club le donne costruiscono insieme un luogo fisico e simbolico di riappropriazione dello spazio, dove comportamenti eccessivi e sopra le righe associati con il consumo di cibo, alcool e droghe passano dall’essere contro le regole al costituire una nuova norma. Attraverso un rituale liberatorio dominato dagli eccessi (mangiare fino a vomitare, ballare e cantare tutta la notte, indossare costumi e travestimenti e commettere anche qualche occasionale crimine), le partecipanti al Supper Club pareggiano i conti con le loro aspirazioni frustrate, le paure e i modi di essere imposti da una società che le vuole educate, convenzionali e “brave ragazze”.
Capitolo dopo capitolo, impariamo a conoscere Roberta, maestra di cerimonie del club e protagonista indiscussa del romanzo, e scopriamo in lei una persona la cui vita è dominata dalla passività.
In entrambe le linee temporali che si alternano nel romanzo, ci rendiamo conto che le sue relazioni sono caratterizzate da una continua subalternità rispetto ai desideri e alla personalità di chi interagisce con lei, che si tratti di amici, parenti, colleghi o partner. Roberta è costantemente accompagnata dal terrore di non essere all’altezza e, perciò, di essere abbandonata o lasciata indietro, e tende ad accompagnarsi a persone che usano questo suo innato senso di inadeguatezza per approfittarsi di lei o controllarla facilmente. L’unico modo che conosce per essere amata e accettata e diventare ciò che gli altri sembrano aspettarsi che lei sia, modellando se stessa sulle aspettative del prossimo e ignorando completamente i propri desideri profondi e la propria personalità.
Il Supper Club, nato quasi per caso, diventa per lei un’occasione di riscatto, uno strumento per ripensare se stessa e la propria vita, un modo per capire chi è, quali traumi la perseguitano e come certi suoi vissuti le impediscano di progettare un futuro che sia davvero suo e non solo un simulacro di ciò che la società considera accettabile da una giovane donna come lei.
Le altre adepte del club sono, in modi diversi, specchi di Roberta stessa.
Conducono vite più o meno di successo, più o meno inserite nel grande schema della società, ma anche loro sono percorse dalle molteplici contraddizioni di un mondo che le vorrebbe imprigionare in un modello prestabilito.
Il romanzo è molto efficace nel mettere in scena i drammi interiori e le contraddizioni vissute dalle protagoniste e ci induce a riflettere su come sia difficile ribellarsi ai paradigmi sociali nel momento in cui essi spesso non ci appaiono esplicitamente come imposizioni provenienti dal mondo esterno ma, al contrario, ci sembrano rappresentare futuri e vissuti desiderabili, che confondiamo facilmente con i nostri reali desideri e sogni.
Le donne del Supper Club non sono reiette che vivono ai margini della società, ma “persone normali” che ci insegnano che la normalità non esiste o che, se esiste, è attraversata da continue contraddizioni e dalla sensazione di essere sempre un po’ fuori posto, mai completamente inserita nel contesto e nel tessuto di ruoli sociali che ci circonda.
(1) p. 220.
Grazie Blackie Edizioni!
L. Williams, Le divoratrici, Blackie Edizioni, tr. it. di D. Calgaro e M. Calvaresi, Milano, 2020.
Un materialismo queer è possibile
28 Novembre 2024Altricorpi. Scoperta del proprio corpo e dei corpi altrui
21 Novembre 2024Il femminile e l’uomo greco
15 Novembre 2024
-
Abolizionismo. Femminismo. Adesso.
28 Giugno 2024 -
Kant e il vestitino rosso
5 Luglio 2018 -
Traduzione, umanità, alterità
13 Agosto 2018
Filosofemme è un progetto che nasce dal desiderio di condividere la passione per la filosofia tramite la figura delle filosofe.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Privacy PolicyCookie Policy